La fine della politica genera ponti

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 29 settembre 2016

Matteo Renzi è reo confesso. Lo ammette candidamente, forse spinto dal timore di perdere il referendum, visto che per lui vincere è tutto, e chi non vince è solo uno sfigato che merita l’oblio, anzi la rottamazione. Ha difatti dichiarato al Foglio che il referendum si vince a destra: “i voti della destra saranno decisivi”. Forse non si rende conto delle questioni che apre una simile dichiarazione. Ma è certo che, se il segretario del maggiore partito di centrosinistra affida alla parte politica avversa la sua chance di vittoria, allora è fritto. È come se un allenatore della Roma si affidasse, nel derby, ai gol dei giocatori laziali per vincere. Col risultato di mostrare, senza più remore, il modello di politica che il premier stesso ha in mente (trasversale, situazionista, opportunista, contendibile da chiunque si faccia avanti, come ha fatto già lui in fondo, e come si fa nelle primarie aperte), nonché il modello organizzativo che propone: un contenitore mediatico, che spazia ovunque capiti, e che ospita e può ospitare al proprio interno chiunque si affacci di lì (ancora, come nelle primarie aperte): dall’ex di lotta continua all’ex di destra, dal pensionato al minimo al finanziere d’assalto, traversando tutto lo scibile politico.

Il grave è che questo modello politico senza più confini, né parti, né cognizioni, né ideologie, ma molto molto ‘pratico’, serve solo a conquistare e mantenere il potere: di qualcuno, di qualcosa, senza più motivazioni che non siano il potere medesimo. ‘Vincere e vinceremo’ vuol dire questo: le regole del potere sono le uniche regole. Punto. Per esse siamo pronti a tutto. Il ‘contenitore’, così, diventa carrozzone di tutto un po’, e porta a spasso un ceto politico dedito quasi unicamente alla propria sopravvivenza. Anche le leggi si ‘cucinano’ per questo (vedi l’Italicum, vedi il suo combinato con la riforma costituzionale): mantenere le postazioni, garantire il comando. E il bello di tutto ciò è che la parola d’ordine che il premier ripete come un mantra è: “ridurre le poltrone”. Capite? Pur di vincere farebbe un patto con Mefistofele in persona (se non l’ha già fatto), ma poi enuncia la propria strategia costituzionale come mera ‘riduzione delle poltrone’. Altrui, ovviamente. Ma non paia paradossale: il potere per il potere passa per la cancellazione della politica, e dunque per il dimagrimento delle istituzioni rappresentative, la loro marginalizzazione, l’assottigliamento del ceto politico istituzionale, la verticalizzazione spinta (con la diretta Capo-Popolo) del potere stesso.

È ormai evidente che ragionare come se si fosse tutti dentro un ‘contenitore’ di tutto un po’, comportarsi come se tutto ciò che viene PRIMA delle opzioni politiche (ideali, valori, cultura) debba venire DOPO (e calcolato DOPO, quale variabile dipendente), immaginare il campo della politica senza più recinti ideali ma solo di comodo, a posteriori e soprattutto molto flessibili, spinge questi ‘contenitori’ organizzativi a generare ‘mostri’. Animali politici pronti a lottare per il proprio potere, a ridurre tutto a sangue e arena, a conquistare territori come a Risiko. Pronti a ‘competere’ e ad azzannarsi, anche se non si sa più perché, o almeno non se ne conoscono ragioni ‘ideali’, ma solo pratiche, concrete, di clan. E al massimo si prendono ordini o si lavora conto terzi, ma nulla più. Succede, così, che il ponte sullo stretto, sbeffeggiato durante il tour delle primarie (Renzi diceva allora che gli 8,5 miliardi destinati al ponte dovevano andare alla scuola e alla cultura), divenga poi una risorsa per accalappiare il consenso nel meridione. Ecco cosa significa che gli ideali (Adesso!) vengono DOPO. Prima c’è da fare il conto degli interessi. Poi si vedrà. In fondo, la politica ‘nuova’ è tutta in questo ‘prima e poi’. Come una specie di ribaltamento.


Francisco Goya,  il sonno della ragione genera mostri.

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