di Alfredo Morganti – 16 giugno 2016
Si cita il tripolarismo politico per rivendicare la necessità di un premio maggioritario. Si dice: se non ci fosse ballottaggio con premio, l’Italia sarebbe ingovernabile. Perché? Perché nessuno prevarrebbe, e il vincente sarebbe più che altro un non-perdente, con conseguenti larghe intese (‘inciucio’ dice Renzi). Come peraltro sarebbe già accaduto a Bersani, si chiosa ammiccando, da cui è poi nato il governo Letta. Dietro questo misero ragionamento c’è tutta la scienza politica di chi oggi predomina, e impone leggi come l’Italicum, ossia l’assegnazione del premio maggioritario a una forza che, pur vincendo il ballottaggio, in considerazione anche dell’astensione, resterebbe minoritaria comunque nel Paese.
Si scambia la crisi di rappresentanza con una crisi di governabilità. Si dice che il Paese non funziona perché mancherebbe uno strumento ‘tecnico’ capace di trasformare in governo forte il caos sociale e la frammentazione politica. Uno strumento che l’esecutivo ha individuato nel premio-doping del 55% a chi vince in finale il torneo politico. Ma se la crisi è di rappresentanza, e così è, se tra la politica e la società c’è un baratro che tende ad ampliarsi, com’è possibile ritenere che, rafforzando un lato di quell’abisso (quello politico) il baratro stesso potrebbe ricongiungersi? Non servirebbe piuttosto un ponte, in assenza di un cataclisma che risani la ferita?
È facile considerare che, se si assegna uno scettro maggioritario alla forza minoritaria che vince il ballottaggio, non per questo il tripolarismo (ossia la frammentazione politica che rappresenta una frammentazione sociale) scompare. Non per questo la maggioranza in Parlamento diventa una maggioranza anche nel Paese. L’idea che il maggioritario abbia il ‘magic touch’ di modificare ANCHE la composizione sociale e i rapporti di forza nel Paese è davvero ridicola. A meno che non si vada a vie di fatto, e il governo maggioritario (ma minoritario) con modalità poco ortodosse dia una smazzata al corpo sociale e lo adegui ex post.
Io credo, invece, che bisognerebbe fare di più i conti con il tripolarismo sociale, ossia con l’area di grande disagio che è (essa sì) maggioritaria nel Paese e si esprime nella frammentazione dello spettro politico, nel voto di protesta e nel non-voto. Non basta una sciocca scorciatoia maggioritaria a sanare la crisi di rappresentanza, di sfiducia e di aspettative collettive. Anzi, il maggioritario questo gap lo amplia, peggiora le cose invece di migliorarle. Guardate in Francia: hanno il semipresidenzialismo, lo Stato forte e accentrato, eppure il Paese reale ribolle, è fuori rappresentanza. Non bastano in questo caso i coperchi, per quanto di ghisa, a comprimere le differenze.
La governabilità non è la supremazia del politico sul sociale, non è l’esecutivo asserragliato a Palazzo Chigi, forte dei nominati in Parlamento, ma debole di fronte al tripolarismo sociale. La governabilità non può essere il marchio a fuoco del governo sui processi, i disagi reali e le sofferenze diffuse anche nel ceto medio. La governabilità è, invece, un Paese che torna a sentirsi rappresentato, che torna ad avere fiducia, che esce dal conformismo e dalla cortigianeria per rispondere con la partecipazione alle sfide attuali e alla crisi politica, sociale ed economica. E la fiducia non è il frutto degli annunci, degli hashtag e delle esortazioni di un quarantenne che resta outsider anche seduto al tavolo tondo del G7,ma un sentimento reale e una risposta sentita e diffusa alla rappresentanza che non c’è. Affinché torni a esserci.