Fonte: http://www.lindro.it
Url fonte: http://www.lindro.it/economia/2014-09-26/143870-storie-dellaltra-italia
di Madela Canepa 26 settembre 2014
C’è una realtà economica italiana diffusa che funziona e la quale non vale il generale de profundis economico e morale. E’ un mondo nel quale le aziende non sopravvivono a fatica, ma registrano aumenti del fatturato vicini al 40%, assumono nuovi dipendenti, scommettono sui talenti, investono in ricerca. E’ tangibile e per vederlo basta voler conoscere meglio i territori e leggere la realtà nei suoi diversi piani, sapere che esiste anche un concetto di competitività “altro” da quello che conosciamo. Un concetto che affonda le sue radici in un humus reso prolifico dalla capacità di creare legami e coesione su tutti i piani: fra i dipendenti, con le istituzioni, il territorio, i fornitori… Non solo, questo mondo si avvale di un dizionario nel quale spiccano termini come “azionariato diffuso”, “riappropriazione”, “rigenerazione”, “distretti”, “cooperative”, “sharing economy”. Ma soprattutto “co-progettazione”, “co-finanziamento”, “co-management”…
La capacità di creare coesione tra l’azienda e le diverse parti della società è infatti il minimo comune denominatore tra queste imprese secondo una ricerca realizzata a cura di Unioncamere, Symbola e il Consorzio Aaster. “Siamo in una tempesta perfetta” osserva Ermete Realacci, deputato e presidente di Symbola. “E in un mondo che cambia velocemente, è importante capire che l’Italia deve giocare bene le sue carte perché quando lo fa vince”. Realacci si riferisce, ad esempio, al più 10% di export realizzato dall’Industria degli occhiali italiani negli ultimi sei mesi, e ad altri risultati positivi registrati. Nell’introduzione della ricerca “Coesione è competizione”, che Realacci firma insieme a Aldo Bonomi, direttore del Consorzio Aaster, e Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere si sottolinea, ad esempio, che dall’inizio della crisi il fatturato estero della manifattura italiana è cresciuto più di quello tedesco (+ 16,5% contro 11,6%) e che l’export legato a cultura e creatività ha registrato il più 35% tra il 2009 e il 2013.
“L’Italia che vince è quella che scommette sulla soft economy” continua “se la si osserva, si scopre che nel suo retroterra c’è un forte legame tra le imprese e il loro territorio. Quel rapporto è un potente elemento di competitività”. E cita l’economista John Kenneth Galbraith e il suo pensiero su come l’Italia, pur non eccellendo su alcun fronte particolare (il management industriale o la gestione amministrativa e politica, ad esempio), nel dopoguerra sia riuscita a diventare una potenza economica. La ragione stava nell’aver «incorporato nei suoi prodotti – come scrive lo stesso Galbraith – una componente essenziale di cultura e che città come Milano, Parma, Firenze, Siena, Venezia, Roma, Napoli e Palermo, pur avendo infrastrutture molto carenti, possono vantare nel loro standard di vita una maggiore quantità di bellezza. Molto più che l’indice economico del Pil, nel futuro il livello estetico diventerà sempre più decisivo per indicare il progresso della società».
In quella stessa ottica, è la tesi della ricerca dal titolo “Coesione è competizione”, il sistema di relazioni, anche quando poco codificato, rappresenta un fondamentale punto di forza. “Aziende come Ferrero che si prende cura degli ex dipendenti attraverso la sua fondazione – conclude Ermete Realacci – svolgono un lavoro importantissimo per il territorio. La stessa logica di Olivetti che faceva dei rapporti con i lavoratori e con il territorio una leva determinante per il sistema produttivo”.
Viene così in mente il caso di Alessi: nel 2013, il progetto “Buon Lavoro – La fabbrica per la città” ha messo a disposizione della comunità di Omegna, dove l’impresa ha sede, il lavoro di 307 operai su un totale di 340, e lo ha impiegato in lavori socialmente utili come alternativa alla cassa integrazione. Alessi ha pagato i lavoratori per svolgere attività di manutenzione ordinaria e straordinaria: la pulizia dei giardini, la tinteggiatura della scuola e così via. “Un’idea di mio padre Michele – racconta Nicoletta Alessi, responsabile della Corporate social responsibility – che ha creato un circolo virtuoso di collaborazioni, anche se di entità diverse, da parte di altre aziende e dei cittadini stessi. Un’idea totalmente coerente con la cultura d’azienda: “un buon imprenditore deve saper mantenere un giusto e costante equilibrio tra il suo essere datore di lavoro quindi attore della comunità, produrre o qualità e generare reddito per poi distribuirlo”. Il progetto ha avuto un’edizione 2014 anche se più light.
La capacità di mettere insieme, di fare rete, insomma ha un impatto positivo forte sulla competitività aziendale e di conseguenza una sua convenienza. I numeri presentati in “Coesione è competizione” parlano chiaro: le aziende prese in considerazione – cioè quelle capaci di tessere rapporti con il territorio – hanno registrato nel 2013 aumenti del fatturato, rispetto al 2012, nel 39% dei casi. Fra le imprese che non hanno dimostrato questa dote, la quota non va oltre il 31%. Ed è nella tenuta dei territori che si ottiene il ritorno più evidente della coesione. Le imprese “coesive” si dimostrano più dinamiche in campo occupazionale: il 22% ha dichiarato un aumento degli occupati tra il 2012 e il 2013, contro il 15% delle altre imprese.
In particolare, quelle che hanno scelto il terzo settore come partner della relazione, nel 2013 hanno registrato aumenti nel numero di occupati, rispetto al 2012, nel 22% dei casi, contro il 17% delle imprese che queste relazioni non le hanno volute o sapute costruire. Le imprese che hanno rafforzato negli ultimi due anni le relazioni con gli enti locali o con le Camere di commercio, hanno ottenuto, sempre nel 2013, un aumento degli occupati del 24% contro il solo 15% nel caso delle imprese che hanno allentato le relazioni con le istituzioni. Mentre il 45% delle imprese che hanno rapporti diretti di condivisione web con i consumatori attraverso i diversi social network o gli altrettanto numerosi canali del marketing on line, attendono per la fine dell’anno interessanti aumenti del fatturato e più 57% per gli ordinativi esteri. Diversa la prospettiva per le altre imprese: è previsto che le loro quote si abbassino, rispettivamente, al 37 e al 46%.
Fra le aziende capaci di creare rapporti con i diversi attori del territorio c’è Cangiari (che in calabrese significa ‘cambiare’) – altro caso citato dal dossier – nata per produrre tessuti al telaio a mano, secondo l’antica tradizione della tessitura calabrese, ma unita a ricerca e innovazione e abbinata a una forte attenzione all’ambiente. La filiera di produzione di Cangiari è made in Italy, formata da cooperative sociali del gruppo cooperativo Goel che si prendono cura delle fasce più deboli e operano per il riscatto del territorio, perché come recita una sorta di motto dell’azienda “l’etica non può più accontentarsi di essere solo giusta ma deve divenire efficace”.
E c’è Tecnhogym, produttore internazionale di attrezzatura per il fitness, che ha creato una vera e propria wellness valley in Romagna coinvolgendo tutti gli attori e promuovendo il territorio facendo leva sulla qualità della vita come opportunità sociale ed economica. E non si può non citare l’imprenditore Renzo Rosso, fondatore del marchio Diesel: siglando un accordo di riverse factoring da 50 milioni di euro con Bnl ha garantito un credito agevolato – con tassi del 2-2,5% contro quelli di mercato del 12-13% – alla filiera delle sue imprese fornitrici. Crediti ai quali le aziende possono accedere solo dimostrando alti standard di qualità.
Mentre Fondazione Cariplo, che ha fatto del legame con il territorio tutta la sua storia e attività con risultati universalmente riconosciuti, ha voluto fare un passo oltre con il bando “Welfare di comunità e innovazione sociale”. E’ stato lanciato lo scorso marzo e i risultati sono attesi per il 2015 dopo mesi di lavoro intenso insieme ai 20 progetti scelti da una prima scrematura su 85. Un’iniziativa con la quale si vuole raccogliere idee dal basso da reti che coinvolgano soggetti di uno stesso territorio per individuare soluzioni innovative ai problemi del welfare italiano. “Per questo bando che vuole coinvolgere gli attori del welfare non convenzionale” spiega Davide Invernizzi, direttore area servizi alla persona “abbiamo modificato il nostro classico schema di selezione mettendo a disposizione dei progetti servizi oltre ad attività di comunicazione”. Punta a sfruttare le risorse economiche, ma anche quelle relazionali e immateriali, il progetto Ipo solidale, ora in fase sperimentale, attraverso il quale Fondazione Cariplo cerca un abbinamento tra aziende in fase di quotazione e progetti neonati, mirato a dare a questi ultimi un futuro.
Molti ancora i nomi di aziende che hanno successo e di progetti che funzionano grazie alla capacità di creare reti di rapporti, in ogni settore, forma organizzativa e abbinamento: Gucci, Brunello Cucinelli (abbigliamento), Frescobaldi (vini), Coesia (macchine automatiche avanzate), Oltre Ventura (venture philantropy), via Padova36 (housing sociale), e ancora Farm Cultural Park (centro culturale) o Milkyway (comunità digitache che produce e vende attrezature per il bike-trial), Bi10Nix (softare e hardware), solo per citare qualche esempio. Per fortuna, infatti, la lista è molto lunga.