Il DEF 2017 e la sanità

per mino dentizzi

di Mino Dentizzi, 30 settembre 2017

Il Consiglio dei Ministri, il 23 settembre, ha approvato la nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (DEF) 2017, certificando per l’anno in corso una crescita del PIL del 1,5% e confermando la stessa previsione per il 2018 e il 2019.

In termini finanziari per la sanità pubblica, l’aggiornamento del DEF 2017 non prevede alcuna variazione, stimando € 114,138 miliardi di spesa pubblica per il 2017, € 115,068 miliardi nel 2018, € 116,105 nel 2019 e € 118,570 nel 2020. Cifre assolute che corrispondono a una crescita percentuale di 1,4% nel 2017, 0,8% nel 2018, 0,9% nel 2019 e 2,1% nel 2020
L’elemento più allarmante è che, secondo la nota di aggiornamento del DEF, il rapporto tra spesa sanitaria e PIL dal 6,6% del 2017 diminuirà al 6,4% nel 2019 per crollare al 6,3% nel 2020, percentuali mai raggiunte in passato. Sono dati percentuali che collocano l’Italia ben di sotto la media degli Stati europei relativamente agli investimenti in salute. Ricordiamo, inoltre che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha fissato al 6,5% la soglia di allarme, al di sotto della quale, oltre la qualità dell’assistenza e l’accesso alle cure, si riduce anche l’aspettativa di vita delle persone.
La nota di aggiornamento del DEF riprova in modo lampante che all’attendibile ripresa dell’economia non scaturirà una crescita proporzionale del finanziamento pubblico del SSN. Se inizialmente la progressiva riduzione degli investimenti nella sanità pubblica era giustificata come una necessaria ripercussione della crisi economica, oggi costituisce un dato inarrestabile.
Quest’andamento ratifica l’ assurdo controsenso causato da una programmazione sanitaria sganciata da quella finanziaria: i cittadini italiani secondo le leggi e le normative hanno a disposizione un elenco di livelli essenziali di assistenza tra i più lunghi d’Europa, ma allo stesso tempo il nostro Servizio Sanitario Nazionale è collocato nelle ultime posizioni per finanziamento pubblico. I nuovi LEA da grande conquista sociale e politica corrono il rischio di trasformarsi in un miraggio collettivo con pesanti conseguenze per le persone bisognose di cure e assistenza.

Se non cambierà nulla (il DEF è propedeutico alla presentazione della Legge di Bilancio) di sicuro dovremo fare i conti con due probabili conseguenze.

La prima riguarda l’aumento della spesa privata (+4,2% nel triennio 2013/2016) ormai giunta a 35,2 miliardi di euro e superiore alla media EU a 28; la seconda concerne la rinuncia alle cure: quasi 12 milioni di cittadini italiani che nello stesso periodo hanno scelto di rinunciare a curarsi, altri 8 milioni che hanno scelto la via dell’indebitamento personale per non ritardare trattamenti indispensabili.

Non va meglio agli operatori della sanità, obbligati a confrontarsi con un’ottica principalmente indirizzata non all’appropriatezza delle cure ma al contenimento dei costi, in una situazione lavorativa in cui è aumentato a dismisura il lavoro precario, sono lievitati i carichi di lavoro in modo molte volte insostenibile e, quindi, sono accresciute, come un cane che si morde la coda, le malattie professionali e le limitazioni funzionali.

Le politiche sanitarie, dunque, operate soprattutto nell’ultimo decennio hanno fallito ed è impellente cambiare rotta: la salvaguardia del SSN deve divenire una battaglia di tutti perché si arrivi a un rovesciamento della tendenza concernente i finanziamenti, a un impiego razionale delle risorse indirizzato al rafforzamento dei servizi e del loro sviluppo verso un concreto e adeguato rapporto fra ospedali e servizi territoriali, alla stabilizzazione del personale mediante una effettiva individuazione dei fabbisogni indirizzata all’appropriatezza, al riconoscimento del lavoro del personale sanitario e al miglioramento delle condizioni in cui operano.

 

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