Fonte: La stampa
Dalle cariche di Pisa al generale Vannacci: la destra che rinnega ordine e gerarchie
Giorgia Meloni smentisce di aver chiamato in causa il Quirinale quattro giorni fa, quando ai microfoni del Tg2 aveva polemizzato con le istituzioni che «tolgono il sostegno» alle forze dell’ordine. Così facendo riallinea se stessa e il suo mondo all’ordine gerarchico delle cose: quello per cui, davanti ai richiami del massimo rappresentante dell’unità nazionale, si può applaudire, annuire, tacere, ma mai dare l’impressione di entrare in conflitto con lui. È un allineamento che la destra, in teoria, avrebbe dovuto scegliere d’istinto fin dall’inizio. L’ordine gerarchico delle cose è uno dei capisaldi del suo racconto, insieme con l’idea che la cultura conservatrice sia il regno del rispetto delle “istanze superiori” mentre dall’altra parte, a sinistra, alligna una natura sovversiva e poco incline a riconoscere l’autorità.
Questo tipo di grammatica è saltata almeno due volte negli ultimi mesi, una prima con le polemiche seguite alle bastonature di Firenze e Pisa e una seconda con i mugugni o i silenzi imbarazzati sui provvedimenti disciplinari che hanno colpito il generale Roberto Vannacci. È sorprendente. È curioso. Nella vicenda delle cariche agli studenti in corteo ogni alto livello della catena istituzionale ha riconosciuto gli eccessi e la necessità di accertamenti. Il capo della Polizia Vittorio Pisani ha parlato di «iniziative che dovranno essere verificate con severità e trasparenza».
Il prefetto di Pisa ha negato l’esistenza di disposizioni sull’uso della forza per contenere i manifestanti. Il responsabile della Questura ha riconosciuto un problema di gestione della piazza dal punto di vista organizzativo e operativo. A seguire Rettori, presidi e insegnanti: tutte figure che una destra d’ordine, una destra delle gerarchie, una destra delle regole, di solito ascolta con grande attenzione. Tutta gente che nella visione conservatrice «ha sempre ragione» e viene difesa a gran voce.
Stavolta no. Neanche la linea espressa da Sergio Mattarella e condivisa con un’altra autorità di massimo rilievo gerarchico – il ministro dell’Interno – è riuscita a suscitare il tipo di adesione che la destra riserva di solito alle istanze superiori. Anzi, ogni singola dichiarazione del dopo, comprese le parole di Meloni sui rischi del mettere in dubbio certi operati di polizia, è stata funzionale al contrario: negare le ricostruzioni, criticare le perplessità, delegittimare la necessità di capire espressa da tante fonti diverse e tutte di assoluta autorevolezza.
L’altro caso che intorbida la narrazione è la simpatia per un generale deferito agli organi disciplinari dal ministro della Difesa, di recente colpito da un provvedimento di sospensione per «carenza di senso di responsabilità» e oltraggio «al prestigio e alla reputazione dell’Esercito». Accuse che, da un punto di vista di destra, dovrebbero equivalere a un de profundis. Fellonia, roba da degradazione sul campo. E invece per mesi si è confuso l’azzardo polemico di Vannacci con l’esercizio della libertà di pensiero, cercando di tenere insieme la difesa dell’ufficiale rockstar con quella del ministro Guido Crosetto (uno dei fondatori di FdI! ) che lo aveva allontanato dall’incarico. E anche in tempi più recenti, troppa accondiscendenza, troppi silenzi, mentre ci si prepara ad accogliere il ribelle – pare cosa già fatta – nel team della maggioranza nel ruolo di europarlamentare eletto con la Lega. Roba da svenimento per un mondo che della disciplina e dell’obbedienza alle regole ha fatto un valore assoluto.
Vista da questa prospettiva, la spiegazione di Meloni sulle parole pronunciate al Tg2 («non ce l’avevo col Presidente ma con la sinistra sempre capace di criticare e mai di difendere le forze dell’ordine») è un passo che guarda alla riconciliazione con il Quirinale, ma anche a una parte del suo elettorato. Quella parte che da un po’ di tempo si chiede: ma insomma, chi siete? Con chi state, dove vi collocate? Una destra d’ordine che piccona l’ordine delle cose è un ossimoro difficile da sostenere, persino in una politica spregiudicata e senza memoria come la nostra. La sensazione che questa confusione abbia un prezzo, anche in termini di consenso, forse comincia a farsi strada.