Quante volte nelle sezioni qualche compagno si alzava e sbraitava contro quelli legati alla ‘scrana’, la sedia. Nella base del Pci albergava un pungente spirito ‘popolano’. Che però era soprattutto un invito ai dirigenti a stare fra la gente, a impegnarsi sui temi anche minuti, a lavorare nelle feste, a partecipare alla vita di base. Evitando l’imborghesimento. Una dialettica naturale in una organizzazione verticalmente strutturata e con una vasta base militante. Quella fra ‘dirigenti e diretti’. Del resto tutto era trattenuto e mediato nelle due critiche contrapposte al burocratismo e al plebeismo, al verticismo come al basismo.
Nulla a che vedere con l’odierna critica al cd ‘poltronismo’, mero camuffamento plebeo e ipocrisia retorica. Una critica alle poltrone fatta per il culo degli altri. Magari stando sdraiati su un sofà. Un moralismo grottesco se non del tutto ridicolo.
Non c’è uomo che possa fare a meno di un posto in cui sedersi e far valere una qualche prerogativa di status. La democrazia è infatti una platea di scranni, seggi, sedie e altri sedili la più vasta e distribuita possibile. Una sedia per ogni cittadino.
Né si vedono in giro individui capaci di decisioni supreme di carattere ascetico. Nè nelle élites né nelle classi medie. Dei Dossetti che abbandonano la poltrona e si danno a una vita di mistica meditazione, o dei Che Guevara che mollano il ministero per cercare la morte nella selva boliviana. Personalità troppo elevate, troppo fuori del comune, troppo ambiziose per placare la loro smania nell’occupazione di una poltrona di questo mondo, per quanto elevata. Ma orientati a guadagnare un trono glorioso nell’altro mondo, fra i santi e gli eroi. Sempre un seggio, comunque.