Fonte: La stampa
La sfilata dei ministri per salvare l’Abruzzo. E oggi arriva Meloni
Ha spedito tutti i ministri e oggi arriva lei. Il governo, praticamente al completo, ha varcato il confine del Lazio per spostarsi in Abruzzo, per una campagna diventata all’improvviso complicata dopo la sconfitta in Sardegna.
Giorgia Meloni si gioca tantissimo alle Regionali di domenica prossima, in uno dei primi territori conquistati, quando i consensi erano molto inferiori a quelli di oggi. La premier crede che il suo governatore Marco Marsilio abbia un vantaggio sensibile, ma non abbastanza per stare tranquilli. Così, dopo aver mandato 13 ministri, cifra destinata a salire, e un numero quasi incalcolabile di sottosegretari, viceministri e parlamentari, nel pomeriggio la premier è attesa in piazza Salotto a Pescara, per un comizio insieme al candidato e ai leader della coalizione, a cominciare dai due vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini.
Il centrosinistra ha denunciato l’operazione, definite «marchette elettorali», ovvero i fondi per l’Abruzzo che sono spuntati, o perlomeno annunciati, con una tempistica sospetta: ospedali, ferrovie, autostrade, tribunali, carceri, scuole e molti cantieri, i ministri sono stati dislocati su tutto il territorio con uno sforzo molto maggiore rispetto a quello profuso in Sardegna.
Anche stavolta la leader di Fratelli d’Italia, raccontano i suoi dirigenti, avrebbe preferito salire sul palco da sola, anche per non dover ascoltare professioni di fedeltà giudicate non sempre sincere («in Giorgia ho trovato un’amica», disse Salvini due settimane fa a Cagliari). Ma la foto di coalizione è troppo importante per Marsilio e così nessuno si è sottratto. Meloni, però, in qualche modo è riuscita a smarcarsi: prima di Pescara, è stata aggiunta una tappa alla Camera di Commercio di Teramo dove, stavolta da sola, incontrerà i rappresentanti locali di Confesercenti e Confcommercio, in veste di capo del governo, ma soprattutto di leader di un partito che non si può permettere un altro scivolone.
L’urgenza di una presenza così massiccia si spiega anche con quello che ormai tutti chiamano l’effetto Sardegna: una sorta di variabile non controllabile che rompe uno schema apparentemente razionale.
Siamo a ridosso del voto e i sondaggi non si possono diffondere. Il divieto, al solito, provoca voci incontrollate e quindi ognuno può alludere a pronostici, senza il peso di doverli mostrare nel dettaglio. La matematica non sempre è rispettata, ma qui c’è una logica politica. La destra si sente piuttosto tranquilla del successo, ma a frenare gli entusiasmi c’è appunto la conseguenza, difficilmente verificabile, della vittoria di Alessandra Todde sull’Isola. A sentire i colonnelli di Meloni in Abruzzo, la forza delle liste elettorali dei partiti di centrodestra e l’assenza del voto disgiunto (che ha fatto soccombere Paolo Truzzu) sono elementi che lasciano poche possibilità al candidato del “campo largo” Luciano D’Amico. Secondo questo ragionamento, l’unica vera incognita sulla vittoria di Marsilio è rappresentata da una fetta di qualche migliaio di astensionisti che, sull’onda della sconfitta della destra in Sardegna, può decidere all’ultimo di andare a votare, per assestare un altro colpo al governo.
I meloniani calcolano che basterebbero tremila astenuti di centrosinistra per trasformare una sfida data per vinta, in una partita apertissima. I numeri meno solidi sono quelli che arrivano dalla zona adriatica, dove, infatti, si stanno concentrando gli ultimi sforzi della coalizione.
Se Meloni si gioca tanto, anche Salvini ha i suoi fantasmi da sconfiggere: un altro risultato negativo, dopo quello in Sardegna, potrebbe complicare di molto la corsa alle Europee, «conto che il centrodestra vinca e non di poco, e che la Lega abbia un ottimo risultato, almeno a due cifre» ha detto ieri, in visita a Torino, una rara pausa di una campagna permanente in Abruzzo. Il leader della Lega è pronto a scommetterci, «mi ci gioco un caffè». Un rischio, in fondo, non così alto.