In memoriam – È morta Barbara Balzerani

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Barbara Balzerani, Benedetta Piola Caselli, Gian Franco Ferraris

«Era una guerra e le guerre non si fanno solo con le armi che uccidono sul colpo. Ci vogliono quelle che lo fanno più lentamente, che ti avvelenano la mente e ti cambiano le sembianze, fino a che non ti riconosci più perché sei diventato come il padrone voleva che fossi».  Barbara Balzerani, nel suo ultimo libro “Risveglio” in cui aveva accennato alla sua malattiaÈ morta a 75 anni da “irriducibile” militante, scrittrice e molto attiva sui social,  non si è mai rassegnata ad aver perso quella che considerano una “guerra” contro lo Stato “borghese” e “capitalista”. Fu arrestata a Ostia solo nel giugno 1985 dopo lunghi anni di latitanza diventata leggendaria, veniva chiamata la Primula rossa delle Brigate Rosse.

Eravamo amici di facebook, complice la mia curiosità sulle vite e i pensieri degli ex brigatisti e per lo struggimento che il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro. Pena che è accresciuta nel tempo per la fine drammatica dell’uomo politico, l’abbandono dei suoi compagni di partito e perchè nel tempo ritengo che la morte di Moro corrisponda all’inizio del declino del Paese e delle sue fragili istituzioni democratiche.

“L’amicizia” si ruppe nel 2019, avevo accompagnato Benedetta Piola Caselli a vedere cascina Spiotta a Melazzo dove è stata uccisa Mara Cagol, scrissi un messaggio a Barbara Balzerani perchè si era insinuato nella mente il pensiero che Mara Cagol fosse stata giustiziata. In chat le chiesi il motivo per cui Moro non venne liberato, aggiunsi “mi pareva un gesto che avrebbe “colpito” l’opinione pubblica e messo in difficoltà la Dc e molti pezzi dello stato”.

Le chiesi pure in modo maldestro sui finanziamenti alle brigate rosse e sui sospetti manifestati più volte da Franceschini nei confronti di Moretti. In particolare le domandai per quale motivo non risposero alla richiesta di Paolo VI di rilascio “Semplicemente, senza condizioni”.

di Benedetta Piola Caselli

È morta Barbara Balzerani.
Ci avevo fatto una lunga chiacchierata nel 2014, momento in cui ero in lotta contro il Coordinamento di Lotta per la Casa e i suoi soprusi sulle donne occupanti, cosa che mi rendeva una vera e propria paria a sinistra.
Ricordo questo : che ero una perfetta sconosciuta – e pure una che in principio poteva rappresentare tutto ciò che lei odiava – ma ascoltò (ascoltò davvero) quello che avevo da dire, solo perché le avevo chiesto di farlo.
Cosa ne pensò dopo, semmai ritenne di soffermarcisi ancora, non lo so; però io
ascoltai lei a mia volta, cercando di andare oltre le parole, verso il cuore della sua esperienza.
Questo mi è rimasto.
Io non mi sento di avere nessun giudizio sull’esperienza terrena di Barbara Balzerani.
Penso però che ci siano vite che bruciano tutto e subito, e poi restano sospese per l’elaborazione di senso;
se quel senso arriva, il bilancio è positivo.
Penso anche che siano più intense, più pesanti di quelle lineari, e quindi che necessitino spalle più grandi: non sono vite per tutti.
Barbara Balzerani ha avuto questo tipo di vita.
Oggi, sentendo della morte, ho pensato anche che avevo con lei qualcosa in sospeso.
È qualcosa che non le ho mai detto perché mi sentivo troppo cretina e comunque non era importante, però è rimasto sospeso.
È questo.
Nel 2014 non era la prima volta che la vedevo : in effetti era la terza.
La prima volta è stata sul ponte (come si chiama?) che porta a piazza Cola di Rienzo, il giorno che mi rubarono la borsetta al Mac Donald’s.
Io non sapevo chi fosse.
O piangeva o guardava con una tale intensità il cielo, che io le chiesi se andasse tutto bene, se potevo aiutarla.
Lei mi disse : “no, va tutto bene. Sto guardando i gabbiani, non sono belli i gabbiani?”.
La seconda volta era vari anni dopo, su un treno regionale del lazio.
C’era un’altra signora ; scambiammo qualche parola , poi l’altra signora disse : “senti, tu lo sai chi è lei?”
Dissi la verità : “so di averla vista, ma non so chi è”.
Così l’altra signora disse il nome : è Barbara Balzerani.
Io intendevo di averla vista per i gabbiani, lei intendeva
per la politica.
Capii in fretta l’equivoco e
dissi “ok” per non sembrare una psicopatica – a quel tempo non sapevo ancora perché il mio cervello ricorda cose assurde random e ne scorda di banalissime.
L’altra signora aggiunse “è una scrittrice”.
Io ridissi “ok” e poi rimasi in silenzio perché ero in imbarazzo; ovviamente non per il suo passato brigatista, ma per la mia neurodivergenza.
Loro sembrarono un po’ deluse.
Ecco: questa piccola stupida cosa, fino ad oggi ho pensato che gliel’ avrei detta, un giorno o l’altro.
Non che sia importante, but still.
Buon viaggio Barbara Balzerani, spero che tu possa trovare in cielo la pace che non hai vissuto in terra.
Erano belli i gabbiani, e sapevo cos’era il tuo nome, quel giorno sul treno.

Rapimento Aldo Moro, i ricordi di Barbara Balzerani

di Barbara Balzerani

16 marzo 1978

Mi si asciuga la gola e comincio, con il cuore in tumulto, ad aspettare. So già che finché tutto non avrà inizio non riuscirò a ritrovare la piena padronanza dei miei nervi.
Passeranno di qua? Riuscirà la manovra studiata per bloccarli? E tutto il resto?…
Ci siamo. Vedo la nostra macchina scendere su via Fani con dietro le altre due. Mi preparo a prendere posto in mezzo all’incrocio e, al primo sparo , tiro fuori la mia arma. Dobbiamo bloccare il flusso delle macchine per tenere la strada libera alla nostra via di fuga e impedire qualsiasi intervento indesiderato. Guardo in un’altra direzione e perciò non vedo cosa sta succedendo a pochi passi da me.
Quello che sento è però abbastanza per immaginare.
No, non è abbastanza.
Il tempo è sospeso, incalcolabile.
Unico elemento dinamico nell’irrealtà ferma di quei momenti, l’assordante fragore delle armi. Non mi abituerò mai all’estraneità del loro sgradevole timbro metallico.
Come se ogni volta mi sorprendesse.
Certo, è la politica a guidare il fucile, ma colpo dopo colpo ci lascio un pezzo di me.
Fatto. Ci siamo tutti? Tutti. Con in più il nostro prigioniero. Lo rivedo per un attimo mentre gli altri lo caricano su un pulmino. Io prendo un’altra direzione. Da ultimo, il sorriso di saluto di un compagno che, in quell’inferno, sembra così contento di aver trovato il modo di regalarmelo.

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da “Compagna luna”- Barbara Balzerani

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Ma niente è più potente del luogo comune. Come avevamo potuto fare tutto da soli? A distanza di tanti anni sembra inverosimile persino a me che c´ero. Debbo riallacciare molti fili per rientrare in quella visione della politica, in quella determinazione, in quel contesto. Eppure succedeva, e non solo da noi. Azioni militari spettacolari, in America Latina, in Germania, in Spagna, raccontate nei film, nelle canzoni. Rivendicate nelle assemblee, nei cortei. Adulate dai circoli intellettuali. A nessuno veniva in mente che non si poteva, che non si sapeva fare.
Quella mattina di marzo uscimmo di casa ed eravamo quelli di sempre, con la certezza che andavamo a fare quello che stava nelle cose dovesse essere fatto, con le nostre armi inefficienti, col nostro addestramento approssimato. I pochi a non aver mai frequentato i campi di esercitazione della guerriglia internazionale.
Gli avvenimenti ci avevano dato ragione. L´ultimo movimento armato era stato sconfitto sul campo. Chiuse le sue sedi, spente le radio, vietate le manifestazioni. Solo la clandestinità sembrava permettere una politica d´attacco. E lo dicevamo nel nostro politichese, anche di Via Fani dicevamo, a leggere bene.
Andammo e li prendemmo di sorpresa
Non ci conoscevano, non immaginavano.
Avevano di noi l´idea che ne davano quelli del partito comunista.
Per loro eravamo quattro provocatori, isolati, mezzi fascisti, di certo infiltrati.
Non comprendevano perché non gli era mai interessato capire.

Perché io, perché non tu – Barbara Balzerani

Dai ritagli sbiaditi degli anni di piombo, Barbara Balzerani riemerge con le etichette del tempo: la maestrina di Colleferro, la primula rossa delle Brigate rosse. “Sara”, questo era il suo nome di battaglia, è stata l’ultimo leader delle Br storiche ad essere arrestata, il 19 giugno 1985. Mai pentita, mai dissociata, ha impersonato fino alla fine la figura dell’“irriducibile” anche quando, dopo il sequestro Moro, per il partito armato la china della storia era ormai irrimediabilmente segnata.

È stata l’unica donna presente in via Fani, quando il presidente della Democrazia cristiana venne rapito e i cinque uomini della scorta furono uccisi. Con una paletta da vigile in mano, aveva il compito di bloccare il traffico per facilitare l’attacco.

di Cesare Martinetti su La Stampa

Balzerani, addio alla primula rossa Br. L’unica donna in via Fani, non si è pentita

L’ex brigatista è morta ieri dopo una lunga malattia, aveva 75 anni. Condannata a vari ergastoli, nel 2006 aveva ottenuto la libertà condizionale, nel 2011 la libertà definitiva. Nel 1987 con i due leader storici delle Br, Renato Curcio e Mario Moretti, in un’intervista televisiva aveva dichiarata conclusa l’esperienza della lotta armata. Nel 1993, aveva espresso «profondo rammarico per quanti sono stati colpiti nei loro affetti a causa di quegli avvenimenti e che continuano a sentirsi offesi ad ogni apparizione pubblica di chi, come me, se ne è reso e dichiarato responsabile». Diverse le reazioni delle famiglie delle vittime di via Fani. Giovanni Ricci, figlio di Domenico, carabiniere ucciso nell’agguato, ha detto: «Ha sbagliato, ha creato dolore, ma io non provo odio, perché l’odio distrugge. Pregherò per lei, perché ovunque sarà possa essere accolta».

Adriana Zizzi, sorella di Francesco, altro uomo della scorta ucciso, si è detta scombussolata: «La giustizia vera è quella del Signore e adesso deve rispondere a Dio, a noi non lo ha fatto».

La sua è una storia esemplare di che cosa è stata la militanza terroristica per la generazione fondativa delle Brigate Rosse. Come Nadia Mantovani e Mara Cagol (la moglie di Renato Curcio, morta in uno scontro a fuoco con i carabinieri nel 1975), Barbara Balzerani aveva avuto una formazione cattolica attraverso gli insegnanti di filosofia e religione del liceo di Colleferro. Dopo la maturità, nel 1969 si era trasferita a Roma per vivere con Antonio Marini, che i compagni di Potere Operaio del Tiburtino chiamavano “Tony il professorino”.

Dopo la laurea, con l’amica Gabriella Mariani, aveva scelto un lavoro difficile e di grande impegno sociale: assistere i bambini disabili al “Nido Verde”, una struttura modello della capitale. Poco dopo Barbara Balzerani ha sposato Marini, ma i due si sono presto lasciati. In quei mesi era comparso a Roma proveniente dal nord, Mario Moretti, marchigiano da tempo clandestino, sfuggito all’arresto del nucleo storico di Curcio e Franceschini. I due formano una coppia, con le modalità “rivoluzionarie” previste dal mansionario brigatista. Con Moretti, Barbara, assumendo il nome di battaglia di “Sara”, sale al vertice delle Br e con il compagno organizza il sequestro Moro, unica donna del commando. Le altre due organiche all’organizzazione, Adriana Faranda e Anna Laura Braghetti, non sono presenti in via Fani. L’agguato ha luogo il 16 marzo 1978. Il 18 aprile, in via Gradoli 96, a Roma, grazie a una perdita d’acqua, viene scoperto in covo in cui viveva Moretti sotto la falsa identità di Mario Borghi. Il capo Br in quei giorni conduceva gli “interrogatori” di Moro, prigioniero in un altro covo gestito dalla Braghetti e Prospero Gallinari, in via Montalcini. Via Gradoli è stato per anni il centro di uno dei misteri del caso Moro: fu davvero un incidente a provocarne la scoperta o la fuga d’acqua fu provocata per dirottare gli inquirenti dalla vera prigione di Moro? Comunque sia sui fornelli della cucina c’erano avanzi della cena della sera precedente e nell’appartamento venne trovata un’enorme mole di documenti che consentì di scoprire per la prima volta i nomi dei principali brigatisti della colonna romana, molti dei quali non ancora individuati e tra questi Barbara Balzerani, che fino a quel momento era una perfetta sconosciuta.

A lei si arrivò grazie a un paio di occhiali da vista conservati nell’astuccio con il nome dell’ottico dove erano stati acquistati tre anni prima. Incensurata, ultimogenita di una famiglia modesta, padre autista in pensione mamma casalinga, due fratelli operai, era considerata un’impiegata modello. Operatrice sociopedagogica alla XVIII circoscrizione di Roma, Aveva chiesto l’aspettativa per assistere la madre cardiopatica. Il permesso le era stato accordato due giorni prima dell’agguato di via Fani.

In carcere e dopo, Barbara Balzerani ha scritto un libro che è anche un’autobiografia intitolata Compagna luna, dove si leggono riflessioni sulla sua esperienza come questa: «Fare la rivoluzione per cambiare il mondo non mi ha reso felice. Durante, per la crudezza di viverla. Dopo, per la difficoltà di rielaborarla».

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