Autore originale del testo: Vincenzo Cardarelli
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AUTUNNO
Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d’agosto,
nelle piogge di settembre
torrenziali e piangenti
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora passa e declina,
in quest’autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.
VINCENZO CARDARELLI
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QUIETE D’AUTUNNO
di Fausto Corsetti
Quando ai bordi delle strade cominciano a rincorrersi, vivaci e disordinate, foglie dalle forme più diverse e dalle tinte calde di cui si rivestono solitamente i tramonti, a tutti è chiaro che si fa prossimo il momento dell’ultimo raccolto, degli ultimi colori prima che venga il tempo della spoliazione, dell’attesa, del gelo, del rigore.
I giorni si abbreviano e gradualmente si raffreddano, lasciando traccia di tale mutamento in umide nebbie che, a sera, avvolgono in un silenzio tipico che ovatta e nasconde, cose e persone.
Ognuno di noi ha una stagione che ama. Io preferisco l’autunno, con i suoi colori tenui e iridescenti, delicati e pacati come il clima che lo avvolge. Amo i suoi silenzi. Amo il silenzio che rigenera, che consente a ognuno di noi di respirare e ritrovarsi.
A chi corre per le tante cose da fare, esso insegna che può anche fermarsi, almeno per un po’: il mondo va avanti lo stesso. Il silenzio va accolto senza il timore che sia soltanto un vuoto. Allora scopriamo che è lui ad accoglierci.
Se il cuore si fida, proveremo un senso di liberazione. Nel silenzio accade l’incontro con la libertà di poter ascoltare, pensare, essere, agire altrimenti. In questo dolce spazio si è attratti ad ascoltare il respiro che ci abita, a sentire l’anima, a vedere l’essenziale, che spesso è stato sepolto a forza di adattarsi al peggio della vita.
Perché ciò avvenga non basta tacere o raccogliersi in un luogo tranquillo. Il silenzio va desiderato, ma accade imprevedibilmente. Quando ci raggiunge, l’impulso più lucido è quello di affidarsi, aprendoci a incontri essenziali. Nella sua ospitalità si offrono infatti forme di comunione da custodire.
E’ il caso della relazione con le persone amate scomparse. Esse non sono cancellate, come se non fossero mai esistite. Il loro silenzio ci accompagna e il dialogo persiste, purché il nostro cuore non sia completamente serrato per eccesso di difesa dal dolore: gli scomparsi ci chiedono, più del ricordo della vita trascorsa, la memoria del presente, la comunione indistruttibile nel bene.
Nella quiete a ciascuno è dato di confrontarsi con la propria strada, sentendosi chiamato a una vita vera. Accettare questa ospitalità non comporta di chiudersi in se stesso, nella propria interiorità. L’autentico incontro con il silenzio non ci sequestra nell’isolamento, anzi ci rimanda verso gli altri con la piena coscienza della nostra responsabilità.
Il silenzio ci fa nudi. Nudi ed esposti, senza protezione. Ma in questa nudità assoluta, in questo affidamento totale alle energie dell’universo, scopriamo il nostro vero “nome”, il nome che collega la nostra finitezza all’Infinito.
Il silenzio è un dono che facciamo a noi stessi, ci aiuta innanzitutto a liberarci dalla smania di riempire tutto, ci permette di stabilire una pausa, ci aiuta a recuperare e sottolineare ciò che davvero conta.
E’ necessario costruire la nostra scialuppa di salvataggio per affrontare il diluvio di parole. Il primo effetto è su di sé, la prima tappa nella navigazione è rivolta alla sorgente, alla nostra identità. Nel silenzio siamo capaci di riconoscere alla perfezione chi siamo, osserviamo le nostre ombre e le nostre luci, le nostre cattive qualità e i nostri pregi, con la stessa spietatezza che ci viene dalla sincerità di accogliere, contemplare, respirare la splendida Natura d’autunno.
Ti sorprendono come un filobus in una città con le strade deserte. Giungono in punta di piedi su scarpe che sussurrano all’asfalto. Ti camminano al fianco e sorridono con occhi luminosi e pieni di malinconia. Un sole tiepido accarezza loro le spalle e le scalda come uno scialle caldo della nonna.
Le definiscono “stagioni di mezzo” ma ti colmano tutta la vita.
Autunno: per alcuni tempo della tristezza, per altri momento di gioiosa malinconia. Le ore dell’attesa, delle foglie che sono pronte a dire addio agli alberi per planare eleganti sul selciato che le attende. Capaci di mutare colore ad ogni spiffero di vento, prima verdi, poi rosse, dorate e infine marroni.
Una vita racchiusa in quei pochi attimi dal cielo alla terra, infinite storie da raccontare in quel volo che sembra eterno ma dura un momento.
L’autunno: uno squarcio di luce leggero e prepotente da dietro un palazzo; un via-vai di persone che corrono assorte e hanno in testa mille cose da fare.
“Sono” l’autunno i bambini che si affacciano all’esistenza con il solo peso di uno zaino dai colori sempre più intensi; “sono” l’autunno gli occhi luminosi delle ragazze che hanno abbandonato le lenti scure dell’estate.
L’autunno è il ritmo blando di chi deve affrettare il passo. La stagione dei libri nuovi che non vuoi aprire per non sciupare le pagine. E’ il frusciare delle ore di luce che ti portano per mano verso una sera dolce e preziosa. L’autunno è una giacca di renna che sa di cioccolato, una giacca per attraversare un parco e “canticchiare” con la mente un pezzo di Lucio Battisti. Una canzone che parla di carrelli da spingere al supermercato “sottobraccio a te” e di “prezzi rincarati”. Tu cammini con le mani nelle tasche a frugare biglietti dell’autobus e chiavi di casa.
C’è un ragazzo con la barba sulla panchina e al collo una sciarpa scura, lo fissi senza guardarlo e ti chiedi cosa starà pensando. Forse perché l’autunno è la stagione per riflettere e ti sembra normale che tutti stiano lì a fare un bilancio della giornata o, magari, di un’intera esistenza.
Alla fine del sentiero ci sono due strade come accade spesso nella vita. E nessun “vigile” ad indicarti dove andare. Puoi lasciar decidere ai tuoi piedi o fare conto sulla testa.
Qualunque sia la decisione il risultato è dentro una busta chiusa che nessuno sa quando te l’apriranno. Tu sai solo che devi andare e farlo in autunno è sempre un po’ più leggero. Anche se ti sei lasciato il sole alle spalle e davanti c’è solo l’inverno, quella che neanche un meteorologo pazzo può chiamare “mezza stagione”.
Fausto Corsetti