Zagrebelsky replica a Ricolfi, l’idea della sinistra blu e quegli equivoci sui diritti

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Vladimiro Zagrebelsky
Fonte: La stampa

Zagrebelsky replica a Ricolfi, l’idea della sinistra blu e quegli equivoci sui diritti

La bella intervista di Mirella Serri a Luca Ricolfi, a partire dal titolo che presentandola ne orienta la lettura ( “Ci vorrebbe una sinistra blu”), sollecita ulteriori considerazioni, anche su una certa tendenza all’assimilazione in blocco di destra/sinistra alla dicotomia diritti civili/diritti sociali. Ne segue l’idea di un necessario conflitto tra l’uno e l’altro delle due coppie. Un conflitto storicamente accertato, ma ora meno evidente e meno capace di guidare nell’uso di etichette definitorie, che si vorrebbero chiare e distinte. Come non è netto il confine tra diritti civili e diritti sociali, così – almeno sul terreno dei diritti – è sempre meno utilizzabile la nozione di destra e sinistra.

Il tema è antico e riguarda i diritti civili e politici come quelli sociali: il loro rapporto, le reciproche priorità e compatibilità. Dei primi siamo debitori alla Rivoluzione francese con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, oltre che al Bill of Rights americano. L’elenco è ravvivato e attualizzato in Europa dalla Convenzione europea dei diritti umani e dalle Costituzioni nazionali. I secondi, quelli sociali riguardano temi come il lavoro, la sanità, la scuola, il fisco, povertà. Presi uno per uno, spesso non indicano significativa caratterizzazione di partito; nel senso che gli schieramenti, quando ci sono, vedono atteggiamenti diversificati, diritto per diritto, non presi in blocco. E in Italia le posizioni assunte dai politici che si dichiarano cattolici si dichiarano trasversalmente, sfuggendo ai recinti partici, suscitando divisioni interne. Distanziandosi dalla laicità, confessionalismo e tradizionalismo cattolico emergono a destra come a sinistra, ove gruppi e sottogruppi, distinguendosi dalle posizioni ufficiali dei partiti (se ci sono), sollevano “questioni di coscienza” o procurano paralisi, assumendo una connotazione loro propria. Rispetto ad essa il ricorso alle categorie politiche della destra e della sinistra richiederebbe precisazioni tali da renderlo difficile.

Quando sono emersi sul piano politico, i diritti umani si sono espressi in Occidente in dichiarazioni e atti costituzionali, con l’attenzione puntata in primo luogo sui diritti individuali, civili e politici. Tale essenzialmente è l’elenco dei diritti della francese Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e del Bill of Rights americano. Diritti che si dicono borghesi con epiteto negativo, per sottolinearne la corrispondenza agli interessi della sola classe sociale capace di concretamente goderne. Vero, ma quei diritti sono il frutto della finalmente riconosciuta eguaglianza, negazione del precedente sistema fondato su principi di diseguaglianza sociale (nobili, clero, terzo stato) o addirittura, a lungo in Russia, sulla servitù della gleba. Come ricorrere ai concetti di destra e di sinistra? Diverso evidentemente è il caso della rivendicazione dei diritti sociali, anche se non sono netti i confini tra questi e quelli civili. I due corpi di diritti, invece di unirsi, sono entrati in competizione, così radicando il conflitto politico e sociale tra borghesia e classe operaia. E poi tra il mondo occidentale e quello di obbedienza sovietica, come fu chiaro nel secondo Dopoguerra, quando la comunità internazionale ha voluto assumere la responsabilità della protezione dei diritti fondamentali. Così la Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dall’Assemblea dell’ONU nel 1948, pur pretendendo, fin dal titolo, di avere universale valenza, non ha ottenuto il voto unanime della Assemblea. E, alla ricerca della unanimità, non bastò negare alla Dichiarazione il valore vincolante che avrebbe avuto un Trattato internazionale. Furono poi necessari nel 1966 due Patti internazionali (quello dei diritti civili e politici e quello dei diritti economici, sociali e culturali), con due separati elenchi di diritti e la possibilità, per gli Stati, di ratificare l’uno e non l’altro. Per conseguenza sembrò facile etichettare i diritti civili e politici come propri della destra politica e quelli sociali come della sinistra. Una infondata semplificazione, poiché esiste una destra sociale e non vi è ragione perché a sinistra non si apprezzino le libertà individuali. Tanto più che per molti diritti e molte libertà è difficile dire se siano classificabili nell’una o nell’altra categoria.

Tendenzialmente i diritti sociali e quelli civili pongono alle autorità pubbliche obblighi diversi: i primi hanno bisogno di interventi positivi e costosi, mentre i secondi, essenzialmente e prima di tutto pretendono l’astensione dello Stato da interferenze nella libertà delle persone. Ma il riconoscimento degli uni non esclude quello degli altri. Anzi i condizionamenti reciproci sono strettissimi. I diritti sociali al lavoro, all’istruzione, alla salute devono essere assicurati perché sia possibile il concreto esercizio dei diritti di libertà e perché sia rispettata la dignità di ogni persona, radice di tutti i diritti. Così, ad esempio, dal divieto di trattamenti inumani o degradanti (diritto civile), la Corte europea dei diritti umani ha derivato l’obbligo (sociale) degli Stati di fornire alloggio ai migranti richiedenti asilo, costretti a vivere per strada. Vi sono infatti condizioni sociali in assenza delle quali i diritti e le libertà civili individuali sono negati. Esemplare è la recente esperienza della pandemia, che, in considerazione del diritto sociale e collettivo alla salute, ha imposto limitazioni ad alcuni diritti individuali.

Artificiale è dunque la separazione dei diritti civili individuali dai diritti sociali e non ha senso limitare l’impegno politico agli uni e non agli altri caratterizzando così i gruppi politici, come di destra o di sinistra, o rappresentativi di diversi ed opposti ambiti sociali. Non destra e sinistra, ma, usando l’immagine della ZTL come indicatrice di posizioni elettorali e politiche, sarebbe forse più realistico vedere da un lato i conservatori soddisfatti e dell’altro gli insofferenti alla ricerca dei promessi cambiamenti. Il tema fondamentale delle (crescenti) diseguaglianze ne dovrebbe essere il terreno principale, anche se il “rumore” di altre richieste di riconoscimento fa figura di maggior urgenza. Su un altro ma concorrente piano, si tratterebbe di una distinzione difficilmente coniugabile, ad esempio, con il nazionalismo e il richiamo identitario alle tradizioni, che sono propri della destra e non della sinistra. In ogni caso i diritti e le libertà non andrebbero presi in blocco, tanto meno per collocarli nelle difficili categorie di diritti civili o sociali, di destra o di sinistra.

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