Se il 25% degli italiani resta senza cure di Stato

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Marianna Filandri
Fonte: La stampa

Se il 25% degli italiani resta senza cure di Stato

In questi giorni si è acceso il dibattito sul finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Il dato da cui prende le mosse è che per l’anno prossimo è prevista una ulteriore riduzione della già bassa spesa pari al 6, 4% del prodotto interno lordo. Stupisce molto se si confronta la percentuale italiana con quella di Germania e Francia che arrivano a superare il 10%.

Molte voci autorevoli, a partire dai firmatari di un appello su Scienzainrete hanno affermato con forza come non si possa fare a meno del Servizio sanitario nazionale per garantire la salute ai cittadini, soprattutto ai più poveri. Anche su queste pagine, diverse riflessioni hanno denunciato come le persone con difficoltà finanziarie rinunciano molto spesso a curarsi o si indebitano per farlo. La riduzione della spesa e il conseguente peggioramento della sanità pubblica non hanno implicazioni rilevanti solo per la popolazione già povera. I tagli fanno anche cadere in povertà individui e nuclei che non sono considerati tali. Vediamo come.

In primo luogo, aumentano le spese sui bilanci delle famiglie. Prendiamo come riferimento la soglia di povertà assoluta, ossia quanto secondo Istat è necessario per accedere a uno standard di vita minimo ritenuto accettabile. Come funziona? Viene definito un paniere di beni e servizi ritenuti essenziali e con un complesso calcolo il loro costo. Per intenderci sono previste le spese per cibo, abitazione, trasporti, indumenti. Sono considerate anche diverse spese per la sanità non del tutto a carico dello Stato. Infatti, tenendo conto dell’offerta da parte del Servizio sanitario nazionale, sono considerate effettivamente sostenute dalla famiglia le spese per cure dentarie, ginecologiche, nonché medicinali e attrezzature sanitarie e terapeutiche. Il costo del paniere definisce la soglia della povertà e chi non ha le risorse economiche per pagare questi costi è povero in termini assoluti.

Dunque, se le prestazioni della sanità pubblica vengono meno, il costo del paniere dovrebbe aumentare. Aumenta nei fatti, al di là della velocità di adeguamento di cosa è inserito. Questo significa che oggi in Italia i poveri in termini assoluti sono con ogni probabilità sottostimati. E secondo i dati Istat presentati poche settimane fa parliamo di oltre 2milioni e 200mila famiglie e quasi 6 milioni di individui. La sottostima fa passare la povertà da drammatica a disperata. In secondo luogo, vi è una dinamica che porta tanti nuclei a cadere nella cosiddetta povertà sanitaria. Quest’ultima si riferisce sia al rischio di ammalarsi e all’aspettativa di vita sia alla difficoltà di curarsi da parte dei cittadini. Evidentemente sono aspetti tra loro collegati: la mancanza di servizi sanitari accessibili risulta molto spesso in condizioni di cattiva saluta e in una aspettativa di vita più bassa.

Secondo Eurostat oltre un italiano su quattro dichiara di non riuscire ad avere accesso alle cure mediche. La ragione principale sono le liste di attesa, seguite dalle difficoltà finanziarie. Questa incapacità di curarsi non riguarda solo la fascia più marginale della popolazione. Infatti, in un caso su sette questa problematica interessa persone laureate che non dichiarano difficoltà finanziarie, ma è relativa alla difficoltà di accedere alle cure perché non disponibili o per lunghe liste di attesa. Questi dati minano il diritto a vivere in buona salute. Chi governa è chiamato a garantire l’assistenza sanitaria a tutti, fronteggiando gli ostacoli della limitazione delle risorse con la definizione di priorità difficilmente discutibili.

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