Renzi vuol governare a bastonate, ma così tira dritto verso il disastro

per mafalda conti
Autore originale del testo: Giampaolo Pansa
Fonte: liberoquotidiano.it

di Giampaolo Pansa – 4 agosto 2014

I nostri maestri di vita dicevano: «Se vuoi fare il cattivo e picchiare la gente, prima devi garantirti di avere i muscoli adatti». Il seguito dell’avvertimento era sottinteso: se non sei forte abbastanza, non metterti contro mezzo mondo. È già accaduto molte volte anche sul terreno delle strategie militari. Abbiamo visto regimi politici andare a gambe all’aria perché erano convinti di essere potenze imbattibili. Poi hanno incontrato chi lo era per davvero e li ha rovinati. Un esempio per tutti? L’Italia guidata da Benito Mussolini, scesa in guerra contro Paesi come la Gran Bretagna, l’Unione sovietica e gli Stati Uniti. E sappiamo come è finita l’avventura.

Non conosco se il nostro presidente del Consiglio sia un appassionato di storia. Tuttavia Matteo Renzi dovrebbe far tesoro di certe esperienze toccate ad altri. Anzi, avrebbe dovuto tenerle in gran conto quando decise di prendere in mano l’Italia. Per farle «cambiare verso», come prometteva il suo slogan. Purtroppo non l’ha fatto. E ha messo su un governo che si sta rivelando troppo debole. A cominciare dal primo atto: essere nato sull’inganno. Rimarranno nella storia della politica italiana le parole che Renzi disse a Enrico Letta, allora a Palazzo Chigi: «Enrico, stai sereno». Poi lo pugnalò alla schiena e prese il suo posto. Eppure Letta non era un avversario, bensì un fratello della stessa parrocchia: il Partito democratico.

Questo accadeva a metà del febbraio 2014. Da allora sono trascorsi appena cinque mesi e mezzo. Un tempo brevissimo nella vita di un Paese. Ma sufficiente per rendersi conto dei disastri provocati dal modo di procedere di Renzi: l’uso costante del bastone, adoperato con lo stile del picchiatore verbale e non solo. Ha cominciato mostrando un gran disprezzo per chi non era disposto a inchinarsi. Dal «Fassina chi?» è passato a definire gufi e rosiconi quanti mettevano in dubbio l’eccellenza del suo governo. Per arrivare al caso più recente: la liquidazione villana di Carlo Cottarelli, incaricato da Letta dell’impresa titanica di indicare gli indispensabili tagli alla spesa pubblica.

Il bastone renziano si è abbattuto anche sui vertici delle grandi aziende partecipate dallo Stato, a cominciare dall’Eni, dall’Enel, da Finmeccanica, da Terna e dalle Poste. Sono stati decapitati da un’ora all’altra, senza nessuna spiegazione. Facendo strame delle competenze, dei risultati raggiunti e del lavoro avviato. Quando verrà fuori tutta la verità su questa bestialità di Renzi, si scoprirà che serviva soltanto a dimostrare che il premier si considerava un Superman, in grado di permettersi qualsiasi mazzata.

Anche nella scelta dei ministri, Renzi si è rivelato un innovatore senza criterio. Ha messo insieme una squadra che in molti casi rivela un carattere pericoloso: l’incompetenza accoppiata all’arroganza. Volete un nome per tutti? Marianna Madia. Credete che questa giovane signora sia in grado di riformare la Pubblica amministrazione? La fragilità delle scelte renziane oggi si vede a occhio nudo. Il suo corteo di ministri non funziona e si espone di continuo a errori non rimediabili. A Palazzo Chigi regna un uomo solo, anche se l’Italia del 2014 non è una gara ciclistica dove è naturale vedere un campione solitario al comando.

Del resto, il premier non si fida di nessuno. O si fida unicamente di donne e uomini che gli ubbidiscono senza discutere. Se poi sono nati dalle sue parti, tanto meglio. È rinato così il Granducato di Toscana, analizzato nome per nome da Gian Antonio Stella, sul Corriere della sera di giovedì 31 luglio. Stanno trionfando personaggi come il sottosegretario Luca Lotti, un giovanotto scaraventato troppo in alto. Mentre tramonta la stella di Graziano Delrio, emiliano di Reggio. Il premier lo voleva addirittura al ministero dell’Economia, una candidatura bocciata da Giorgio Napolitano che ha imposto Pier Carlo Padoan. Anche Delrio verrà bruciato.

Il piacere di usare il bastone ha fatto dimenticare a Renzi che la politica, soprattutto per chi guida una nazione, ha bisogno di decisioni ferme, ma prevede pure la capacità di ricorrere a compromessi intelligenti. Serve essere duttili, per non incorrere nei passi falsi di chi procede a testa bassa. L’errore numero uno di Renzi deriva dalla voglia di rottamare chiunque gli sembri superato. Siamo di fronte al primo caso di un soprannome, il Rottamatore, che diventa regola di vita. Il premier non può soffrire chi è nato prima di lui e ha fatto strada senza di lui. Le competenze e il credito acquisito non contano più. È il caso di molti manager pubblici, che si è ripetuto in questi giorni per Cottarelli.

«Se non rottami, non esisti»: questa è la missione omicida di Renzi. Lo obbliga a disfarsi di gente esperta che non conosce. Accade con i tecnici dei ministeri chiave, come l’Economia. Il premier li considera in blocco dei sabotatori che vogliono soltanto mettere dei massi sui binari del suo treno rapido, un’altra immagine renzista. A Palazzo Chigi domina l’ossessione di essere circondati da complotti e complottatori. È una sindrome tipica dei regimi morenti e non dovrebbe valere per un governo nato da poco più di cinque mesi.

Tuttavia, anche le congiure inesistenti servono a spiegare le promesse mancate. Renzi ne ha fatte troppe e adesso è costretto a clamorose marce indietro. L’ultima è di ieri. Il premier ha dovuto ammettere che non potrà estendere il bonus di 80 euro anche ai pensionati e alle partite Iva. Forse domani sosterrà che la colpa è di qualche complotto di superburocrati. Ecco un’altra declinazione negativa del tanto strombazzato «Cambiare verso». Quante ne vedremo ancora?

Qui siamo all’aspetto più controverso del politico Renzi. Ricorda una battuta immortale di un film dove il personaggio di Al Capone urlava al poliziotto che indagava sui suoi traffici: «Sei tutto chiacchiere e distintivo». Il premier corre il rischio di essere ritenuto soltanto chiacchiere e poltrona. Sta ricorrendo a un uso sfrenato della televisione. Il suo volto è diventato una presenza devastante in tutti i tigì. Molti si stanno stufando di questo giovane sempre più grasso, dei suoi nei, della sua parlata fiorentina. E soprattutto dell’ottimismo che ci scarica addosso in qualsiasi ora del giorno, a dispetto della realtà.

È vero che alle elezioni europee ha conquistato un bottino di voti inaspettato. Questo miracolo lo autorizza a porre di continuo degli aut aut ai parlamentari che non gli obbediscono. Il suo mantra è diventato: «Fate come vi ordino io, oppure si va alle urne». Ma è una minaccia a vuoto. Andare ai seggi, con la legge elettorale uscita dalla sentenza della Corte costituzionale, non gli conviene affatto. Forse il centrodestra, un insieme di clan che si combattono con la follia suicida dei perdenti, non riuscirebbe a vincere. Però quella di Renzi potrebbe essere una vittoria di Pirro che non gli consentirebbe di governare,

Qual è la morale della favola? È semplice e tetra. La situazione economica peggiora. La crisi italiana diventa sempre più pesante. Stiamo andando verso un autunno complicato. Ci troveremo alle prese con una congiuntura difficile da superare. Mentre il mondo s’infiamma, anche il nostro Paese vive sui carboni ardenti. Matteo Renzi è il premier giusto per un tempo di guerra, quando serve uno freddo, dialogante, capace di rincuorare gli italiani? Il Bestiario pensa di no.

di Giampaolo Pansa da liberoquotidiano.it

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