Società patriarcali cristiane: invadenza di miti e riti nei rapporti tra i sessi

per tonigaeta
Autore originale del testo: Antonio Gaeta

di Toni Gaeta  15 febbraio 2016

La vita, amore mio, è la pienezza.
La vita sono un uomo e una donna che si incontrano perché sono fatti l’uno per l’altra, perché sono, l’uno per l’altra, ciò che la pioggia è per il mare: l’uno torna sempre a cadere nell’altra, si generano a vicenda, l’uno è condizione dell’altra. Da tale pienezza nasce l’armonia, e in questo consiste la vita.
Una cosa rarissima tra gli esseri umani.

‘Sándor Márai’

 

E’ stata questa citazione lo spunto di avvio di uno scambio on-line tra me e Anna: scambio che riporto di seguito ma che allo stesso tempo é il motivo ispiratore di questo 1′ articolo su un argomento di grande interesse, quale quello della ricerca sulle forme di sopravvivenza del mito della Dea nelle società patriarcali. Argomento di grande interesse, perché ad esso é collegata la ricerca antropologica, sociologica e psicologica sul rapporto tra i sessi in epoca patriarcale moderna e contemporanea.

Scambio on-line con Anna:

Antonio: Non sono d’accordo che l’armonia tra un uomo e una donna sia “rarissima”. Non per voler essere pignolo. Quando si parla di “esseri umani”, io credo si voglia implicitamente paragonare la nostra specie alle altre specie viventi (quantomeno animali). Ebbene, solo tra gli esseri umani esiste questo spessore qualitativo di coinvolgimento emotivo e sentimentale. Si può dire che spesso dura poco.. Non si può dire che sia raro e meno ancora che sia “rarissimo”…

Anna: E’ un ottimo spunto il tuo e, fa riflettere su cosa effettivamente succede tra un uomo e una donna. Ci sono tante sfumature però che credo sia impossibile descrivere.
Al contrario di te, io la penso come l’autore, l’armonia tra un uomo e una donna è molto rara e parlo di armonia profonda: di quella vera, non quella che dura il tempo di un istante e poi passato il momento non esiste più nulla. Parlo di un’armonia che dura e perdura nel tempo, quella che affronta tempeste e ne esce vincitrice e che impavida resiste composta alle scosse che la vita ogni tanto ti da… eppure rimane tale. Armonia profonda allo stato puro. Ecco credo che la pienezza dell’armonia, come dice Marai, sia l’essenza prima, che contraddistingue il rapporto tra un uomo e una donna e fa si che due anime diverse s’incastrino perfettamente, per dare luogo a qualcosa di veramente speciale e unico. E questo non succede continuamente.. soprattutto, non succede con chiunque. E’ proprio questo il bello che rende speciale l’armonia tra certe persone. C’è unicità. Un irripetibile unicità che si fonde in quelle anime, le stesse che hanno avuto la fortuna di trovarsi in qualche modo per viversi profondamente.
Antonio: Soltanto adesso riesco a sedermi davanti al PC. L’ultima mia zia é morta e sono stato via da Priverno, per essere vicino alle mie cugine. Ora posso dire ciò che penso di questa agognata armonia “allo stato puro” (come tu l’hai definita) tra un uomo e una donna. Se siamo d’accordo che nel nostro organismo anima e mente si influenzano costantemente, possiamo riempire anche di contenuti concreti (e non solo sognati) questa “armonia”. Io definisco questi contenuti “consapevolezze”, capaci di generare emozioni, sensazioni, vibrazioni di corde profonde, le cui note reclamano interazioni di altre note, provenienti dall’organismo del partner.. Se puoi concordare con me anche questo, forse l’armonia dipende dalle comuni consapevolezze. Qui, molto realisticamente troviamo gli ostacoli, che impediscono a un uomo e a una donna di vivere a lungo l’auspicata armonia. Purtroppo, sistemi culturali molto diversi hanno costruito barriere tra i sessi, utilizzandole in modo strumentale, per finalità di potere: soprattutto maschile. Non so sei hai approfondito le letture dei miei articoli sulle società matriarcali. Io credo che l’aspetto più importante di queste mie ricerche é il seguente.
Nel nostro sistema sociale dominano i valori imposti dalle culture patriarcali. Tuttavia, esso si differenzia da altri sistemi patriarcali, per il fatto che le donne sono riuscite a conservare valori discendenti dalle società matriarcali, sia pur vissuti in costante conflitto con quelli che plasmano l’educazione ricevuta fin da piccoli dai maschi. Questo ostacola e spesso impedisce la formazione di “consapevolezze” condivise, che possano permettere a due individui di sesso diverso di attrarsi per lungo tempo. Come canta Francesco De Gregori, la Storia siamo noi, sono le cose che dicono e fanno gli uomini e le donne, le lettere che essi scambiano e gli ostacoli che cercano di superare, per una vita migliore (in senso qualitativo e non solo economico). Nonostante queste grandi difficoltà, quando uomini e donne comprendono che i loro problemi non sono “personali”, ma individualmente collettivi, é più facile che si verificano e condizioni di armonia, che alcuni di noi auspicano: quelle stesse che ho già scritto essere possibili solo nell’ambito della nostra specie. – The End –

Anna non ha replicato ed io ho continuato a riflettere su ciò che ho scritto in questo breve scambio. Per questo ho deciso di tentare l’approfondimento delle anticipazioni scritte negli articolo precedenti sugli aspetti delle società matriarcali che continuano ad influenzare i nostri sistemi culturali occidentali e occidentalizzati.

L’antropologa, fondatrice degli “studi matriarcali moderni” Heide Goettner-Abendroth, nonché autrice del saggio “Le società matriarcali”, nel paragrafo dedicato alla definizione del “paradigma” del matriarcato, scrive che questa definizione abbraccia un ambito molto vasto. Esso comprende non solo tutto quello che si conosce della Storia e delle varie forme di società oggi esistenti, ma tocca tutto il contenuto delle varie scienze culturali e sociali.

La studiosa, dopo aver definito 4 ambiti di ricerca, che essa chiama “passi” per lo sviluppo del paradigma del matriarcato, sostiene che nel 5° passo é necessario sviluppare un’analisi approfondita della storia del patriarcato. “Questa é stata registrata finora come storia di dominio, una storia vista dall’alto, dalla prospettiva dei dominatori. Esiste, però, anche una prospettiva dal basso, completamente diversa. E’ la storia delle donne, della classi più basse, dei popoli indigeni: la storia delle sub-culture e delle culture marginali. L’esistenza di questa storia dimostra che il patriarcato non é riuscito a distruggere su tutti i continenti le antiche e durevoli tradizioni matriarcali. In ultima analisi, il patriarcato vive da parassita su queste tradizioni.”

Quest’ultimo concetto é dalla stessa Heide Goettner-Abendroth maggiormente chiarito in un articolo scritto per l’Università delle Donne, nel quale essa a quanto sopra aggiunge che: “Il compito è dimostrare che queste tradizioni (orali, usanze, miti, riti folcloristici, ecc.) hanno radici in quelle precedenti: nel matriarcato. Ma possiamo riconoscerlo solo con l’aiuto della completa definizione di ‘matriarcato’. Se riusciamo a seguire le tracce a ritroso nella storia del patriarcato e connetterle, questo vuol dire niente di meno che riguadagnare la nostra eredità.”
Con riferimento al proposito iniziale di questo articolo, circa l’individuazione dei comportamenti maschili e femminili, ereditati dalle culture patriarcali e quelli ereditati dalle culture matriarcali, diventa oltremodo importante conoscere bene le caratteristiche di entrambe le tipologie socio-culturali, giacché, tutto nei nostri comportamenti individuali e sociali, “moderni” o “contemporanei”, é riconducibile a tali caratteristiche.
Per agevolare nel lettore la comprensione dei tratti caratteristici delle società matriarcali e patriarcali, elenco i miei precedenti articoli che trattano tale argomento:

L’archeologia e la vera storia dell’Homo Sapiens

Adesso occorre affrontare l’argomento che più di ogni altro ha condizionato le culture, le conseguenti convinzioni e i conseguenti comportamenti di uomini e donne nelle società occidentali: ovvero l’ampia e capillare diffusione del “cristianesimo”, quale movimento di tipo religioso, che ha fornito le basi ideologiche anche alle mutevoli forme istituzionali, nonché alle leggi, che hanno caratterizzato durante i secoli il rapporto tra dominatori e dominati: comprendendo tra quest’ultimi anche le donne in condizione matrimoniale.

Il Cristianesimo antico non prevedeva alcun tipo di devozione, che non fosse rivolta esclusivamente a Dio. La penetrazione della nuova religione in territorio greco-romano fece sì che fossero importati anche culti pagani, opportunamente rivisitati, per dare loro quantomeno una sfumatura nominalmente cristiana.
La Chiesa di Roma ha sempre tollerato di buon grado queste contaminazioni, in quanto hanno favorito l’adesione al cristianesimo da parte delle popolazioni pagane, che così potevano ritrovare elementi a loro familiari.

Di tutte le contaminazioni pagane, la creazione del culto della “madonna” rivolto a Maria madre di Gesù è forse il più appariscente e anche quello che contrasta di più con i testi dei Vangeli.

Gesù, da buon ebreo monoteista, non ha mai proposto il culto di sé stesso, né ha mai avuto pretese divine. Men che meno ha mai accettato che sua madre diventasse meritevole di particolari onori, solo per motivi di parentela.

Al contrario, nel vangelo di Matteo si legge che quando Gesù iniziò a predicare, sua madre lo venne a prendere per portarlo a casa, considerando probabilmente una ‘stranezza’ il fatto che il figlio si dedicasse a problematiche religiose piuttosto che aiutare il padre nel lavoro di falegname e carpentiere.

Quando Gesù seppe che sua madre e i suoi fratelli volevano parlare con lui, rispose con questa frase: “Chi è mia madre ? E chi sono i miei fratelli ?”. Poi, con la mano indicò i suoi discepoli e disse: “Guarda ! Sono questi mia madre e i miei fratelli: perché se uno fa la volontà del Padre mio che è in cielo, egli è mio fratello, mia sorella e mia madre” (Matteo 12, 46-50).

Ma non è tutto: nel vangelo di Luca si racconta di una donna che fu probabilmente la prima persona a rivolgere delle parole di devozione alla madre di Gesù, in presenza di quest’ultimo. La donna disse infatti: “Beato il seno che ti portò e le mammelle che ti allattarono!” Ma Gesù disse: “Beati piuttosto quelli che odono la Parola di Dio e l’osservano.” (Luca 11:27-28).

Come si vede chiaramente, i vangeli sottolineano che l’insegnamento di Gesù è teologicamente rigoroso, centrato sull’osservanza degli insegnamenti e non su devozioni sentimentali.

Ma i popoli pagani che aderivano, per fede, per paura o per convenienza, alla nuova religione, non potevano certo dedicarsi alla lettura dei vangeli (a parte l’analfabetismo, siamo in un’epoca dove ogni comunità cristiana possiede solo una piccola porzione del nuovo testamento) e preferivano seguire una religiosità istintiva, che li portava addirittura a prediligere il culto di qualche divinità “materna”, piuttosto che l’austera adorazione dell’unico Dio. Oltre alla prevalente attività economica agreste, concorrevano motivazioni psicologiche profonde, che rendevano la figura materna più protettiva e rassicurante di quella paterna. Questo é uno dei motivi alla base della prosecuzione di formule religiose tipiche delle società matriarcali.

Il culto della ‘madonna’, sebbene contenga elementi sincretistici di varia provenienza, deriva principalmente dal culto di Iside. Questa dea era definita “la Vergine”, come del resto molte altre madri di eroi divini secondo i miti mediterranei.

Poiché Iside rappresentava la notte (nei miti pagani sono presenti anche eventi astronomici) molte sue statue erano nere (come le tenebre, appunto) e questo spiega l’esistenza di “madonne nere”. Tuttora esistono più di 450 luoghi in cui si trovano Madonne Nere. Reperti archeologici sembrano appurare che moltissime chiese cattoliche siano sorte su antichi templi di Iside, ad esempio la chiesa di S. Stefano a Bologna, come pure Notre Dame a Parigi.

Nei secoli passati molte immagini e statue delle originali Madonne Nere sono state distrutte o si trovano in collezioni private. Alcune sono state riprodotte e spesso sono diventate bianche, forse per cancellare la loro origine “pagana”!

La Chiesa cristiana, nel corso dei secoli, pur non avendo alcun conforto nei testi evangelici (anzi in antitesi rispetto agli stessi vangeli), è andata elaborando una “teologia mariana” che ha concentrato sempre di più su Maria le mitologie pagane sulle divinità femminili, materne, vergini. Persino le ‘feste’ dedicate a Maria costituisco il proseguimento di antiche feste dedicate alle madonne pagane !

Fu il concilio di Efeso a introdurre ufficialmente nella Chiesa cristiana il mito pagano della ‘Dèa madre’, che fecondata da un ‘Dio padre’, fa nascere un essere semi-divino. Maria fu proclamata “Madre di Dio” nell’anno 431 p. C. Ben 4 secoli dopo la predicazione di Gesù !

Non è un caso che ciò sia avvenuto proprio ad Efeso, città che aveva un forte attaccamento al culto di una ‘madonna’. In questo caso si trattava di Artemide (o Diana).
Negli Atti degli Apostoli si racconta che quando Paolo arrivò in questa città con il proposito di fondare una comunità cristiana, incontrò una forte ostilità da parte della folla, che l’accusava di minacciare la sopravvivenza del culto della loro ‘madonna’.
Le grida “grande è l’Artemide degli Efesini!” (Atti 19,28) mostravano la potenza di un culto che indusse Paolo a lasciare la città. Se Paolo avesse proposto agli Efesini la venerazione di Maria, certamente non avrebbe istigato una simile contrapposizione.
Il fatto è che per i ‘primi cristiani’ (cristianesimo primitivo) era assolutamente impensabile l’idea di poter seguire un culto di tipo “mariano”.
Chi l’avrebbe detto che dopo 4 secoli i pagani non avrebbero più temuto che il cristianesimo entrasse in competizione con il mito della ‘Dèa madre’ ? Al contrario, i pagani riuscirono a introdurre i loro miti nel cristianesimo.

Questa riabilitazione del culto della ‘Dèa madre’ ebbe come conseguenza la mitigazione degli altamente conflittuali rapporti tra uomini e donne, causati dall’imposizione delle culture patriarcali. Come vedremo nella 2′ parte di questo articolo, la storia dei rapporti tra i sessi ha subito continue oscillazioni, in ragione della maggiore o minore capacità delle classi sociali (o parti di esse) di riuscire ad esprimere valori ispirati alla condivisione del potere: quelli che oggi definiamo “democratici” in contrapposizione a quelli, tipicamente patriarcali, come tali, definiti “autoritari”, quando non “dispotici” o “tirannici”.

E’ interessante verificare nel corso del tempo in che modo le vicende storiche, connesse con le concomitanti evoluzioni/involuzioni sociali e culturali, abbiano condizionato i rapporti inter-personali tra uomini e donne. Oggi ad esempio, noi occidentali parliamo di “coppie”, giacché seguiamo un modello culturale, che privilegia il rapporto monogamico. L’ideologia della “coppia monogamica”, sempre sostenuta dalla Chiesa, sebbene rinnovata nelle sue arcaiche caratteristiche di dominio maschile, ha ispirato poeti di ogni epoca e molti romanzieri dei secoli XIX e XX.

Questo ha foggiato le coscienze di molte persone, che nutrono maggiori aspettative nei confronti di un rapporto di coppia di tipo sentimentale, reso possibile da una profonda trasformazione dei costumi e dalla maggiore considerazione del valore della donna nelle moderne e contemporanee società patriarcali.

Un tempo la ricongiunzione delle “anime gemelle” era considerata soltanto narrazione mitologica, che beneficiava del potere di Eros (o Cupido). Chi cadeva vittima di tale potere di infatuazione del corpo e dell’anima, era destinato a soffrire. A volte si trattava di amore corrisposto di cui beneficiavano pochi eletti, tuttavia spesso perseguitati da leggi assolutamente sfavorevoli alla cultura dei sentimenti amorosi e motivo di ispirazione di “tragedie” (famosa quella shakespeariana di Romeo e Giulietta).

La concomitante ispirazione dello stesso tipo e intensità di sentimenti all’interno dei rapporti inter-sessuali, più di recente costituisce legittima aspirazione di molte donne e anche di alcuni uomini. Nella 2′ parte del presente articolo vedremo come la possibilità di sviluppare questi sentimenti in modo congiunto, contestuale e duraturo é sempre ancorata alle capacità degli uomini e delle donne di riuscire ad esprimere valori mutualistici e solidaristici in ambito sociale, resi possibili da una comune emancipazione dalle imposizioni istituzionali, anche di carattere religioso e, quindi, dall’invadenza dei miti e dei relativi riti.

Basti pensare ai transfert di molte donne (per ragioni biologiche) nei confronti di uomini creduti a torto o a ragione in possesso di maggiore potenza sessuale, quale condizione discendente dal mito di Zeus (o Giove): mito che ancora oggi, nell’era del “Dio denaro”, concorre alla determinazione delle gerarchie sociali e connesse condizioni individuali, alla base di tanti vissuti “personali”.

Vedremo come la stessa Riane Eisler, autrice de “Il calce e la spada”, definisce “androcrazia” (andros=dell’uomo – kratos=governo) i periodi storici in cui ha prevalso il principio “dominatore”. Mentre i periodi storici in cui il modo di intendere i rapporti tra i sessi é quello liberato da schemi di dominio e da ruoli imposti, permettendo di vivere in unione di assoluta armonia, sono dalla stessa Eisler definiti di “gilania” [(gi-l-an)-ia]. Dove “gi” deriva dal termine greco ‘gyné’ (donna), “an” deriva ancora dal greco ‘aner’ (uomo) e la lettera “l” esprime sia il concetto di unione (in inglese link) sia quello di liberare, sciogliere (in greco ‘lyo’ o ‘lyein’ vuol dire sciogliere o liberare): ovvero una libera unione, non condizionata da schemi mentali, dettati da imposizioni culturali e/o istituzionali, che non siano quelli ispirati al rispetto degli altri.

 

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