UNA VOCE CHE PARLA A NOI
Faccio un tentativo di dissidenza dal triste avvicendarsi delle notizie che affliggono l’anima e su cui non vale soffermarmi. Uno sguardo in basso e si affonda, un dubbio ci tortura, il timore ci paralizza. I nostri occhi dovrebbero invece essere fissi in alto. Il Cosmo non è retto solo da leggi naturali neutre, ma ha ben altre leggi e forze a disposizione, perché accoglie ciò che è giusto, bello e buono.
Che fine fa quello che irradiamo con gli atti volitivi, il sentimento e il pensiero? Succede che lasciamo dietro di noi delle fini ombre. Esse rimangono senza estinguersi, e questo è l’elemento che appare fantastico e sorprendente. Il Cosmo accoglie e accetta ciò che è giusto rispetto al pensiero, bello nel sentire e buono nel volere. E questo si può manifestare in simboli e in figure, per esempio nella poesia, per poi riverberare nelle anime. Allora ognuno può essere centro di irradiazione, basta solo vivere internamente quella immagine, quelle parole, quel sentire. L’orazione si regge sulle stesse regole. Se tutto viene meno, quanto più tutto sembra perduto, è il momento per ritrovare la cerimonia e l’attenzione, il rito e la liturgia. È un cammino impervio, come nella preghiera vissuta intensamente, ma quale percorso spirituale non è impervio in questi momenti? La mutua comprensione è in gioco oggi, riconoscere l’altro e l’altra.
Ho scelto delle poesie di Emily Dickinson a tale scopo. Tutte dirette al cuore. Le ho sentite molto prossime a me e le propongo all’attenzione.
La prima ci parla della mediazione con l’altra anima, per invitarci ad assumere uno sguardo senz’ombre, per vivere la relazione trasfigurata nella coscienza.
Celebrarti-mi è concesso? Allora lo farò senza dir nulla di nuovo-se non la vera verità sull’essere tuo celeste. Il solo percepirti è prova che siamo fatti di cielo. Il prendere parte in te pegno di vita immortale.
La seconda allude alla rinuncia, a mio vedere esilio da illusioni ed egoismo.
Salgo col mio fardello il colle della vita. Se lo trovo scosceso, se lo scoraggiamento mi trattiene, se l’ultimo passo è già più vecchio della speranza che lo suggerì-pure non cada biasimo sul cuore che propose e sul cuore che accettò l’esilio come patria e per casa non averne alcuna.
Nella terza c’è l’accettazione dell’altra anima nei momenti difficili, è l’amore incondizionato.
Svanì la casa, s’annebbiarono i volti, poco divario ebbe per me la natura; splendesse il sole o la tempesta infuriasse, di nulla mi curavo. Lasciai cadere il mio destino, timida pietruzza nel tuo mare più audace. E tu chiedimi, amore, se ho rimpianti-mettimi alla prova!
Ancora due frammenti.
Dentro il mio fiore mi celo, perché-mentre sbiadisce dal tuo vaso-tu avverta per me, senza saperlo, quasi una solitudine.
È un errore di calcolo:” Vien poi l’Eternità” diciamo, come fosse una stazione. Mentre è tanto vicina che mi accompagna nella passeggiata e condivide la mia casa. Ed amico non ho più pertinace di questa Eternità.
FILOTEO NICOLINI