LA VENEZUELA  DI  2000  ANNI  FA

per Filoteo Nicolini

LA VENEZUELA  DI  2000  ANNI  FA

Da dove arrivarono gli abitanti della Venezuela di 2000 anni fa? Le ricerche archeologiche e antropologiche indicano la provenienza dalle selve dell’Amazzonia centrale, o dalle catene montagnose e dalle valli colombiane, o da quel mare che poi porterebbe il nome dei distruttori e commercianti di persone. Di tali viaggiatori si ha un prezioso ma frammentario vestigio, del quale il vaso e l’idolo “parlerebbero”, in grado sommo e con variata abbondanza di prove, di stilo e grazia intorno all’arte alla quale erano appassionati. Padroneggiavano un raffinato gusto estetico quali artigiani, narravano la magia e il mistero della vita stessa, l’orrore e lo stupore; plasmavano nei vasi rituali, nella pentola domestica e funeraria il modellato del volto umano e dell’animale, le divinità e le cose, che manifestavano “interiorizzando” le apparenze e omettendo la realtà mediante la decorazione dell’argilla e del colore.

Un abominevole discorso coprì di ingiurie il ricchissimo e delicato immaginario dell’arte ceramica dei nostri antenati. L’unica bontà che concedeva loro era quella di raccoglitori e cacciatori peregrini, al massimo fabbricanti di rigide collanine di osso e minerale e di goffi oggettini di fango.

Solo in epoca recente si riunirono in esposizioni pubbliche quelle pretese “insignificanze artigianali” affinché l’abituale disprezzo cedesse davanti all’evidenza e alla sorpresa di trovarsi in un Paese di prodigiosi creatori di differenti manufatti ricchi di forme curvilinee e di decorazioni dipinte. Erano artisti, forgiatori di stili variati e di un insistente linguaggio metaforico, nel quale è possibile scoprire la sensualità, la gioia per la vita, il suggerimento occulto e metafisico, l’aspirazione al cosmo e all’al di là.

Abitanti della Venezuela del 2000 A.C. e 1500 A.C. nelle loro opere di argilla cotta esultavano o si rattristavano in base ai comandamenti della loro anima collettiva o alla loro condotta davanti all’arcano e al reale. Si mostravano mostruosi o sciamanici, umani o misteriosi. Modellavano forme femminili, ne suggerivano, fino alla ossessione, le intimità. Le convertivano nella Grande Madre o in un semplice animale del desiderio. Le davano attributi lunari o vegetali. Amavano l’astrazione, l’ellisse: si ritraevano dalla eccessiva fedeltà alla natura. Le loro creazioni cercavano di dare all’argilla una impronta di sogno. Io vidi un grande vaso funerario delle pianure di Apure nella quale il cielo stellato sembrava indicare il cammino da transitare per il defunto. Questi abitanti sono stati grandi maestri precolombiani, trasfiguratori della morbidezza dell’argilla e della durezza litica, devoti del fumo, il serpente, il giaguaro, il pipistrello, il germoglio vegetale, la vita e la morte.

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L’Io narrante è Luis Alberto Crespo, poeta e giornalista venezuelano. Queste note sono una mia traduzione libera e abbreviata di un suo commovente articolo pubblicato alla fine degli anni 90 sul giornale El Nacional di Caracas e riportato nel Libro El Paìs Ausente, Fondo Editorial del Caribe, 1° Ediciòn, 2004. Ho avuto ripetute occasioni di visitare luoghi come Quibor, Tintorero, Lomas Bajas, Guadalupe, dove ancora sono praticate le arti del fuoco da donne e contadini.

FILOTEO NICOLINI

Immagine: Esemplare di ceramica del Tocuyo, Venezuela

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