Confessioni di un elettore /1

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Confessioni di un elettore /1
Dedicherò questa settimana che precede il voto a confessarmi come elettore. Beh, vi garantisco che questa volta è stata la più dura di tutte. Ma-anche, direbbe Veltroni, meno pesante che in altre circostanze. Spiego perché. Si vota sempre secondo percentuali assegnate, volta per volta, alla convinzione personale o alla disciplina politica. Quando ero giovane la convinzione personale era ben oltre il 90%. Appartenevo allo “zoccolo duro” del consenso, avrei votato PCI anche da sonnambulo. Il voto era un’appendice, quasi una protesi fisica, della mia filosofia politica e delle mie idee. Bei tempi. Progressivamente, però, perché le belle cose finiscono sempre, la quota di disciplina è cresciuta. All’inizio poca roba, votavo PDS convinto che fosse comunque la cosa più giusta da fare. Peraltro ero iscritto a quel partito. Peggio andò con i DS, pur essendo anche in questo caso un iscritto. Il tasso di convinzione, tuttavia, si manteneva alto, sopra il 50%.
Il crollo c’è stato con il PD. Ero poco convinto dell’operazione, mi sembrava più una questione di ceto politico che di cultura politica. Purtroppo la previsione si è rilevata giusta. La cosa ha avuto un apice positivo con la segreteria Bersani, a cui però è un seguito il crollo renziano, che io interpreto come un compimento del veltronismo iscritto nel DNA di quel partito. E così: tasso molto alto di convinzione con Bersani, disciplina per tutto il resto, sinché ho detto: Renzi ve lo tenete voi, io non c’entro niente per davvero, arrivederci e nemmeno grazie. Non ho mai votato renzianamente: per me una medaglia sul petto. Da quel momento il mio voto si è tenuto ben distante dal PD. A Roma non ho nemmeno votato Giachetti al ballottaggio. Tenetevelo, non mi interessa. Soprattutto dopo la schifezza della rimozione notarile di Marino. Un’unica eccezione, il voto europeo al medico di Lampedusa Pietro Bartolo, ma per ragioni più umanitarie che politiche.
Campagna elettorale pesante, dicevo, ma anche leggera. Perché? Perché stavolta ho deciso di votare mettendo assolutamente da parte la disciplina, che mi avrebbe costretto a scegliere il PD: per la presenza di Articolo Uno al suo interno e, soprattutto, per l’esplicita (e forse un po’ sofferente) indicazione di voto che ha dato Bersani. Non posso votare PD, questo PD, non chiedetemelo. Una volta, uno come me sarebbe passato per traditore, oggi chissà. Non voglio più impugnare bandiere che non sento come mie, né fare mie parole d’ordine che non apprezzo. Se ci fossero ancora i partiti e le comunità politiche, la disciplina avrebbe un senso, ma così no. La tragedia rischia di diventare farsa. Quindi stavolta si cambia.
Ovviamente, non rinnego un punto delle mie convinzioni. Come diceva Berlinguer e come ripete Bersani, nei momenti di crisi mi rifaccio ai miei ideali di gioventù, che io sintetizzo così: il riscatto degli ultimi e degli sfruttati. Fuori di questo la politica è roba da notabili, da professionisti nel senso peggiore, da maneggioni, o peggio da avventurieri, da membri di un clan, di una cosca, diventa un’attività preda degli interessi privati di chi cerca una carriera o una soluzione ai propri problemi personali. Solo l’attenzione vera agli ultimi, ai subordinati, agli sfruttati nobilita il nostro impegno quotidiano, rende la politica davvero azione pubblica, impegno per la polis, pratica per il bene comune. Ho pensato che solo questa dovesse essere la mia disciplina politica, e che il mio voto dovesse derivare, quasi dedursi, solo a partire da questi ideali. Che ritengo un’invariante assoluta.
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