Prima, molto prima di FB

per Gabriella
Autore originale del testo: Grazia Nardi
Url fonte: https://riminisparita.it

di Grazia Nardi su facebook – 2 luglio 2014

….Così, anticipato dalla radio (Geloso, Radiomarelli, Minerva), arriva il Televisore che, al suo esordio sul mercato negli anni 50, non ebbe certo la stessa diffusione della radio assai più accessibile nei costi e più semplice nella sua struttura. Mio zio Gino, se li costruiva da solo con tanto di valvole, altoparlante, due manopoline, una per cercare le “stazioni” l’altra per regolare il volume. E l’usavamo così, senza la copertura esterna in legno.
Nel 1954 gli abbonati alla TV non superavano i 20.000 per arrivare nel 1956 a 360.000 quando il segnale arrivò su tutto il territorio nazionale. La popolazione italiana sfiorava i 49 milioni, la paga media di un operaio oscillava tra 20.000 e 40.000 lire al mese, il costo di un televisore di sottomarca era di 200.000 più l’abbonamento annuo di 12.500.
Diventerà l’acquisto più gettonato e rateizzato agli inizi degli anni 60. Fu inventato persino un sistema di pagamento a gettone vale a dire, prima di poter assistere alle trasmissioni, l’acquirente metteva dei soldi in una apposita gettoniera attivando così la TV, depositando progressivamente le quote rateali.
Già la sottomarca, perché con gli elettrodomestici prende il via la prima fase di esterofilia che attribuiva la maggiore qualità ai prodotti tedeschi, Telefunken, Nordmende od olandesi, Philips mentre le marche italiane Phonola, Philco, Seleco, Magnedyne venivano acquistate quasi con rassegnazione in virtù del costo inferiore.
I primi apparecchi, in bianco e nero, un solo canale avevano un mobile esterno enorme, a forma cubica ed erano posizionati su una sorta di torretta rialzata tanto che, per guardali, bisognava alzare il capo e gli occhi verso l’alto, quasi in soggezione, come fosse un idolo. E non era il solo atteggiamento reverenziale dal momento che, soprattutto in onore alle trasmissioni più importanti, quelle serali del dopo cena, ci si riuniva disponendo le sedie allineate in fila orizzontale, un po’ come avere il cinema in casa.
Era la fine delle veglie “parlate” perché davanti a sua maestà il televisore era di rigore l’attenzione silenziosa anche se dai fortunati possessori si radunavano amici e parenti più “carenti”. Ma al primo cenno di commento arrivava il gelido “sté zett c’un se capess gnint!”.
Ricordo la nonna che addormentatasi nel mezzo del Tenente Sheridan, svegliandosi al momento in cui Riccardo Paladini leggeva il Tg, gridava “l’e’ lo’ l’assassein, l’è lo’ e’ birichin!”.
Bisognava ottimizzare la spesa dato che, inizialmente, le ore di trasmissione erano solo quattro dalle 17,30 fino alle 23, per il resto della giornata sullo schermo appariva il segnale del monoscopio accompagnato da un sibilo che oggi suonerebbe sinistro mentre allora era la prova della vitalità del televisore. Si guardava di tutto a partire dalle trasmissioni educative come la mitica “Non è mai troppo tardi”.
Grande interesse per il telegiornale che ti portava tutte le notizie a domicilio seppur filtrate dall’orientamento politico dominante in quel momento, qualche film, diversi gli sceneggiati (oggi fiction) letterari ed un vero e proprio exploit dei quiz che andavano incontro ad una italianità tutta musicale vedi “Il musichiere” o alla voglia di rivincita del dopo guerra con l’aspirazione di “far fortuna”, vedi “Lascia o raddoppia”. Il successo di quest’ultima trasmissione fu tale che, come ricordato, in alcune sale cinematografiche furono costretti ad installare la tv per mandare in onda il telequiz prima della proiezione del film mentre i bar si erano predisposti per accogliere intere famiglie registrando il pieno in occasione della finale del Festival di San Remo che, allora, veniva trasmesso, dal salone delle Feste del Casinò di quella città.
Solo ai primi degli 60 arriverà il secondo canale, più differenziato e “leggero” nei programmi ed anche quello segnò una tappa “oz i vein a metme l’antenna de sgond”.
Si aprirà un nuovo mondo di finzione e realtà che occuperà gli spazi dell’immaginazione lasciati dalla radio. Ricordo che mia mamma oggi 88 enne e grande ammiratrice della Tigre di Cremona, vedendo in video per la prima volta Mina con i suoi ammiccamenti, le dita tamburellanti sulla bocca, commentò “l’an me pies, la fa’ trop mos-i”. L’immagine arrivava prima delle voce.
Sono stati scritti fiumi di trattati sugli effetti che la TV ha prodotto e produce sugli stili di vita, sulle possibilità che si sprigionano da quell’elettrodomestico per imporre un personaggio, un prodotto, per influire sull’idee politiche e sul voto. Era ed è, soprattutto dopo l’avvento di Carosello e delle sue evoluzioni, un riproduttore di consumi di ogni genere.
Ma questa è la storia del dopo nota a tutti.

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Quello che vorrei invece sottolineare è che allora, possedere la TV era già in sé un elemento caratterizzate e discriminante. A partire da noi bambini, quando alle 17, 30 si interrompevano i giochi di strada perché iniziava la TV dei Ragazzi e partiva la domanda: “te ce l’hai la televisione?”, “sì, io ce l’ho”, “posso venire a casa tua a vederla?”. Fino a quel momento eravamo tutti uguali…

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