Fonte: Il Fatto Quotidiano
Casta del 3° mandato: ora scatta la rivolta
Il partito trasversale del terzo mandato (ma pure quarto o quinto) è in rivolta. Conta su sindaci e governatori provenienti soprattutto dalla Lega e dalla minoranza del Partito democratico, sempre che di minoranza si possa parlare se si tratta del presidente Stefano Bonaccini, del leader di Anci Antonio Decaro e del presidente campano Vincenzo De Luca. Dopo il no in Commissione all’eliminazione del tetto dei mandati (contrari FdI, FI, Pd, M5S e Avs), i “ribelli” minacciano ricorsi e forzature istituzionali, evocando la sovranità popolare come unità di misura della bontà della legge.
Il primo ad alzare i toni, in mattinata, è il governatore della Liguria Giovanni Toti: “C’è una divaricazione molto pericolosa tra centro e periferia che sfiora lo scontro istituzionale, visti i ricorsi che molti stanno ventilando. Il fatto di non poter riconfermare i propri sindaci e governatori con un voto popolare è qualcosa che limita ulteriormente la dialettica tra corpo elettorale e politica”. Poco dopo, Massimiliano Fedriga (presidente del Friuli Venezia Giulia e della Conferenza delle Regioni) scrive al governo e chiede di “avviare un confronto”: non è possibile, dice, che si decida sul terzo mandato senza consultare le Regioni.
I ricorsi. L’idea di un ricorso alla Consulta l’aveva messa sul tavolo anche Decaro, convinto che sia incostituzionale togliere il limite ai mandati nei Comuni sotto ai 15 mila abitanti (come fa il decreto Elezioni) e lasciarlo per gli altri. La strada è impervia, perché già l’anno scorso la Consulta ha esaminato una legge regionale sarda che superava il tetto previsto dalla normativa nazionale, ribadendo la ragionevolezza dei principi per cui quel limite esiste: “Il limite ha lo scopo di tutelare il diritto al voto dei cittadini impedendo la permanenza per periodi troppo lunghi (…) che possono dar luogo ad anomale espressioni di clientelismo; serve a favorire il ricambio ai vertici dell’amministrazione locale ed evitare la soggettivizzazione dell’uso del potere dell’amministratore locale”. Concetti già chiariti pure dal Consiglio di Stato nel 2008.
Le forzature. Tutto ciò non importa. Anche i governatori sono pronti a forzare. Basti pensare a De Luca: “Tra le tante stupidaggini di questi giorni c’è anche il dibattito demenziale sul terzo mandato. Chiarisco che la Campania è totalmente indifferente, il terzo mandato lo può fare tranquillamente non avendo recepito la legge nazionale”. E in effetti la normativa nazionale avrebbe bisogno di essere messa a terra nelle singole Regioni. Qualcuno lo ha fatto (e magari, come Attilio Fontana, sta alla finestra aspettando novità), altri no. Come la Campania oppure la Puglia di Michele Emiliano, anche lui senza troppe remore: “Non abbiamo limiti di mandato, in teoria il presidente si può ripresentare cento volte. Se serve, sono pronto a ricandidarmi”.
Altri governatori hanno invece trovato il trucco. È il caso di Luca Zaia in Veneto, che quando ha recepito la legge sui due mandati ha azzerato quello già compiuto, facendo iniziare il calcolo dal momento dell’approvazione. Perciò oggi è già al terzo giro e sogna il quarto: “Dicono che il Parlamento è sovrano, vediamo quanta sovranità saprà esprimere, immagino dovrà essere rispettosa della volontà popolare. Trovo strano che ci siano persone che votano a favore del blocco dei mandati mentre sono lì da quattro o cinque legislature”.
Gli schieramenti. Zaia è di certo il frontman leghista della crociata. Matteo Salvini lo sostiene, ma non è difficile capire che combatte più per dovere e lealtà interna che per convinzione. E infatti non sembra tenerci granché: “Il terzo mandato se passa bene, altrimenti amen”. Non sarà una questione di Stato tra lui e Giorgia Meloni, ben lontana dal cambiare idea non foss’altro perché FdI, di gran lunga partito di maggioranza relativa, amministra poco e nulla in giro per l’Italia. Ad aiutare la destra c’è il fatto che nel Pd le cose non vadano meglio, visto che anche ieri mezzo partito ha continuato il tiro al bersaglio contro la decisione di Elly Schlein di non votare l’abolizione del limite dei mandati. Da Milano Giuseppe Sala dice che “molti sindaci hanno vissuto negativamente il non sentirsi appoggiati dal proprio partito”, da Firenze Dario Nardella avvisa che “il tema rimane aperto” e Bonaccini fa capire che sarà proprio così: “Si sa cosa penso del terzo mandato. Ora l’unica cosa che conta è far vincere Alessandra Todde in Sardegna, poi la prossima settimana parlerò”. Schlein sa di muoversi in un campo minato: “Nel Pd ci sono persone fortemente a favore e altre fortemente contrarie. Il punto è che in Commissione non si votava una riforma complessiva, ma un emendamento salva-Zaia”. La segretaria riferisce di “aver sentito” Bonaccini e che è il momento “di andare avanti”. Tradotto: tregua elettorale, se possibile, almeno nel weekend del voto.