di Fausto Anderlini
Catastrofi e politica
C’è una relazione fra terremoto e politica ? A giudicare da come la politica stessa abusa nel suo linguaggio, specie elettorale, di categorie sismiche (terremoto, crisi, catastrofe, tsunami ecc.) paragonandosi a un sito instabile sottoposto a scosse d’ogni tipo, sembrerebbe di sì. Rischio sismico e rischio politico, geologia e politica si confondono e rimandano a vicenda. Del resto il pensiero europeo conobbe un salto decisivo dopo il grande terremoto di Lisbona del 1755 disassando la teodicea tradizionale e dando le ali all’illuminismo. In qualche modo cambiò il corso della storia europea. Ma sono molti gli esempi che suggeriscono quanto l’idea di un legame empirico fra terremoto e politica abbia un fondamento che va al di là di una occasionale coincidenza. Con esiti di volta in volta sorprendenti.
Il terremoto di Erevan, in Armenia, insinuò il fallimento della glasnost gorbacioviana e apri le porte alla dissoluzione dell’Unione. Il terremoto in Irpinia del 1980 fu seguito da singolari effetti politici: produsse la Lega in Veneto (a mille chilometri di distanza dall’epicentro) e creò le premesse di un cambiamento di modello politico in tutta la Campania. E non è un caso che i ripetuti terremoti in Abruzzo, Umbria e Marche hanno assecondato il tracollo definitivo della sinistra ivi radicata e l’avvento irruento del lego-fascismo. In Emilia al terremoto nella pianura compresa fra Modena, Bologna e Ferrara fa seguito un consolidamento e una tracimante dilatazione della testa di ponte leghista.
Sembra che il terremoto sovverta non solo l’assetto fisico (e sociale) di un territorio ma anche l’assetto della cultura politica ivi insediata. Sradicandolo e sostituendolo con antitetiche figurazioni politiche. Anche se non sempre è stato così, il dato attuale delle ‘disgrazie’ metabolizza a destra gli effetti del rischio e della paura. Anziché rafforzare i dispositivi socio-culturali locali della sicurezza ne distrugge gli avanzi ed evoca prepotentemente sostitutivi di segno opposto. Del resto non da oggi la destra ha nella gestione della paura il proprio dispositivo centrale, se non unico.
In più va segnalato un particolare. Anziché le zone costiere i terremoti hanno colpito le zone interne (e l’Umbria è una zona interna per definizione, il ‘cuore verde’ dell’Italia). Cioè le periferie che lo sviluppo economico e la crisi di questo ventennio hanno reso ancor più interne e remote. Il terremoto accentua in modo morboso il sentimento della marginalità. Trasforma l’oasi in un inferno. Ovunque c’è una periferia il fantasma della Lega prende corpo. Ormai come fosse un riflesso pavoloviano.
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L’ANALISI DEL VOTO IN UMBRIA SUL CORRIERE DELLA SERA
Crollo del Pil e scandali della sanità
I consensi persi in cinque anni
La percezione che la sinistra non garantisca più protezione sociale. La Lega cavalca la crisi
Gli eclatanti risultati delle elezioni umbre non rappresentano un fulmine a ciel sereno, ma sono la risultante di un processo di cambiamento che ha investito la regione e non solo.
I dati ci indicano che, nelle elezioni regionali, l’area di centrosinistra mantiene sino al 2010 — sia pur con qualche scricchiolio — una sua consistenza sostanzialmente stabile, addirittura a partire dalle prime consultazioni del 1970. Infatti se, sia pure un po’ arbitrariamente, sommiamo le forze che allora potevano essere attribuite all’area della sinistra (Pci, Psi, Psiup, Psdi) troviamo a loro favore il 60% e oltre dei voti validi. Dopo la scomparsa di queste forze il centrosinistra e la sinistra (Pds, Rifondazione, Ulivo, Pd) ottengono insieme tra il 58 e il 63% dei voti validi nelle elezioni che vanno dal 1995 al 2010. Dati simili si trovano specularmente — e anche qui un po’ arbitrariamente — per il centrodestra. La prima incrinatura seria di questa egemonia si registra alle regionali di cinque anni fa, dove la coalizione di centrosinistra cede oltre 15 punti rispetto alle elezioni precedenti, con i 5 Stelle che ottengono un risultato doppio rispetto a quello di domenica scorsa e la Lega che diventa il primo partito del centrodestra.
Oggi il dato vede un’ulteriore contrazione del centrosinistra, che perde complessivamente circa 7 punti, il dimezzamento del Movimento 5 Stelle rispetto alle regionali precedenti (ma in calo di 20 punti rispetto al risultato delle politiche 2018), il grande balzo in avanti della Lega e il quasi raddoppio di Fratelli d’Italia.
Le ragioni di questo profondo cambiamento sono riconducibili a due aspetti tra loro collegati. Il primo è un aspetto culturale, che come tale non riguarda solo l’Umbria, cioè la crisi del modello delle regioni rosse, quel circuito che teneva insieme partito, amministrazioni, cooperative. E gli scandali legati alla sanità umbra hanno dato un contributo importante a questa percezione.
Tuttavia, la crisi di quel sistema non è solo il prodotto di un cambiamento culturale, per quanto rilevante. Il modello, infatti, non riesce più a rispondere alle richieste di sviluppo e di protezione sociale che lo hanno reso vincente. I dati Istat ci dicono che il Pil umbro è quello che ha visto una delle maggiori contrazioni negli anni della crisi, battuto solo dal Molise. Tra il 2007 e il 2017 l’Italia ha perso il 5,2%, l’Umbria il 15,6%, anche a causa degli effetti del terremoto (non a caso anche le Marche segnano una contrazione dell’11,6%). Qui sta appunto parte importante della spiegazione: la sinistra non sembra riuscire a continuare a garantire la protezione sociale ai cittadini colpiti dalla crisi, mentre la Lega ne fa il proprio cavallo di battaglia. È un tema che riguarda anche le altre regioni che vanno al voto, pur se le loro condizioni economiche sono molto diverse e meno acute le difficoltà. Ma anche per il centrosinistra di Emilia e Toscana — gli altri due «bastioni» delle regioni rosse — la capacità di rispondere a queste attese diventa centrale.