Denaro, media e politica all’assalto di Roma dopo l’uscita di Marino

per Gabriella
Autore originale del testo: Michele Prospero
Fonte: Rassegna Sindacale
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di Michele Prospero – 10 ottobre 2015

La vicenda di Roma va letta in un più generale quadro che vede emergere delle inquietanti (e però senza risposte sociali forti) forme dei rapporti tra economia, banche d’affari e politica. La manina che ha ridato memoria ai ristoratori capitolini, pronti a ricordare a distanza di anni le facce degli ospiti che hanno consumato pasti e bevande con il sindaco, rientra in un gioco più vasto, che sta ridefinendo le gerarchie nelle élite della politica e nelle potenze dell’economia. E’ divenuta una città da conquistare Roma, perché si ritrova in uno stato di natura, con guerre irriducibili tra singoli e bande e sprovvisto di strumenti politici di rassicurazione.

Sempre meno contano nei partiti la partecipazione politica, i congressi, le discussioni programmatiche, le idealità. Smarrita la loro anima popolare, i partiti sono semplici sigle per le manovre di ceti politici indipendenti, che vagano senza un consenso strutturato (militanza, organizzazioni collaterali, associazioni). Privi di cultura politica, annaspano in un’organica dipendenza rispetto ai garanti degli appoggi di media e denaro. Per decifrare i movimenti che, da dietro le quinte, determinano le carriere politiche e indirizzano le scelte di classe dei governi, occorre puntare i riflettori sul connubio tra ceto politico e mondo della finanza e dell’impresa che nelle città prende il posto dei partiti ormai defunti.

Perché le scelte del governo si indirizzano con tanto accanimento contro il residuale ruolo della contrattazione collettiva? Quando viene ventilato il salario minimo per legge è chiaro che il bersaglio è il sindacato, residuale fattore di disturbo. Il modello di relazioni sociali sognato dall’esecutivo prevede retribuzioni in discesa, lavoratori sempre sotto ricatto e sindacato relegato in soffitta. Questa opzione, così provocatoriamente suggerita dal lodo Marchionne, nasconde un dominio mai così forte, esplicito dei poteri economici e una politica del tutto succube, nel centro e nelle periferie, rispetto ai desideri dei signori del capitale, dei media e della finanza.

Nel celebre matrimonio di un imprenditore-politico come Carrai, socio in affari di Bernabé, dipinto dalla stampa come tessitore di rapporti di influenza pervasivi (che vanno dalla compagnia delle opere, alle banche, alla finanza americana), insieme ad un drappello di politici al governo era convenuta anche la rete dei poteri visibili e invisibili, con comparse che davvero contano: da Paolo Fresco (ex amministratore della Fiat), al finanziere Serra, a Mieli per finire al vice presidente di Unicredit Palenzona, oggi caduto nelle maglie di un’inchiesta su affari, banche e poteri mafiosi.

Torino, Roma e a Firenze sono i luoghi simbolici dell’intreccio egemonico tra politica debole e poteri economici forti. A Torino, a dirigere le danze, si trova un ceto politico che passa con estrema tranquillità dalle cariche amministrative alle fondazioni bancarie per poi recuperare le funzioni amministrative. Pubblico, privato non sono più ambiti distinti, è tutto immerso nell’opaco. Nella coalizione dominate torinese conta la regia di Marchionne, la capacità di pressione di Intesa San Paolo (che inviò la Fornero come ministro nel governo tecnico).  I politici locali sono i garanti, sotto la Mole, di una piena funzionalità dei giochi che scorrono fluidi tra amministrazioni e finanza.

I propri referenti politici nazionali, questa compatta coalizione di potenze economiche e mediatiche, li ha però scovati a Firenze. Sotto l’Arno, l’alta finanza, le banche, l’Ente cassa di Firenze, il Corriere fiorentino, Lorenzo Bini Smaghi, la compagnia delle opere hanno edificato un solido e trasversale blocco di potere. La fondazione Open (Lotti, Bianchi, Boschi) è la coperta che copre un granitico intreccio di media, finanza, impresa che si è mostrato in grado di orchestrare le scalate ai partiti con il bagno di folla dei gazebo e quindi di gestire promozioni e ricompense quali attestati di fedeltà.

A Roma questa grande coalizione, cui si aggiunge il supporto di Caltagirone (costruzioni, stampa, Acea), penetra nei gangli del potere con le nomine nei consigli di amministrazione, nei vertici delle banche, della Rai. La politica capitolina è un misto tra piccole ambizioni neo-patrimoniali di famiglie locali (che cumulano cariche elettive e le trasmettono in eredità a figli e a consorti), e grandi appetiti dei costruttori che hanno ottenuto miniere d’oro, con apposite revisioni dei piani regolatori, con un mitico miracolo del “modello Roma” all’insegna di un cementificio infinito. Luca Odevaine, ripreso dalle telecamere mentre contava grandi pacchetti di soldi, è il simbolo di una carriera inarrestabile all’ombra di una rete politico-amicale che da vent’anni controlla Roma e la politica nazionale e garantisce la staffetta tra spezzoni del vecchio potere artefice del Lingotto e i nuovi soldati della rottamazione radunati alla Leopolda.

Il connubio tra politica e affari è ormai totale. Gli scontrini di Marino sono solo un’inezia rispetto alle gigantesche contiguità tra economia, amministrazioni e governi. Anzi le cenette forniscono un’occasione ghiotta alle grandi potenze oggi dominanti per eliminare un outsider, rivelatosi poco scaltro nei segreti dell’amministrazione burocratica e però estraneo ai comitati d’affare, ed estendere, anzi perfezionare ancor più, il loro controllo nel pantano affaristico. Con il Giubileo e la febbre dell’oro che lo accompagna, sacro e profano si fondono e le mani su Roma fanno parte di una strategia generale di conquista delle risorse. La sfida è di saldare l’asse Torino, Firenze, Roma per edificare un granitico sistema di potere. Dopo le concessioni, le privatizzazioni, la tasi, le decontribuzioni, la decapitazione dell’ires, il capitale può finalmente brindare nelle cene intime tra esecutivo e merchant bank: il governo centrale e periferico è tornato ad essere un comitato d’affari della borghesia.

sos

Michele Prospero (Articolo scritto per “Rassegna Sindacale”)

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