Elena Basile: Guerre e dazi: ci rimette solo l’Europa, non Trump

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Elena Basile
Fonte: Il Fatto Quotidiano

Guerre e dazi: ci rimette solo l’Europa, non Trump

Non siamo economisti. Il raziocinio tuttavia non ci manca. La divergenza tra interessi economici dell’Europa e degli Stati Uniti è una vecchia storia per tutti gli addetti ai lavori. È divenuta una realtà ben visibile all’opinione pubblica con Biden e la guerra in Ucraina. Il risultato economico del conflitto infatti è stato la fine del modello di crescita tedesco ed europeo in vigore dagli anni 80 basato su esportazione di tecnologie in Russia in cambio di gas a basso prezzo. La Germania da motore è divenuta malata d’Europa. L’economia degli Usa è cresciuta avvantaggiandosi della vendita di armi all’Europa (+600%) dal marzo del 2022 e del gas americano quattro volte più caro di quello russo. Il programma straordinario di aiuti di Stato alle imprese realizzato da Biden ha stravolto le regole della concorrenza schiacciando gli interessi europei. La fine della globalizzazione è stata già decretata da Biden con l’auspicato decoupling (“disaccoppiamento”) dalla Cina e con l’idiozia del friendly shoring (“rilocalizzazione di alcune produzioni in Paesi amici”) irrealizzabile perché le catene dell’approvvigionamento non sono integrate in Occidente.

Ai tempi di Biden, tuttavia, nessuno sembrava osservare quanto Washington e Bruxelles avessero percorsi e obiettivi economici differenti. Si subiva l’alleato in allegria. Con Trump, che è a mio avviso il volto più ignobile e onesto dell’impero, tutti si strappano i capelli. Di fatto le sanzioni alla Russia hanno implicato un danno al Pil europeo dell’1,5%, mentre i dazi di Trump (per ora sospesi) lo restringerebbero di circa lo 0,5%.

Siamo abituati inoltre a vedere una discrepanza tra Borsa ed economia reale. L’Europa in recessione durante il Covid era accompagnata da una Borsa florida e in ascesa. Per il 95% della popolazione le perdite virtuali della Borsa non significano impoverimento. I giornalisti enfatizzano il disastro per l’economia europea come se il trikkle down, lo “sgocciolamento di ricchezza” dalle classi abbienti verso gli strati più poveri della popolazione, non fosse una teoria la cui inefficacia analitica non fosse stata abbondantemente provata. E perdite in Borsa delle classi abbienti non si trasferiscono necessariamente sulle classi lavoratrici. Il riarmo solleverà le sorti della grande industria tedesca ed europea, ma non avrà risultati positivi per la maggioranza della popolazione che ha bisogno di scuole e sanità, di politica industriale che porti occupazione per i figli, di infrastrutture, di lotta al disastro climatico e di pace, di commercio.

L’economia di un impero in ascesa è per antonomasia aperta, è un’economia forte che sfida la concorrenza. Trump registra il declino americano con dazi protezionistici che aggraveranno la mancanza di competitività. L’obiettivo di far tornare le imprese straniere negli Stati Uniti, in modo da non essere tassate, sembrerebbe ingenuo. La delocalizzazione è dovuta alla possibilità di produrre in parti del mondo al di fuori dell’Occidente con costi inferiori che non saranno facilmente cancellati dai dazi. La Cina oggetto degli strali trumpiani ha molte carte da giocare. Può diversificare il mercato facilmente grazie alla cooperazione con i Brics. Non dimentichiamo che le catene di rifornimento in Cina e in Asia sono integrate a differenza di quanto accade da noi. Inoltre Pechino può restringere l’esportazione di terre rare e materiali essenziali al capitalismo statunitense. Non è detto che Europa e Cina, messe alle strette, non trovino modi per riprendere a cooperare economicamente. Di fatto Trump aveva un solo modo per trionfare: tagliare il debito dovuto alle spese militari realizzando la pace in Ucraina. Mai si è vista la potenza egemone nella Nato non imporre la sua linea agli Stati vassalli. Vero è che il potere radicato degli apparati di intelligence e del Pentagono si è trasferito in Europa. D’altra parte il presidente Usa potrebbe decidere di lasciare soli gli alleati nel conflitto con la Russia: i Macron, gli Starmer e i Merz alla fine capitolerebbero. Washington è invece ondivaga, opta per delegare la guerra e incamerare introiti per la vendita delle armi. Il re è nudo. Lo abbiamo visto nel surreale scontro tra Zelensky e Trump. Come ho già avuto modo di scrivere, Nixon e Bush, ma anche Clinton e Obama, tra i sorrisi diplomatici, avrebbero già provveduto a defenestrare un politico dipendente e irrispettoso come l’ucraino. In Medio Oriente, Trump fa peggio. Permette a Israele di abbandonare unilateralmente il cessate il fuoco e bombarda lo Yemen, che si oppone alla ripresa dello sterminio di Gaza. È vero che Trump alla Casa Bianca ha maltrattato anche Netanyahu, ma segnali atroci fanno supporre che verrà incontro all’oscena richiesta della lobby di Israele di bombardare l’Iran. Altro che pace e diminuzione delle spese militari. L’impero ha un’oggettiva continuità. Del resto come credere in un Trump statista? Lo avete ascoltato per un secondo? Non c’è il genio dietro l’attore. Trump è ciò che mostra.

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