Fonte: Il Fatto Quotidiano
Non solo Toti: è in crisi ogni gestione pubblica
Le disavventure giudiziarie degli amministratori regionali (l’ultima riguarda Toti) sono oggetto, da un lato, di comprensibile disgusto da parte di chi li scopre proni a qualunque richiesta (anche la più indecorosa) di facoltosi personaggi e, dall’altro, della difesa da parte della coalizione politica d’appartenenza che spergiura sulla (talora ipotetica) probità dei personaggi, finendo per insinuare che non è certo l’indagato ad avere la coscienza sporca. Magari ce l’ha chi lo inquisisce, per conto di una Spectre “comunista”: un tentativo meschino d’intorbidare le acque a comprova della carenza di veri argomenti a discolpa dell’indagato di turno.
Sembra tuttavia sfuggire a tutti che, al di là delle singole vicende, il problema centrale resta l’affidamento di estesi poteri a una istituzione “sbagliata” come la Regione, aggravato dalla carenza di controlli sull’operato degli amministratori.
Sulla Regione ci si è espressi altre volte: se le sopprimessimo rimedieremmo il grave deficit pubblico e restituiremmo coerenza e conformità all’azione amministrativa (gestita, come rivelano le intercettazioni su Toti, al telefono o “in barca” di richiedenti sostanziosi favori d’assai dubbia liceità!). Le principali funzioni affidate alle Regioni sono la sanità e l’urbanistica. Sulla sanità il disastro generale, pilotato in favore della sanità privata, non richiede dimostrazioni; per l’urbanistica è sotto gli occhi di tutti la mancata tutela del territorio per l’anomalo consumo del suolo. A enti per definizione fallimentari si vogliono affidare, con il disegno Calderoli, ulteriori compiti: indipendentemente da altri e più gravi profili, sarebbe come premiare a scuola il più asino.
Una metodica così incongrua si spiega solo con un piano politico che intende, attraverso l’autonomia differenziata, lacerare definitivamente l’unità della Repubblica. Le Regioni, d’altro canto, offrono alla casta posti e prebende a iosa sicché la loro doverosa eliminazione è purtroppo affidata a una combinazione astrale imponderabile e fortunatissima e, per questo, altamente improbabile. I danni sarebbero inferiori se operasse un sistema di controlli per impedire l’uso arbitrario e spregiudicato del potere che contrassegna la gestione degli uffici di vertice delle pubbliche amministrazioni. Spiace ripeterlo: l’ordinamento soffre di un’eccessiva personalizzazione del potere introdotta negli anni 90 su ispirazione di funesti giuspubblicisti, all’apparenza progressisti ma d’intima propensione reazionaria e autocelebrativa.
Senza controlli gli amministratori si sentono autorizzati ad agire con primario riguardo ai loro interessi indirizzati al mantenimento della carica o all’acquisizione di una maggiore: un carrierismo esentato da ogni responsabilità e del tutto indifferente al bene comune. Con l’aggravante che gli amministratori hanno la gestione esclusiva della comunicazione dell’ente, utilizzata per magnificarne le attività, talora inutili e perfino dannose: se la cantano e suonano ignorando o falsamente rappresentando la realtà.
S’impone perciò la reintroduzione d’un sistema di controlli conformato a standard più elevati nei confronti d’ogni amministrazione pubblica. Resta l’amarezza nel constatare l’inconsistenza intellettuale, palesemente denunciata dalla carenza di un’adeguata preparazione culturale, della classe governante che, anzi che porsi il problema dell’inefficienza amministrativa e, di conseguenza, approfondire una seria autocritica, sfugge alle proprie responsabilità con ciarle imbarazzanti. Non solo.
Gestire degnamente la cosa pubblica implica anche una dose di coraggio che consenta d’affrontare consapevolmente le situazioni e gli interessi contrapposti al miglioramento del Paese. La dimostrazione del coraggio non si ottiene con pose da combattente di wrestling, ma dalla capacità di scelte conseguenti. Finora mancano segnali in questo senso, mentre questo governo, al pari di altri, preferisce la marmellata istituzionale definita (mio contributo sul Fatto dell’11.03.2021), “magma appiccicoso di false interpretazioni, elusioni e violazioni di norme eretto a sistema nel quale contegni pur esiziali per l’interesse pubblico vengono trattati con indifferenza o vuota retorica dai responsabili politici, mentre si sanzionano quanti denunciano male gestioni o potenti furbetti e tutto e il suo contrario coesistono nel gelatinoso composto”.