Conte e la parrucchiera della porta accanto

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

La parrucchiera della porta accanto

E siccome mi si accusa di fare troppo spesso l’apologia del contismo, vorrei smentire i malevoli con una critica della famigerata ‘fase due’. Nella quale il giusto concetto della gradualità mi sembra coniugato in modo paradossale ed economicistico, cioè astratto. Come che usciti di casa ci si parasse davanti la ‘filiere’ e non il contesto nel quale la casa è radicata. Sicchè all’ultimo posto nella cronologia dell’apertura si pongono i parrucchieri, gli estetisti, gli osti, i baristi e i tavernieri (non i tabaccai e gli spacci, fortuna loro). Esercizi catalogati come negletti proprio perchè capillari nella distribuzione e corpo a corpo nello svolgimento, quindi patogeni rispetto al distanziamento sociale. Errore capitale. Che ora vorrei spiegare, comunque restando ben alla larga dai rompicoglioni della privacy e del ‘lei non sa chi sono io’..

Io adoro la parrucchiera e il magico gineceo dove volteggia o sta, in posa contiurbante, come nel bagno di Ingres. Nel mio immaginario erotico è quanto di più prossimo all’archetipo prediletto: una splendida femme deshabillè, più spesso con guepiere, con grandi tette e culo affluente, che armeggia in una cucina-boudoir accogliente e arredata con maliziosa sapienza. Nella parrucchiera ritorna a pennello questa idea sensuale, domestica e animalesca, feconda, carnale quindi nutriente, della femmina. Una cuoca odalisca. Quando mi abbandono penso alla mia testa adagiata fra le accoglienti mammelle della parrucchiera e frizionata con generosità come fosse un prepuzio. Come rientrassi in me come testa di cazzo.

Divagazioni oniriche a parte, una volta decaduti sino alla rarefazione i saloni dei barbieri coi loro calendarietti erotici profumati per soli maschi, la parrucchiera è residuata come l’esercizio più capillarmente distributo. Anche grazie all’elementarietà delle economie di scala: ogni cento teste di donna una parrucchiera. Nelle frazioni più sperdute e circondate da campagne spopolate, sorta di dormitori sparsi, dove la rarefazione antropica ha raggiunto livelli tali da escludere persino il bar, lo spaccio, l’edicola e la tabaccheria, la parrucchiera è sopravvissuta come ultimo presidio sociale e funzionale. Per questo a suo tempo suggerii, per ottenere il voto femminile, di insediarsi nel network delle parrucchiere anzichè nei bar metropolitani dell’happy hour. Lì arrestando, nella trincea territoriale più arretrata, l’avanzata della Lega.

In questi contesti, la clientela della parrucchiera è rigorosamente vicinale, come tale assolutamente tracciabile. Perciò controllabile e al caso segmentabile secondo la bisogna. Un’idea sarebbe quella di istruire le parrucchiere nell’uso dei tamponi, così da farne una sorta di sentinella del territorio. La parrucchiera-infermiera, prima figura pubblica di prossimità nella comunità locale primordiale.

Perciò bisognerebbe pensare i servizi personali, più complessivamente secondo, questa prospettiva: quella del ‘contatto selezionato’, perciò tracciabile con sicurezza. Un poco come valse nel caso dell’aids dove la gente si abituò ai contatti sessuali selezionati, a-promiscui, cioè non a rischio, piuttosto che all’uso fastidioso dei preservativi. ..

Ma il discorso è più generale. Il look down ha prodotto una violentissima torsione dalla scala globale a quella domestico-familiare tranciando ogni dimensione graduale intermedia. Uscire con ‘gradualità’ da questa tabula rasa significa riguadagnare poco alla volta tutti i gradini intermedi che dal micro salgono al macro. In un percorso a spirale: dalla casa alla frazione, dalla frazione al centro demico, da questo al comune, alla città, alla provincia, alla regione e via salendo. E nelle metropoli dalla strada al rione, da questo al quartiere ecc. Seppure densamente strutturata dai rapporti vis a vis (quindi pericolosamente contaminanti) la comunità locale guidata dalla parrucchiera, compatta e in sè circoscritta (e al caso rinserrabile come ghetto) costituisce anche una sorta di briglia in grado di agire come filtro sociale selettivo. Un regimatore dello scolo pandemico. E del resto di cosa si parla quando si punta il dito contro le gravi carenze della medicina territoriale, ivi compresi i medici di base (naturali dirimpettai della mia parrucchiera) ?

Se la globalità post-moderna, come spiega ogni volta che può l’amico Farinelli, ha significato la vanificazione di ogni idea cartografica euclidea del mondo. La pandemia ha ripristinato in modo brutale il modello gerarchico della geometria euclidea. Lungo un unico gradiente che si può percorrere dall’alto al basso (il modello top down dell’autgorità statale) ma anche dal basso all’alto (il modello bottom up dell’autoregolazione selettiva). Questa è l’essenza del distanziamento e della prossemica che ne consegue. La sua misurabilità, segmentabilità, controllabilità, gradualità, prevedibilità. E siccome la nostra tradizione amministrativa è quella di matrice napoleonica non resta che rimetterla in atto. Almeno sino a che non potremo riaprire le danze nell’orgia globale.

Sono partito dalla parrucchiera ma il discorso vale per la più gran parte dei servizi alla persona, ivi compresi quelli affettivi e carnali (così la smettiamo con tutta questa chiacchera ridicola delle coppie di fatto: scopare chiunque, ma che sia ben conosciuto e nei paraggi…). Ultimi in una visione astratta del distanziamento, ma primi nella concretezza del vissuto georeferenziabile. Così abbiamo anche il pistolotto filosofico e si può chiudere l’argomento.

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