PD, la vocazione maggior-minoritaria

per Gabriella
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 4 dicembre 2015

La capriola minoritaria e la rana di La Fontaine

Dietro la vocazione maggioritaria veltroniana, da cui il PD prese avvio, si celava il suo contrario, la vocazione minoritaria. Siamo partiti dicendo che era finito il tempo delle coalizioni forzose e rissose, e che al PD spettasse invece il compito di candidarsi da solo alla guida del Paese – siamo arrivati al punto in cui un partito col 20% striminzito dei voti potrebbe, grazie all’Italicum, governare il Paese con un esagerato dispiegamento di deputati al proprio fianco. Un’apparente capriola, insomma, che nasconde la verità vera: maggioritario e minoritario pari sono. Perché per governare effettivamente da soli (essere ‘maggioritari’ a ogni costo, schifare le alleanze, rigettare la mediazione politica in favore della mera ‘tecnica’ di governo e della tattica comunicativa), in una democrazia rappresentativa come la nostra, bisogna alla fin fine essere una minoranza ‘dopata’, ‘gonfiata’ come la rana di La Fontaine, meglio se sorretta da un astensionismo galoppante. Tragico destino: si nasce col sogno di essere giganti, ma ci si acconcia a indossare vestiti di quattro taglie più grandi per non apparire quel che si è, ossia dei nani.

È una capriola che vi sorprende? A me no. Chi interpreta la politica senza apprezzare la qualità essenziale della mediazione, prima o poi si ritrova solo, magari al comando ma solo. Dietro alla vocazione maggioritaria, in fondo, c’è il disprezzo per la potente virtù del dialogo e del confronto e l’amore infinito per la decisione presa platealmente, come un colpo di maglio assestato dopo una tenue parvenza di dibattito. Per quanto ne so, c’è più decisione nel confronto serrato in una commissione parlamentare che nell’alzata di mano a comando dopo una relazione di due ore in direzione. Per quanto possa sembrare paradossale, tanto meno è decisione, tanto più funziona in quanto tale. La Prima Repubblica si è retta per 40 anni con il dialogo parlamentare, con il confronto-scontro in commissione, con le decisioni che, in qualche modo coinvolgevano tutti, nelle quali tutti portavano un proprio contributo quasi sempre essenziale. Decidere significa ‘dividere’, ma nulla sarebbe divisibile se prima non fosse unito, saldamente unito all’interno di una Repubblica parlamentare, antifascista, rappresentativa e di popolo come la nostra.

La vocazione maggioritaria, in fondo, era un’esigenza televisiva, mediale, rispondeva al bisogno di semplificare, personalizzare, scarnificare l’articolazione politica, sociale, umana di modo che il messaggio penetrasse più facilmente nei media. Una riduzione ‘tecnica’ di complessità, che spostava di lato la politica per fare spazio al leader pronto a decidere e a trovare finalmente la soluzione, diradando il campo dalle ‘risse’ e dalle polemiche politiche. L’attuale premier, in fondo, è colui che porta a compimento questo processo, propone se stesso come uomo solo al comando e mostra di decidere con lesto cipiglio. Veltroni anni fa ha messo in moto una macchina che oggi fila a 200 km all’ora all’interno di un vicolo sempre più stretto e corto. Maggioritari per vocazione, quindi, ma minoritari in conclusione. Questo è quanto resta di una stagione, chiamatela del Lingotto, chiamatela della Leopolda, che dell’assurdo e inconcepibile equilibrio di maggioritario e minoritario ha fatto una ragion d’essere. Sarebbe il caso, ora, che si cominciasse subito a guardare oltre queste miserie, prima di restare sotto le macerie di una Repubblica che non è più né seconda né terza. Semplicemente non è.

veltronir

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