Autore originale del testo: Raniero La Valle
LE NUOVE SFIDE
A Roma si svolge in questi giorni il Congresso del Movimento Nonviolento gandhiano di Mao Valpiana, ed è una cosa straordinaria che la Nonviolenza sia ancora così viva nella coscienza di tanti, quando proprio la Violenza in questo nostro tempo è stata intronizzata come nuova regina del mondo: una violenza che domina sovrana, e in quanto “sovrana” non riconosce alcuno sopra di sé, come accade oggi prima di tutto a Gaza e in Palestina, la terra del buon Samaritano, e al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dove la maggiore Potenza mondiale vota contro il “cessate il fuoco”, ed anche in Ucraina dove a combattere sono la seconda Potenza mondiale e un disgraziato Paese dove “i capi dei sacerdoti e i governanti” offrono il popolo in sacrificio, e dove è proibito per legge il negoziato col Nemico, e nel mar Rosso dove basterebbe che la vita delle vittime. stesse a cuore ai potenti come la libertà delle merci, e in cento altre guerre che nemmeno sono nominate e sembrano non interessare nessuno, mentre sono altrettante fasi della guerra civile mondiale che è in corso.
Ma anche a Napoli c’è l’incontro promosso da “Il coraggio della pace”, e anche a Piombino c’è una manifestazione per la pace con le donne in nero, e a l’Aquila si lotta contro l’estradizione del giovane palestinese Yanan Yaeesh di cui Israele pretende la consegna da parte dell’Italia perché accusato di connivenza con la resistenza palestinese; e c’è la giornata del “Tavolo della pace” di Viterbo e le iniziative del Centro per la pace di Peppe Sini per la liberazione di Leonard Peltier, il nativo americano da 48 anni in carcere per la difesa da lui fatta di tutti i viventi, e ancora la fiaccolata e il presidio della Rete pace di Rimini, e le iniziative di Empoli, come la grande manifestazione contro le morti sul lavoro di Firenze, e tante altre. Sono tutte espressioni della volontà popolare, le quali dimostrano che, se la guerra è sovrana, la pace non è sconfitta, e anzi di sicuro vincerà.
Alla Rete pace di Rimini, che ci ha chiesto un saluto, e con essa a tutti gli altri, abbiamo scritto così: «Caro Popolo della Pace, e manifestanti per la pace, voi sapete bene quali sono le vie della pace – nonviolenza, disarmo – ; vogliamo però dirvi quali sono le tre cose nuove che si devono assolutamente capire e su cui bisoga aprire gli occhi del mondo. La prima cosa è che la vittoria, perseguita come conclusione della guerra, oggi non è più possibile e non c’è più. Una volta questo era l’obiettivo normale e più rapido delle guerre, fin dai tempi di Cesare: Venni, vidi, vinsi, e lui conquistò il Ponto. Ma oggi dov’è la vittoria? Per Israele consisterebbe nell’uccidere l’ultimo palestinese assimilato ad Hamas, ma dopo averne uccisi già 30.000 e scacciato tutta la popolazione di Gaza, ci sarebbero sempre nuovi palestinesi contro Israele che non vogliono essere annientati come popolo.
«E che significherebbe la vittoria per l’Ucraina? Significherebbe sconfiggere la Russia, ma l’Ucraina stessa sarebbe distrutta, una intera generazione sarebbe perduta, un dittatore narcisista resterebbe al potere, e l’Ucraina avrebbe accanto una belva ferita di 150 milioni di abitanti che metterebbe a soqquadro il mondo. E quale sarebbe il prezzo della vittoria degli Stati Uniti sulla Cina per il primato nel mondo, se non la terza guerra mondiale?
«La seconda cosa nuova è che se anche c’è una guerra mondiale a pezzi, come dice il Papa, ogni guerra è una guerra civile. Infatti ormai tutti noi, di ogni Paese del mondo, siamo inclusi in un unico ordinamento, dominati da un’unica finanza, soggiogati dagli stessi poteri, e la guerra che si fa dentro un unico ordinamento è una guerra civile. E “la guerra civile – come ha scritto il giurista tedesco sopravvissuto al nazismo Carl Schmitt – ha qualcosa di particolarmente crudele; essa è guerra civile perché è condotta all’interno di una comune unità politica comprendente anche l’avversario e nell’ambito del medesimo ordinamento giuridico… Perciò il dubbio sul proprio diritto è considerato tradimento, l’interesse per l’argomentazione dell’avversario, slealtà; il tentativo di una discussione diviene intesa col nemico. Ciò avvelena la lotta. La porta a durezza estrema, facendo degli strumenti e dei metodi della giustizia gli strumenti e i metodi dell’annientamento”. Dunque ogni guerra non è una guerra contro gli altri, è una guerra contro se stessi.
«La terza cosa nuova è che prima la guerra era legittima, e a fare eccezione erano i “crimini di guerra”, mentre “sia in tempo di pace che in tempo di guerra” il genocidio era considerato un “crimine contro l’umanità condannato da tutto il mondo civile”. Oggi la guerra stessa è un crimine ed ogni guerra è un genocidio, perché diretta non a qualche conquista, ma allo sterminio di popoli interi; tuttavia la guerra è oggi di nuovo rivendicata ed esaltata tra gli altri “valori”, ed il genocidio è perpetrato, e perfino incoraggiato nell’attuale mondo civile».
Ci sono dunque tre nuovi flagelli, tre sfide. Si dice che il rimedio sarebbe fare appello alla ragione e al diritto. E infatti non ci sarebbe la guerra se ci fosse la ragione, perché essa, come dice la “Pacem in terris”, è “fuori della ragione”. Ma è proprio con la ragione che oggi il genocidio viene convalidato, quando la ragione lo giudica “proporzionato”, in base a una macabra contabilità tra offesa e difesa. E il razionalismo, staccato dallo spirito che rende umano l’umano, è quella “sorta di deserto di sabbia” in cui, secondo il teologo tedesco autore dell’“Idea di Europa”, Erich Przyvara, è caduta, a partire dal XVII secolo di Kant e di Cartesio, la cultura europea.
Per combattere contro questi flagelli, bisogna fare appello dunque non solo a un illusionismo razionale o normativo, ma a tutte le risorse della politica e dell’umano. A questo siamo chiamati e all’azione conseguente, immersa nella storia che viviamo.