Inside Out

per Gabriella

Vi proponiamo alcune tra le moltissime recensioni del film di animazione Inside Out:

da http://www.bestmovie.it

Cannes 2015: il Festival impazzisce per Inside Out, noi pure.

Il nuovo cartoon Pixar garantisce lacrime e risate a non finire. È destinato a durare nel tempo, come Toy Story, Up! o Monster & Co.

di Giorgio Viaro – 18 maggio  2015

Sui titoli di coda, è venuta giù dagli applausi la Sala Lumiére.
Inside Out riporta la Pixar ai livelli di Monster & Co., film con cui condivide il focus sull’infanzia e l’idea narrativa di mettere in scena concetti astratti (in quel caso la paura, qui tutte le emozioni), personificandoli.

Il film comincia nella “sala di controllo emotivo” di una bambina cresciuta in campagna e poi trasferitasi con i genitori in città, in una brutta villetta dei sobborghi. Al pannello di comando si alternano Gioia, Tristezza, Disgusto, Paura e Rabbia, tutti rappresentati come buffe creature colorate (con il solito occhio puntato sul merchandise), quasi fossero una squadra di supereroi: Rabbia sputa fuoco dalla testa, Gioia illumina le cose, Tristezza le raffredda.

La prima parte del film, quella in cui si mostrano le emozioni al lavoro, fa subito capire che l’idea è azzeccata e ben realizzata. Dare un volto agli stati d’animo, vedere come interagiscono e come sono legati ai ricordi (che nel film hanno un ruolo decisivo), spinge lo spettatore di qualunque età a riflettere sulle proprie dinamiche emotive, a osservarsi dall’esterno/interno, con l’incredibile conseguenza che la storia funziona tra le altre cose come una seduta di psicanalisi – appassionante, divertente o commovente a seconda dei momenti.

Nella seconda parte la costruzione grafica della psiche, di cui la citata sala di controllo è una frazione, è un pozzo senza fondo di intuizioni: la maggior parte del racconto si svolge infatti in questo mondo di fantasia che estende di molto il lavoro fatto con Monster & co. (qui la fabbrica dei sogni, una specie di studio hollywoodiano, è solo una parte del totale), e in cui troviamo di tutto, dalla memoria a lungo termine (un’infinita scaffaliera fatta di sfere che sono momenti di vita vissuta) al subconscio (un antro enorme e spaventoso), dai ricordi indelebili (barocche isole emotive sospese nel vuoto) al treno dei pensieri, che non sai mai quando passa. E ognuna di questi settori ha un manipolo di creaturine operaie che lo mantengono funzionante, e che garantiscono al cartoon la sua “quota Minions”.

All’interno di questo scenario, il viaggio del film è quello di Gioia e Tristezza, impegnate a trovare un modo per tornare nella sala di controllo, ma soprattutto a capire come “lavorare assieme” alla felicità della bambina. In loro assenza, tutte le altre emozioni sono allo sbando, e si affaccia lo spettro dell’apatia e della depressione. C’è quindi da un lato questa incredibile metafora visiva del crescere e soprattutto del “sentire”, e dall’altro la sua messa in scena realista, con gli stacchi sulle scelte che la piccola protagonista via via compie, perdendosi o ritrovandosi, provando a tener fede alla sua natura, o a formarla.

Quanto tutto questo suoni “vero”, è la magia del film; e in questa verità germoglia un commozione straordinaria, tanto che in sala a un certo punto era tutto uno sventolare di fazzoletti e un coro di tirate su col naso. Dice questo, Inside Out: custodite il fuoco dentro di voi, non alzate bandiera bianca; fate in modo che ogni momento e ogni luogo del vostro essere – quando avete paura, quando vi fa schifo qualcosa, quando vi manca da impazzire qualcuno e quando state facendo esattamente quello che amate – lo tenga acceso.
E lo dice con molta meno retorica di quella che ho appena usato io.

Astenersi cinici tediosi, gli altri tutti in sala.

da www.mymovies.it

Un film che impersona le voci di dentro con un radicalismo che impressiona e commuove

di Marzia Gandolfi

Riley ha undici anni e una vita felice. Divisa tra l’amica del cuore e due genitori adorabili cresce insieme alle sue emozioni che, accomodate in un attrezzatissimo quartier generale, la consigliano, la incoraggiano, la contengono, la spazientiscono, la intristiscono, la infastidiscono. Dentro la sua testa e dietro ai pulsanti della console emozionale governa Joy, sempre positiva e intraprendente, si spazientisce Anger, sempre pronto alla rissa, si turba Fear, sempre impaurito e impedito, si immalinconisce Sadness, sempre triste e sfiduciata, arriccia il naso Disgust, sempre disgustata e svogliata. Trasferiti dal Minnesota a San Francisco, Riley e genitori provano ad adattarsi alla nuova vita. Il debutto a scuola e il camion del trasloco perduto nel Texas, mettono però a dura prova le loro emozioni. A peggiorare le cose ci pensano Sadness e Joy, la prima ostinata a partecipare ai cambiamenti emotivi di Riley, la seconda risoluta a garantire alla bambina un’imperturbabile felicità. Ma la vita non è mai così semplice.
Il segreto della Pixar non risiede nell’abilità tecnica, sempre raggiungibile o perfezionabile, ma nella forza drammatica delle loro storie. Storie che non abdicano mai l’originalità narrativa. Prima un bel soggetto, a seguire la scelta grafica, sempre coerente con quella narrativa che tende a semplificare la superficie e mai la sostanza.
La bellezza delle loro sceneggiature è costituita poi dai risvolti teorici, che dopo aver esplorato il mondo oggettuale e indagato i sogni delle cose, reificano le emozioni umane, in altre parole prendono per concreto l’astratto. Inside Out visualizza ed elegge a protagonisti della vicenda la gioia, la tristezza, la rabbia, la paura e il disgusto, emozioni che guidano le decisioni e sono alla base dell’interazione sociale di Riley, che a undici anni deve affrontare sfide e cambiamenti. Se Up svolgeva l’avventura di fuori, Inside Out la sviluppa di dentro, attraversando in compagnia di Joy e Sadness la memoria, il subconscio, il pensiero astratto e la produzione onirica di una bambina che sta imparando a compensare la propria emotività e ad assestarsi in una città altra.
Diretto da Pete Docter, Inside Out impersona le voci di dentro con un radicalismo che impressiona e commuove. Con Inside Out Docter installa di nuovo l’immaginario al comando e ingaggia cinque creature brillanti per animare un racconto di formazione che mette in relazione emozioni e coscienza. Perché senza il sentimento di un’emozione non c’è apprendimento. Dopo la senilità e l’intenso riassunto con cui apre Up, che ha la grazia e la crudeltà della vita, Docter lavora di rovescio sulla fanciullezza, tuffandosi nella testa di una bambina, organizzando la sua esperienza infantile intorno a centri di interesse (la famiglia, l’amicizia, l’hockey, etc) e accendendola con flussi di pensieri sferici che hanno tutti i colori delle emozioni. E a introdurre Riley sono proprio le sue emozioni che agitandosi tra conscio e inconscio sviluppano le sue competenze e la equipaggiano per condurla a uno stadio successivo dell’esistenza. Nel cammino alcuni ricordi resistono irriducibili, altri svaniscono risucchiati da un’aspirapolvere solerte nel fare il cambio delle stagioni della vita e spazio al nuovo. A un passo dalla pubertà e resistente dentro un’infanzia gioiosa, che Joy custodisce risolutamente e Sadness assedia timidamente, Riley passa dal semplice al complesso, dal noto all’ignoto. Nel processo ‘incontra’ e congeda Bing Bong, amico immaginario che piange caramelle e sogna di condurla sulla Luna.
Creatura fantastica generata dalla fantasia di una bambina, Bing Bong, gatto, elefante e delfino insieme, è destinato a diventare uno dei personaggi leggendari della Pixar Animation, rivelando un’anima segreta, la traccia di un sentimento e l’irripetibilità del suo essere minacciato dalla scoperta di una data di scadenza. Rosa e soffice come zucchero filato, guiderà Joy e Sadness dentro i sogni e gli incubi di Riley, scivolando nell’oblio per ‘fare grande’ la sua compagna di giochi.
I personaggi, realizzati con tratti essenziali che permettono di coglierne la natura profonda (rotonda, esile, spigolosa), emergono l’aspetto intangibile del processo conoscitivo dentro un film perfettamente riuscito, che ricrea la complessità e la varietà dell’animazione senza infilare scorciatoie tecniche o narrative. Dentro e fuori Riley partecipiamo alle vocalizzazioni affettive indotte da Joy e Sadness che, finalmente congiunte, la invitano a comunicare la tristezza. Perché la tristezza, quando è blu e piena come Sadness, è necessaria al superamento dell’ostacolo e alla costruzione di sé. Impossibile resistere all’espressività emozionale delle emozioni primarie di Docter che privilegia anziani e bambini, gli unici a possedere una via di fuga verso il fantastico. Gli unici a volare via coi palloncini e ad avere nella testa una macchina dei sogni.

da http://www.corriere.it/spettacoli

Inside Out, nel cervello del piccolo Riley manca la ragione

Nel popolarissimo cartoon c’è spazio per tutti gli stati d’animo, dalla tristezza alla gioia, tranne uno: la razionalità. E pure il libero arbitrio non fa capolino

 

Se andate a vedere Inside Out (andateci con la scusa di portarci i bambini, ne uscirete migliori) fate attenzione a un dettaglio. Come è ormai arcinoto, il film è una rappresentazione fantastica, ma scientificamente fondata, di ciò che passa nella mente di una pre-adolescente di undici anni, il tumulto e il conflitto tra i sentimenti, l’incontrarsi e scontrarsi delle emozioni, rabbia paura disgusto tristezza gioia. Ciò che però manca, del tutto, è la ragione. La guerra degli istinti è l’unica cosa che accade nel cervello di Riley. I suoi comportamenti sono determinati in una cabina di regia nella quale non siede nessun regista. Dunque non ci chiediamo nemmeno se siano ragionevoli o irragionevoli. Sono l’esito di una partita senza arbitro nella quale, forse in ossequio alla giovane età della protagonista, la sola Gioia esercita una leadership sugli altri giocatori, così che se appena appena si distrae l’intero autocontrollo di Riley crolla.

Quel generatore di equilibrio – la ragione, la razionalità, la ragionevolezza – in cui ogni genitore confida per moderare lo strapotere e la violenza dei sentimenti in un ragazzo, e ogni giorno lavora sodo per trasferirgliene i rudimenti appresi con l’esperienza di vita, qui non c’è. Dicono che il film conosce e rispetta le ultime scoperte della neurobiologia, e che le cose stiano davvero più o meno così nel nostro cervello. Ma se stanno così, a che pro tutto lo sforzo dell’educazione, del buon esempio, del trasferimento di valori tra le generazioni, se non c’è una ragione cui appellarsi? (E infatti, nel film, i genitori non possono più o meno niente, se non amare, se non irritare).

Per fortuna gli istinti di Riley, a loro volta mossi dall’istinto di sopravvivenza, si moderano a vicenda. Si potrebbe perfino dire, anche se il film non lo dice, che la ragionevolezza sia il frutto del compromesso che alla fine si stabilisce tra Gioia e Tristezza, quando Gioia capisce che anche un po’ di Tristezza è necessaria nella vita, se si vuole crescere. I ricordi della ragazza, prima giallo oro se fatti di Gioia, o blu se fatti di Tristezza, diventano così di un colore misto, tra il giallo e il blu. La ragione non è dunque altro che un effetto cromatico, come quando si mescolano i colori base su una tavolozza. Ma è un processo spontaneo, e casuale. Verrebbe da dire: irrazionale.

Oltre alla ragione, a essere pignoli, si potrebbe aggiungere un altro grande assente nella mente di Riley: il libero arbitrio. Non c’è infatti mai un momento in cui la nostra eroina sia chiamata a prendere una decisione, a scegliere tra diverse opzioni. Sono sempre gli istinti che la dirigono, in fuga da casa e poi di ritorno a casa, all’indietro verso un passato nostalgico e rassicurante da bambina o in avanti verso un futuro da adolescente che la turba per la sua imprevedibilità. Riley vive in un universo morale in cui non c’è spazio per la responsabilità individuale, e di fatto non c’è libertà; dunque non ci può essere colpa o peccato, ma neanche si intravede una persona, che non sia solo biologia. È forse il primo carattere nella storia del cinema senza un carattere. Il film è bellissimo, e, come vedete, fa riflettere. Ma è un segno dei tempi che nessuno abbia lamentato la scomparsa di quei due attori, la ragione e il libero arbitrio, che appena una generazione fa consideravamo indispensabili per l’edificazione di una vita adulta.

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