Il partito di Repubblica, quello che non c’è e la politica smart

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 4 ottobre 2017

L’uscita di Pisapia su D’Alema è del tutto incomprensibile. Certo, è solo una coda polemica alla affermazione relativa alla giustezza e alla necessità di uno ‘strappo’ parlamentare verso la politica finanziaria del governo. Dunque bene. Bene, ma non benissimo. Perché il D’Alema ‘divisivo’ di cui racconta l’ex Sindaco a ‘Radio Capital’ io non lo conosco proprio.

A D’Alema puoi dire tutto, che sia spietato, che sia tosto, che sia arrogante certune volte, che abbia fatto errori di fondo, e persino che abbia svezzato male i propri figliocci (come ha ammesso lui stesso). Ma ‘uomini di partito’ come lui ne sono rimasti pochi, e peraltro stanno tutti o quasi in Articolo 1. Intendo quei dirigenti, quei militanti che sentono la ‘comunità’ e l’organizzazione politica come una seconda pelle, che si ucciderebbero piuttosto che esprimere una sciocca opinione personale distinta da un pensiero collettivo di cui sono parte e che hanno contribuito a generare. Ciò non toglie che non ne discutano all’interno, che non esprimano dubbi e perplessità. Ma sentono assieme un’appartenenza, una prossimità ai propri compagni che è più forte di qualsiasi vanesio desiderio di mostrare la propria originalità di pensiero ad alcuno. L’uomo di partito, anche quand’è una prima fila, si comporta come una seconda fila. O terza.

Ecco perché il ‘divisivo’ è mal attribuito. E poi io non ho letto un’intervista di D’Alema, una soltanto, che fosse ‘divisiva’, che tendesse a ‘spaccare’. A partire dal 14 luglio, quando incoronò anche lui Pisapia ‘leader’ sul Fatto Quotidiano. E poi ha girato come in processione TUTTE le iniziative della sinistra o giù di lì di questi mesi. Questo dovrebbe fare un leader, anche debole, non mettere le mani avanti.

Arturo Scotto oggi ha ricordato l’intervista alla Festa di SI, il 20 settembre scorso. Riporto uno stralcio dal pezzo che ne scrisse De Angelis sull’Huff Post: «Ora diciamo al governo con fermezza di fare alcune cose in legge di bilancio”. Per questo, spiega D’Alema, Gentiloni deve intervenire per salvare il servizio sanitario nazionale “che sta cedendo”, ma anche dare vita a misure sul lavoro giovanile e il Sud. E anche sulla legge di bilancio D’Alema minaccia il voto contrario: “O il governo accetta di considerarci o credo che si debba votare contro”, chiosa». Se non ci danno retta sulle modifiche da apportare alla legge di bilancio (sanità, giovani, lavoro, Sud) “credo – disse D’Alema – si debba votare contro”. Ma votare contro la legge di bilancio, appunto, non contro lo scostamento destinato a evitare l’aumento dell’Iva, come spiega chiaramente lo stesso Scotto. Che è poi quel che è in effetti accaduto. Ossia lo ‘strappo’ celebrato anche da Pisapia, deciso all’unanimità da tutto il gruppo parlamentare MDP, pisapiani compresi, nella stizza del partito di Repubblica e di molti altri anche a sinistra. Pisapia e D’Alema, quindi, sui contenuti, su questi contenuti sono d’accordo. Lo può vedere chiunque. Dunque? Qual è il problema?

E se il problema ce lo avesse Pisapia, fra i suoi ‘amici’ più stretti, quelli che vedono di cattivo occhio D’Alema e riverberano sull’ex Sindaco questo rancore, facendolo partecipe? E se l’antidalemismo fosse il prezzo che Pisapia deve pagare per i suoi equilibri interni, magari sorretto in ciò dalla domanda ‘giusta’, ben ‘calibrata’ di Radio Capital (gruppo Repubblica)?

Permettetemi una sola riflessione. La politica di vertice oggi è un ginepraio, anzi una matassa di filo spinato. Non è facile seguirla, serve tempo e concentrazione. Bisogna leggere interviste, dedicare attenzione, riflettere. Perdere un po’ di personale tempo prezioso. Invece, nell’epoca smart del renzismo e del mordi e fuggi politico, bastano il titolo di un giornale, una battutina, antiche rimembranze, una certa supponenza, vecchi e nuovi pregiudizi e l’omo campa. Non dobbiamo meravigliarci che il partito di Repubblica abbia la meglio, basta un virgolettato, una supposizione, un’illazione buttata lì, per deviare il corso del dibattito, l’agenda politica e fregarci a tutti. Si fa presto a citare il PCI e Togliatti. A quei tempi si leggeva e si studiava, e per primi lo facevano gli operai, c’era un giornale, c’era una linea, non c’erano i social che oggi diffondono in tempo reale tutto e il contrario di tutto, e poi non c’era il partito di Repubblica ma quello dell’Unità. Era più difficile, ma-anche più facile. Ma oggi? Non c’è un pensiero collettivo, solo una massa fluente di opinioni personali. Non c’è una scuola, ma tanti autodidatti. Né un dibattito ma solo monologhi social. Eravamo più forti, mentre oggi siamo più deboli. Se vi chiedessero ‘qual è il problema della sinistra’, rispondete così: siamo frammenti di pensiero, senza più un senso di appartenenza e una cultura politica. Ci indovinereste quasi di sicuro.

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