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L’IMBECILLITA’ E’ UNA COSA SERIA – di MAURIZIO FERRAIS . ed. IL MULINO
«Ogni epoca ha i suoi tromboni, così come ha i suoi bugiardi, i suoi furfanti, e ovviamente i suoi imbecilli»
L’umano ‒ io e voi ‒ è essenzialmente (e non accidentalmente) un imbecille, un animale inerme, privo di bastone (in-baculum), e dunque bisognoso di quelle armi che sono la tecnica, la cultura, l’arte e la scienza, insomma di quello che tanto confusamente si chiama «mondo dello spirito». Armi a doppio taglio, che da una parte suppliscono alle sue deficienze, e dall’altra lo rivelano per quello che è.
…Maurizio Ferraris ha dedicato un saggio sensibile e intenso al problema dell’imbecillità. Sul quale torneremo in un contesto più preciso. Osserva comunque Ferraris che l’imbecillità è il default per gli umani, esperti o inesperti che siano. Un po’ ciò che ha osservato Daniel Kahneman, psicologo che ha vinto il Nobel per l’economia: la maggior parte delle decisioni sono operate sulla base della prima cosa che viene in mente all’umano, solo una minoranza sono frutto di un percorso razionale. I computer neurali potrebbero avere la stessa tendenza, visto che funzionano in modo analogo agli umani.
È possibile. Il caso originario dell’errore della macchina che si guidava da sola nel 1991, progettata da Dean Pomerleau, è un esempio. La sua macchina funzionava in modo abbastanza soddisfacente. Poi un giorno avvicinandosi a un ponte ha scartato in modo imprevedibile. Pomerleau ci ha messo molto a scoprire che la sua macchina aveva imparato a tenere la direzione basandosi sul colore verde a lato della strada e visto che il ponte non aveva erba ai margini non l’ha voluto percorrere (Nature). Una sciocchezza da imbecille.
A questo punto la domanda è: è imbecille il computer o il suo progettista? Sappiamo che spesso l’umano lo è, dice Ferraris. Ma allora creando una macchina a sua immagine e somiglianza ha fatto nascere un imbecille? La definizione di imbecillità, in Ferraris, è interessantissima: «cecità, indifferenza o ostilità ai valori cognitivi» (per spiegarli rimanda ai lavori di Kevin Mulligan, ma più o meno si tratta dell’”etica della ricerca”, dei valori di chi usa la ragione per cercare la verità; approfondiremo). Ed è dunque una colpa. Dunque la ricerca della verità è una responsabilità. Possiamo dire che il computer sia coscientemente alla ricerca della verità seguendo un’etica che non sia stata programmata in lui dal suo progettista? Oppure quell’etica è un valore emergente di fronte alla pragmatica necessità di far sì che l’apprendimento diventi efficace (e quindi pre-esiste al progetto)?
Ci si avvicina così alla possibilità che l’imbecillità rivelata dalla ricerca di Ferraris sia in realtà una condizione con la quale si devono fare i conti, sia nel momento in cui decidono gli umani che quando decidono le macchine.
La colpa dell’imbecillità, così svelata, diventa la responsabilità di prenderne coscienza e dunque lavorare per conquistare il pensiero all’intelligenza consapevole, centimetro per centimetro. La tensione al miglioramento delle decisioni è una responsabilità umana. La tecnologia può aiutare l’umano a costruire una nicchia eco-culturale che renda più probabile l’utilizzo dei valori cognitivi e l’abbandono della colpevole cecità, indifferenza o ostilità nei loro confronti. Che come una “scatola nera” non efficiente produce disastri: dal cambiamento climatico alle crisi finanziarie.
fonte: blog.debiase.com
Luca De Biase
Maurizio Ferraris insegna Filosofia teoretica all’Università di Torino, dove dirige il LabOnt (Laboratorio di ontologia). Ha scritto oltre cinquanta libri, tra cui, per il Mulino, «L’immaginazione»(1996).