Le destre hanno capito il Rosatellum, il Pd no

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Salvatore Cannavò
Fonte: Il Fatto Quotidiano

Le destre hanno capito il Rosatellum, il Pd no

Il foglio a quadretti emerso dalla recente riunione del centrodestra con la ripartizione dei seggi nei collegi uninominali è stato molto irriso. Eppure quello schizzo dimostra che il centrodestra ha le idee molto più chiare del Pd rispetto al Rosatellum.

La legge Rosato fu votata il 26 ottobre 2017 (governo Gentiloni) con il sostegno di Pd, Alternativa Popolare, FI, Lega Nord e Ala-Scelta Civica, contrari il M5S, Articolo 1-Mdp e Sinistra Italia-Possibile. Vediamo di seguirne gli aspetti tecnici che hanno una immediata ricaduta politica.

I numeri dei seggi. Per effetto della riforma costituzionale che ha ridotto i parlamentari, il 25 settembre si eleggeranno 400 deputati, di cui 8 eletti all’estero, e 200 senatori, 4 all’estero. Il sistema è misto, proporzionale-maggioritario con due terzi dei seggi eletti in collegi plurinominali con metodo proporzionale e un terzo (147 collegi alla Camera e 74 al Senato) con il sistema uninominale (vince chi arriva per primo). Esiste uno sbarramento esplicito e uno implicito. Il primo è costituito dal 3% per le singole liste e dal 10% per le coalizioni calcolate per la Camera su scala nazionale e per il Senato su scala regionale. Come nota il costituzionalista Stefano Ceccanti, deputato Pd, “siccome il calcolo è regionale, nelle Regioni medio-piccole che hanno pochi seggi c’è un effetto disproporzionale, perché si viene a creare uno sbarramento di fatto”.

La logica di coalizione. I partiti si contendono il voto sulla propria lista ma, per poter vincere nei 221 collegi complessivi, tra Camera e Senato, devono stringere alleanze. Che sono semplicemente elettorali. A differenza della legge Calderoli, il famoso Porcellum, le coalizioni non sono obbligate a presentare un programma e un capo politico in comune.

Questa caratteristica rende abbastanza stucchevole il dibattito su chi farà il premier, perché ogni partito corre con il proprio leader. La non presentazione di un programma comune rende anche più semplice distinguersi su alcune parole d’ordine come del resto faranno a destra. L’incapacità del Pd di costruire una larga alleanza, resa agevole dalla legge elettorale, è una scelta tutta politica.

Si vince al maggioritario. Sarà qui che si gioca la partita. La destra è quotata dai sondaggi intorno al 46% che, riportato ai 245 seggi eletti proporzionalmente (tolti i 147 uninominali e gli 8 all’estero) si traduce in 112 deputati. Per arrivare alla maggioranza assoluta (200+1) ha bisogno di conquistarne 88, il 60% circa dei collegi uninominali. Il Pd, stando ai sondaggi, si priva in partenza di un 10% del M5S preferendogli il 6% di Azione di Carlo Calenda (al cui interno però c’è il 2,5% ottenuto nel 2018 da + Europa di Benedetto Della Vedova e Emma Bonino, giusto per avere chiari i numeri). Ma la partita è sui territori, caso per caso. Vista la vocazione di Calenda a ottenere voti dove li prende anche il Pd, il risultato potrebbe essere disastroso. Facciamo un calcolo teorico basato sulle Comunali di Roma del 2021. Nel primo municipio, quello del centro, Roberto Gualtieri e Calenda con il 30% a testa hanno superato agilmente il candidato della destra Enrico Michetti (23%). Ma in un municipio di periferia, il VI, Pd e Azione hanno ottenuto il 19 e il 9% insufficienti a battere il 39% della destra, mentre il M5S di Virginia Raggi ha ottenuto il 27%. Questo, in un ipotetico collegio uninominale, avrebbe permesso al Pd di vincere il seggio.

Fronti comuni. Il vincolo ferreo che lega le liste presentate nel proporzionale e i candidati nel collegio uninominale impedisce forme di desistenza. L’elettore ha a disposizione una sola scheda e la coalizione deve essere la stessa su tutto il territorio nazionale e “dove si presentano candidati plurinominali si presentano anche uninominali e viceversa”, spiega ancora Ceccanti. In una logica “frontista” si potrebbe fare solo quello che ha suggerito il costituzionalista Gaetano Azzariti sul manifesto: “Le forze minori rinuncino unilateralmente alla presentazione di loro candidati nei collegi uninominali e chiedano, senza contropartite politiche, l’apparentamento con il Pd”. Con un’unica clausola: “L’attuazione costituzionale come programma comune minimo”. Non si realizzerà, ma vale la pena riportare l’eventualità nel novero delle possibilità tecnico-politiche.

Sbarramenti. Riduzione dei parlamentari e sbarramento hanno già avuto effetti sulle trattative per la composizione delle liste. Nel primo caso, il numero di chi riuscirà ad accaparrarsi il seggio è molto ridotto, con una pressione crescente su chi redigerà le liste.

Poi c’è l’effetto sbarramento. Più partiti coalizzati tra loro devono superare il 10% mentre la singola lista deve superare “solo” il 3%. È una delle ragioni che vede timorosi sia il M5S sia Sinistra italiana di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli di Europa Verde a stipulare un accordo. C’è poi “l’invito” alla proliferazione delle piccole liste. Quelle, infatti, che non raggiungono la soglia di sbarramento ma superano l’1% vedono i loro voti riversarsi sulle altre liste della coalizione in modo proporzionale. Questo sistema consente anche a una lista infinitesimale, come quella a cui lavora Luigi Di Maio, di chiedere un collegio “sicuro” all’uninominale in cambio dei voti che altrimenti andrebbero dispersi.

La prima volta. Per la prima volta votano per l’elezione di entrambe le Camere i cittadini che hanno la maggiore età e quindi Camera e Senato avranno la stessa base elettorale con effetti probabili sulla campagna elettorale. La legge impone anche di garantire la parità di genere con l’ordine alternato nelle liste del proporzionale e, per quanto riguarda i capilista e i candidati uninominali, con una quota per ciascun genere non superiore al 60%.

Raccolta firme. Servono 1500 firme per presentare una lista in ogni collegio (occorre presentarsi in almeno due terzi dei collegi su scala nazionale), ma vengono esonerati non solo i gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare dall’inizio della legislatura, ma anche quelli costituitisi al 31 dicembre 2021 o che si siano presentati alle Politiche o alle Europee ottenendo almeno un seggio, oppure concorrendo con almeno l’1% a una coalizione. Sembra una norma ritagliata su Noi con l’Italia di Maurizio Lupi che in coalizione con la destra ottenne nel 2018 l’1,30% e quindi è esonerato, mentre Potere al Popolo, con l’1,13% in solitaria e che oggi fa parte dell’Unione popolare di Luigi de Magistris, dovrà raccoglierle. Ma queste, si sa, sono le leggi dei Migliori.

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.