di Mariano Fasciolo
Il sole non si è ancora coricato al riparo sicuro delle cime innevate quando risuona, nobile e misterioso, un lunghissimo ululato che riempie la vallata di struggente, dolce malinconia…
Narra la leggenda che da tempo immemorabile, ogni giorno poco prima del tramonto, il dio dei lupi faccia sentire la sua voce, ed allora uomini, animali e addirittura le piante si immobilizzino, soggiogati da quel lamento, misto di amore e di dolore antico.
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Ci fu un tempo in cui quella terra ricca e generosa era il regno incontrastato del lupo, ed ogni creatura aveva timore ad inoltrarsi, a notte fonda, nella foresta buia e minacciosa.
Mio padre vide la luce in una notte di luna piena, nel mezzo di un’abetaia bianca di neve e divenne ben presto un maestoso esemplare di lupo canadese, col pelo setoso quasi immacolato, fatta eccezione per delle curiose macchie fulve sui fianchi:erano forse i segni di un imperscrutabile destino, essendo anche molto più robusto dei suoi numerosi fratelli.
Divenuto adulto si trovò a dover combattere contro altri suoi coetanei per il possesso della femmina che un giorno sarebbe diventata mia madre, ma la sua mole, unita al coraggio ed all’enorme forza innati, gli permisero di prevalere su tutti gli avversari.
Da quel momento il branco della foresta di Winnipeg aveva trovato un capo, non c’era più nulla da temere.
Venne la fine dell’inverno, i fiori cominciarono a mostrare i primi timidi germogli, gli alberi e i monti lasciarono poco alla volta il bianco sbiadito della neve per colorarsi dei colori freschi della primavera.
Era stato un anno molto rigido, ma i lupi della valle avevano resistito ed ora la vita sarebbe stata più facile, non era necessario stare nel branco, tutti erano liberi di cacciare, correre e giocare, cantando alla luna.
Mia mamma invece non poteva muoversi come avrebbe voluto: un pesante fardello le piegava quel corpo così snello, il suo pelo immacolato, di solito lucente e morbido, ingialliva diradandosi, e dopo poche settimane si compì il destino.
Nacquero cinque batuffoli di pelo, tre grigi, uno rosso ed uno nero con una macchia dorata sulla fronte.
Nostro padre, Pelliccia Candida, non mostrò un particolare interesse e noi crescemmo sotto lo sguardo vigile e premuroso di Occhio Lucente, nostra madre, che dapprima ci allattò generosamente, quindi cacciò piccoli animali per placare la nostra fame continua.
Fu quello il periodo più spensierato della mia vita, io Goccia D’Oro giocavo assieme ai miei tre fratelli Zampa D’Orso, Coda Di Seta, Naso Maculato ed a mia sorella Rosalba, un nome un po’curioso per una lupa splendida con la pelliccia di un bel rosso vivo e gli occhi verdi, come la madre.
Zampa D’ Orso diventava forte e grande come il padre e quando lottava con noi per gioco ci strapazzava con le sue enormi zampe, però alla fine alleandoci riuscivamo a bloccarlo, approfittando della sua ingenuità.
Che giorni meravigliosi furono quelli! Vivevamo tutti insieme, amati e rispettati dal resto del branco, ma maggiore fu la mia gioia quando una sera Pelliccia Candida decise di portarmi, finalmente, con lui a caccia.
Questo era stato, fino ad ora , un privilegio di Zampa D’Orso e tutte le volte che tornavano da quell’avventura avevano in bocca una lepre o perfino un daino ciascuno.
Che emozione era correre in mezzo a prati sconfinati o su per impervi passaggi sui monti.
Tutti i miei sensi erano all’erta, il mio naso sensibile cercava di percepire il più piccolo mutamento di odore,alla ricerca di succulenta selvaggina.
-Andiamo verso il lago, stammi sempre vicino.-sentenziò mio padre; ed io ero orgoglioso di essere stato scelto da un cacciatore così esperto.
La foresta era immensa e fonda, la luce della luna penetrava solo a tratti tra quegli alberi folti e altissimi, creando un’atmosfera sinistra ed irreale: noi procedevamo rapidi e guardinghi, due macchie del tutto contrastanti in uno sfondo verde cupo.
Un fruscìo accanto a me destò improvvisamente la mia attenzione: una lepre saltò fuori da un cespuglio, terrorizzata dalla nostra presenza, ma Pelliccia Candida mi fece un cenno col muso, mormorando a denti stretti :
-Lascia stare,stasera si fa caccia grossa…-
Ed io rinunciai all’inseguimento un po’ a malincuore, stupito per questa inaspettata rinuncia.
Giungemmo infine sopra ad una collina da dove si poteva scorgere, calma e minacciosa, una distesa d’acqua infinita: quello doveva essere il lago e per me fu uno spettacolo unico, non avevo mai visto tanta acqua che i raggi della luna rendevano simile al cristallo, mentre piccole onde si frangevano tranquille contro i tronchi di querce secolari.
-Adesso stammi bene a sentire,-disse mio padre-laggiù vanno a bere molti animali e questo dovrebbe essere il momento, si tratta solo di aspettare e vedrai…-
A conferma di tali parole udimmo un rumore di foglie smosse che proveniva dal fondovalle, poi uno alla volta comparvero numerosi alci che procedevano lenti e maestosi sulla spianata in riva al lago.
Sentivo distintamente i battiti del mio cuore ed avrei voluto precipitarmi allo scoperto verso quei colli flessuosi che si protendevano sull’acqua per abbeverarsi, ma un gesto di mio padre mi bloccò, mormorandomi -Vedi, figliolo, ci vuole molta pazienza per diventare un buon cacciatore, bisogna attendere il momento propizio senza farsi travolgere dall’istinto, hai capito?-
-Sì,papà ma…-risposi interdetto.
-Ecco, guarda, là sulla sinistra ce n’è uno per conto suo, sarà la nostra preda.-
Ed allora vidi lontano dagli altri quel magnifico animale che alzava ed abbassava la testa con gesti compassati, fiero e sicuro della propria solitudine, mentre le corna brune riflettevano ombre paurose sullo specchio incantato del lago.
-Ora il problema maggiore è avvicinarsi senza che lui se ne accorga e metta tutti in allarme, sarebbe molto pericoloso per noi! -continuò mio padre-
Quindi io andrò alle sue spalle, mentre tu gli chiuderai la fuga stando quaggiù a metà della discesa, d’accordo?-
Non ebbi neppure il tempo di annuire che quel lupo imponente si era appiattito come un gatto selvatico e, procedendo sottovento, si avvicinò alla sua vittima.
Stavo diligentemente prendendo posizione quando udii uno scalpiccio affannoso e , alzata la testa, vidi l’alce dirigersi a corna basse nella mia direzione, mentre il resto del gruppo si disperdeva disordinatamente, come foglie impazzite nel turbine del vento di tramontana.
Successe tutto in un attimo, intanto che sentivo una voce dentro di me che diceva ”Azzannalo,dai che aspetti?Azzannalo…”
Ricordo che scartai di lato per evitare di venire infilzato, ma qualcosa di molto duro mi colpì e fu il buio totale.
Quando rinvenni mio padre stava leccandomi la fronte, che era raddoppiata di volume ed io vedevo il mondo intorno a me come ovattato, mentre le sue parole mi giungevano da una distanza infinita :
-Sei stato imprudente, però in parte è colpa mia che ho spaventato l’alce, forse ha avvertito il mio odore…certo che ti ha fatto un bel bernoccolo, una zoccolata probabilmente… –
Mi rialzai a fatica intanto che vergogna,delusione ed orgoglio si mescolavano nella mia testa frastornata, e quando vidi poco distante il corpo senza vita dell’alce, pensai che non sarei mai diventato un vero lupo delle montagne.
Il ritorno alla tana fu lungo e faticoso, non so come riuscimmo a trascinare quella mole gigantesca, ma il bisogno di riscatto agli occhi di mio padre mi centuplicò le forze e, quando giungemmo all’abetaia tutta la muta ci venne incontro festante: di colpo dimenticai la mia disavventura, mentre affondavo i denti nella carne fresca e saporita.
E quella fu davvero una notte memorabile.
L’estate passò in fretta e così l’autunno, tra cacce emozionanti e giochi spensierati, finché un giorno Pelliccia Candida, dopo essersi consultato con gli anziani lupi del branco, decise che ci si doveva trasferire verso sud, in terre più ospitali e ricche per l’inverno.
Quel giorno procedevamo in fila indiana, attenti a ricalcare le orme di mio padre, quando, durante una sosta per riposarsi, Coda Di Seta pensò di divertirsi a giocare nella neve vergine e si avventurò lontano dalla muta, incurante dei richiami di nostra madre.
Zampa D’Orso ed io decidemmo di seguirlo immediatamente, più per spirito di emulazione che per riportarlo nel gruppo.
Tanto, che pericolo c’era?
Correvamo a perdifiato in mezzo a pini altissimi, divertendoci a spaventare lepri e scoiattoli che incontravamo nascosti tra i cespugli e Coda Di Seta procedeva a zig-zag avanti a noi, quando vidi nella sua direzione un filo di fumo azzurro levarsi dalla cima degli alberi.
-Sarà un incendio…-disse Zampa D’Orso, senza troppa convinzione e, spinti dalla curiosità visto che non era certo stagione da incendi, pensammo di seguire nostro fratello.
Fu ad una svolta del bosco che incontrai l’animale più strano che mai mi fu dato di vedere : gli piombai addosso, mentre i miei fratelli erano a debita distanza, stupiti quanto me di quella scoperta.
Era non più alto di un piccolo daino,solo che stava sulle zampe posteriori come fanno a volte gli scoiattoli o i castori, ma invece della loro bella pelliccia, era coperto da una curiosa pelle tutta colorata.
Intorno al muso, molto pallido, gli era cresciuta una lunga criniera di un giallo intenso, che portava intrecciata e cadente lungo le spalle magre.
Decisamente non era una creatura troppo attraente e mi osservava con espressione terrorizzata, gli occhi e la bocca spalancati, anche se io non sentivo una particolare avversità nei suoi confronti.
Perciò, a dimostrazione della mia benevolenza, gli mostrai con fierezza le mie forti zanne, sollevando le labbra in un timido sorriso, col risultato che questo buffo animale spalancò ancora di più gli occhi e la bocca fino a farne uscire un urlo stridulo e acutissimo che mi fece indietreggiare sorpreso.
Non avemmo il tempo di abbozzare una difesa a quella reazione insolita che, da dietro una quercia poco distante, comparve un altro esemplare simile a lui, però molto più alto, che teneva uno strano bastone all’altezza degli occhi e ci guardava.
Ciò che accadde negli istanti seguenti fu così confuso che stento a ricordare: quell’essere puntò il bastone, si sentì un colpo sordo ed una nuvola di neve ci investì, istintivamente Zampa D’Orso ed io ci demmo ad una fuga disordinata.
Mentre correvo con la lingua penzoloni ho stampato nella mente il ricordo del corpo di Coda Di Seta letteralmente scagliato in aria e la sua coda, la sua folta coda grigia tutta picchiettata di rosso è l’ultima, dolorosa immagine che mi resta.
Quando giungemmo nel prato dove era rimasto il branco eravamo storditi, spaventati, non riuscivamo a spiegare chiaramente quello che era successo, ma i nostri genitori si accorsero dell’assenza di nostro fratello ed allora fummo costretti a confessare l’inenarrabile verità.
Occhio Lucente proruppe in un guaito così triste che mi fermò il cuore e nostro padre disse, con voce rotta :
– E’ accaduto ciò che speravo non dovesse mai capitare, avete incontrato il nostro peggior nemico, l’uomo-.
Dopo pochi istanti nostra madre ci chiamò tutti in disparte e, con gli occhi velati di lacrime, cominciò a raccontare :
-Vedete, figli miei, prima di conoscere vostro padre vivevo in un altro branco con i genitori, gli amici, i fratelli e stavamo bene, niente turbava la nostra serenità.
Un brutto giorno vennero nel bosco tanti… uomini e la pace finì: nessuno scampò, essi avevano quei legni che chiamano fucili e la neve si tinse del sangue di tutti i miei cari.
Io fui fortunata perché mi nascosi tra le radici di un albero cavo e nessuno mi notò, ma quella tragedia è impressa per sempre nella mia mente e non mi perdonerò mai per non avervelo raccontato prima.
Forse… forse Coda Di Seta sarebbe ancora vivo se…- si interruppe singhiozzando Occhio Lucente.
In quel momento intervenne Pelliccia Candida che si avvicinò alla sua lupa con tenere zampate consolatorie.
– Vostra madre ha ragione, avremmo dovuto avvisarvi dell’estremo pericolo che rappresenta per noi la razza umana, però speravamo che non l’avreste incontrata mai.-
-Perché non li attacchiamo laggiù nel bosco?-esordì Zampa D’Orso, che fremeva di rabbia, schiumando saliva dalle zanne contratte.
-Perché no,- rispose nostro padre – perché sicuramente ha una casa là dove l’avete trovato e può difendersi molto bene.-
-Ma…-obiettammo tutti in coro.
-E’ troppo forte e troppo astuto…-
– E noi non uccidiamo mai per vendetta!- concluse perentoria nostra madre.
Quindi si allontanarono, i due genitori curvi e sconfitti, cantando il loro dolore infinito al cielo nero e indifferente, e rimasero per la notte intera appartati ad aspettare il ritorno del figlio perduto.
Stavo ad ascoltare quegli ululati strazianti e non riuscivo a comprendere il comportamento di mio padre.
”Che sia diventato un codardo?” pensai, ma subito me ne vergognai, intanto che un sentimento preciso si era affacciato nel mio animo, un odio freddo, lucido verso coloro che avevano rovinato la gaia spensieratezza della mia gioventù.
Passai una notte agitata,tra fantasmi e ombre paurose di uomini che mi sparavano senza colpirmi, finché venne l’alba che salutai con sollievo, nonostante avessi ancora nelle ossa e nei muscoli intirizziti una stanchezza pesante.
Ripartimmo quindi in mesta processione giù per i pendii carichi di neve alla quotidiana ricerca di cibo.
Fu un inverno lungo e tragico, gli animali della foresta erano come volatilizzati, si sentiva nell’aria la presenza dell’essere umano e quando, stufi di cibarci di radici, funghi e perfino insetti , ci avventuravamo verso fattorie isolate, la conquista di una pecora era pagata un alto prezzo: trappole, fucilate,carne avvelenata erano i mezzi più comuni che l’uomo usava per combattere la sua guerra sleale ed era in quegli attacchi che mi distinguevo per determinazione e ferocia.
I più deboli e quelli più anziani del branco non ressero alla carestia forzata e noi sopravvivemmo grazie al loro sacrificio:non provai alcun rimorso quando addentai il corpo di Faccia Di Volpe, che pure era stato mio amico, né quando toccò al vecchio e saggio Pelo Giallo, tutti obbedivamo alla legge del branco, la legge della vita ad ogni costo che permise a molti di noi di salutare con trepidazione l’arrivo della primavera.
Il primo segnale fu la rinnovata allegria del canto di tutti gli uccelli, che accompagnava il frenetico lavoro dei castori giù al fiume, mentre api e farfalle ricominciavano il loro volo sui primi fiori sbocciati, ognuno partecipe in perfetta sintonia con quella festa di suoni e colori.
Mia sorella Rosalba era corteggiatissima, tanto che scoppiavano lotte furibonde ogni momento per averne le attenzioni; Naso Maculato, di solito timido e riservato, cominciava a dar segni di irrequietezza da quando aveva notato una giovane lupa chiazzata di grigio e marrone che gli passeggiava sempre attorno.
Io consideravo con sufficienza e grande senso di superiorità queste manifestazioni di strana euforia, preferivo di gran lunga giocare con gli amici sulle sponde del fiume, cercando magari di prendere qualche pesce, oppure imparare a salire sugli alberi, con risultati per la verità poco incoraggianti.
Fu proprio durante l’ennesimo tentativo di scalare il tronco di una betulla che, cadendo rovinosamente a terra, sentii alle mie spalle una risata fresca, come il rumore dell’acqua che sgorga dalla sorgente.
Mi voltai e la vidi:era una lupa bianca, eterea, quasi trasparente, con una figura slanciata e superba e mi osservava incuriosita, lo sguardo obliquo dai riflessi grigio-perla.
Provai come uno stordimento, una confusione totale, le zampe mi si appesantirono, la lingua incollata al palato ed in un attimo mi accorsi che ero perduto.
Mi avvicinai a lei con la stessa disinvoltura con cui mi sarei accostato ad un cinghiale e le dissi :
-Non ti ho mai vista in mezzo al branco…io…io mi chiamo Goccia D’Oro e tu?-
Modulò il suo nome -Perla…- con voce calda e flautata, sollevando impercettibilmente le zanne d’avorio.
“Perla, che bel nome! Sei meravigliosa, la creatura più bella che abbia mai visto! Per te prenderei l’alce più maestoso, la luna stessa catturerei per un tuo sorriso!”
Così avrei voluto rispondere e chissà quali altre folli promesse, ma mi venne fuori, invece :
-Beh, si è fatto tardi,ciao Perla…forse ci rivediamo.-
Sentii un flebile “ciao”mentre si allontanava ancheggiando morbida, con gli occhi velati di una sottile delusione.
“Forse ci rivediamo? Che stupido!”
Il giorno appresso mi precipitai nel bosco dove l’avevo conosciuta ed ebbi un’amara sorpresa: era vicino alla stessa betulla, ma accanto si trovava un altro lupo, un grosso lupo grigio, un concorrente purtroppo.
E quale concorrente! Era Zampa D’Orso, che mi osservava con il mio stesso sguardo, non certo fraterno!
“Che guaio! Quali speranze ho di batterlo? E’ quasi il doppio di me, non ce la farò mai!”
Mi tormentavo preoccupato, intanto che lui si avvicinava ringhiando.
Frattanto nel bosco si era radunata una piccola folla, certo un combattimento tra fratelli non era cosa di tutti i giorni!
Però tra i lupi accorsi c’erano anche i nostri genitori e, mentre Pelliccia Candida aveva un’espressione che potrei definire quasi orgogliosa, nostra madre ci guardava ora l’uno, ora l’altro in modo preoccupato, si leggeva in quegli occhi del colore di foglia inquietudine e rabbia contro un destino bizzarro e crudele.
La mia distrazione fu fatale, Zampa D’Orso si avventò su di me con tutta la mole e la potenza del suo corpo e già mi sovrastava, dandomi delle vigorose zampate sul muso e cercando di immobilizzarmi con le sue zanne minacciose.
Io non riuscivo a coordinare i movimenti, la mia difesa era precaria sotto la foga dei suoi continui assalti, quando, per guadagnare tempo e fiato, con una zampa gli lanciai addosso un mucchio di foglie intrise di pioggia e m’accorsi che insieme al fogliame era volato anche un istrice insonnolito.
Fu la mossa vincente: l’animale piombò tra l’orecchio e il collo di mio fratello che, punto da tanti aculei, guaiva di dolore ed io, consapevolmente, ne approfittai.
Gli balzai sulla schiena e con le zanne spalancate gli strinsi delicatamente la nuca : subito si arrestò, smise anche i lamenti e, girando il capo, mi offrì generosamente il suo robusto collo in segno di resa incondizionata.
I lupi intorno a noi rimasero sorpresi e muti quanto me dall’esito dello scontro, ero amareggiato e soddisfatto nel medesimo tempo, mentre vedevo Zampa D’Orso, il compagno di tante cacce, che si avviava mesto in direzione dei nostri genitori.
Potei così notare lo sguardo di mio padre colmo di ammirazione e rispetto e quello di Occhio Lucente, consolatorio verso il figlio sfortunato.
Mi volsi verso la mia compagna e quella sera stessa decidemmo di abbandonare il branco.
I giorni che seguirono furono i più felici della mia vita, scoprivo finalmente gioie sconosciute, Perla era una creatura dolce e affascinante, ogni gesto che compiva aveva una grazia e una naturalezza disarmanti.
Dimenticai ben presto gli amici che avevo lasciato, dimenticai anche i genitori e i fratelli per dedicarmi a colei che aveva dato un senso alla mia esistenza e la sera era bello addormentarsi l’uno accanto all’altra, dopo una giornata di tenerezze, di cacce e di corse pazze lungo un fiume o in mezzo ad una boscaglia.
Passammo un lungo periodo in una estatica, magica ebbrezza, ogni cosa ci appariva incantata, stavamo vivendo il nostro sogno e spesso lepri, cervi, caprioli si stupivano di non essere presi in considerazione da quei due strani lupi, accecati dal troppo amore.
Quando non ci si accorge del tempo che passa perché troppo felici, il risveglio è brusco: l’estate stava languendo e così, preso da una vaga nostalgia, una mattina decisi improvvisamente di tornare dal branco.
Perla era d’accordo ed allora partimmo per la foresta di Winnipeg.
L’accoglienza non fu quella sperata: giungemmo alla foresta di abeti a sera inoltrata e la trovammo deserta, non un lupo che salutasse il nostro arrivo, solo un grande disordine di rami rotti ed anche tracce di sangue vicino alle tane,cupo presagio che qualcosa di grave era accaduto.
Ci mettemmo subito alla ricerca seguendo gli odori che il branco aveva lasciato e percorremmo molta strada verso le montagne, fino a giungere in una stretta gola che portava ad un altipiano.
Quello che i miei occhi videro la mia coscienza rifiutò di accettare: c’erano numerosi uomini che danzavano attorno a dei fuochi agitando dei lunghi bastoni, mentre alcuni di loro percuotevano dei curiosi recipienti, ricavandone un suono cadenzato ed ossessivo.
Ma non fu quello strano spettacolo a sconvolgermi, piuttosto il fatto che ogni essere aveva posata sulla schiena, come ornamento, una pelle di lupo e colui che sembrava il capo, l’unico a non danzare, portava con orgoglio una larga pelliccia bianca con macchie rossastre ai fianchi.
Riconobbi immediatamente mio padre, come vicino riconobbi mia madre, Rosalba, Zampa D’Orso, Naso Maculato e tutti i lupi del branco, era una danza macabra, un incubo assurdo dal quale mi auguravo di svegliarmi al più presto.
Mi bastò osservare un attimo Perla, che appariva dolorosamente afflitta in una espressione di angoscia e pena infinite, e realizzare l’orrenda realtà.
Allora ebbi una trasformazione immediata: lo stupore si trasformò in ira, l’incredulità lasciò il posto a quell’istinto sanguinario che ben conoscevo ed anche la mia compagna ebbe la stessa repentina metamorfosi.
Insieme balzammo fuori dal nascondiglio in direzione di quella massa festante.
Quegli uomini non ebbero il tempo di capire la successione degli eventi, tanta fu la sorpresa nel veder sbucare dal nulla due lupi, uno completamente bianco ed uno nero, che li osservavano carichi di odio.
Il mio obiettivo fu subito chiaro, saltai alla gola di quell’uomo immobile come si fa con un capretto selvatico e Perla fece nel medesimo modo con quello accanto, quindi strappammo loro di dosso le pelli che portavano, intanto che, questa fu la cosa più sorprendente, nessuno reagiva.
Anzi, mentre ci allontanavamo dall’accampamento, vidi distintamente che tutti si erano chinati a terra in una sorta di muta, incomprensibile adorazione.
Giunti alla riva di un fiume gli affidammo quelle misere spoglie ed in silenzio osservammo una sola, ultima volta la corrente che portava via per sempre una parte della nostra vita.
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Le cronache del tempo riferirono che, per diversi anni, due lupi sanguinari terrorizzarono la regione di Winnipeg, colpendo centinaia di pecore, cani, maiali lasciandoli come cibo per linci ed avvoltoi.
In molti cercarono di catturarli,ma invano perché quei crudeli cacciatori erano diventati troppo esperti e rapidi nella fuga.
Poi tutto finì e nessuno seppe più nulla di loro.
Se, però, vi capiterà di passare nei dintorni di Winnipeg potrete trovare una baita di legno ingiallito, dove vive tranquillo un vecchio indiano: con la sua inseparabile pipa bianca sta tutto il giorno sulla veranda a godersi il fresco che giunge dai monti, narrando ai viaggiatori di passaggio storie incredibili di Pellerossa e Giubbe Rosse, dell’epopea favolosa e mitica dei pionieri.
Egli afferma di essere l’ultimo capo di una tribù di Irokesi, da loro chiamato Colui-Che-Ascolta-I-Lupi, e ciò che vi racconterà non è leggenda, come la storia del branco della foresta, perché ad ogni tramonto giunge dalle montagne più inaccessibili quell’ululato sempre uguale,così intenso, affascinante, misterioso.
Il fiero guerriero, scuotendo la pipa sulla balaustra con gesto abituale, tende l’orecchio alle voci lontane di Perla e di Goccia D’Oro che cantano l’eterno amore che li unisce e la pena profonda per la crudeltà e l’incomprensione degli uomini.