Vita e morte – un archetipo ancestrale

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Pino Sansò
di Pino Sansò – 13 giugno 2018
Credo che abbia strettamente a che fare con le risorse di cui dispongono le popolazioni costrette a fuggire dalle loro regioni per cercare vita, proprio così “vita”, in Europa. Le stesse risorse che noi abbiamo sottratto loro. La riflessione ha ormai una ventina d’anni, ma nulla è cambiato nella consapevolezza scientifica e conseguentemente politica delle persone.
Energia
Per proporre questa minuscola considerazione ho riflettuto troppo a lungo nel tentativo di formulare la questione nel più convincente dei modi. Dunque la esprimo nella maniera più diretta possibile: in Italia e, suppongo, in ogni paese tecnologicamente (ed economicamente) avanzato, il costo dell’energia è veramente irrisorio. Di solito i temi che riguardano l’economia globale vengono affrontati con il sostegno di principi molto generali oppure, per renderli maggiormente divulgabili, attraverso esempi di vita quotidiana riguardanti i consumi familiari, i redditi individuali ed altre questioni statistiche: argomenti che sicuramente avvicinano alla comprensione delle disparità planetarie perché forniscono almeno dati comparativi sui quali, avendone la disponibilità d’animo, è possibile riflettere. Tuttavia, spesso, la possibilità di prendere coscienza della “dimensione” dei fenomeni economici è vanificata dalla diffusa ignoranza proprio circa le concrete unità di misura delle grandezze delle quali si va discutendo. Per fare un esempio, ogni automobilista ha una certa idea della potenza del motore della propria automobile, almeno per il confronto con altri modelli. Ma chi veramente riflette sulla consistenza della propria scuderia (i cavalli equivalenti del motore), paragonata con quella di uno straricco patrizio dell’epoca romana?
La mia affermazione circa la sorprendente economicità dell’energia nel nostro paese nasce semplicemente dalla lettura della bolletta elettrica. Penso che chiunque possa constatare, senza eccessivo sforzo matematico, che il costo medio dell’unità adottata dall’ente energetico nazionale (il kWh, che equivale a “una potenza di mille Watt impegnata per un’ora”) è di circa 0,087 €, comprese le imposte erariali. Ebbene, tale costo corrisponde, nell’unità di misura internazionale, a 0,024 € per ogni Mjoule di energia (un milione di joule: sono nozioni da scuola media inferiore, tuttavia è comprensibile che ancora significhino quasi nulla di “concreto”).
Ora, poniamo di tradurre la constatazione che un Mjoule di energia costa al consumatore domestico circa 0,024 € nel modo seguente: per fornirci l’energia che sarebbe sufficiente a sollevare dieci tonnellate di materiale per un dislivello di dieci metri, ci vengono richiesti 0,024 €, pari a 46 delle vecchie lire (anche per questo calcolo sono necessarie conoscenze tecnico-scientifiche di modestissimo livello, se non fosse che la scuola incontra difficoltà nel sottolinearne l’utilità).
Dieci tonnellate, come la massa di dieci automobili di grossa cilindrata, sollevate a dieci metri di altezza per quarantasei lire. Come dire centotrenta uomini di corporatura medio-robusta sollevati per tre piani di un edificio al costo di quarantasei lire! Per prendere in considerazione un’altra forma di energia, diversa da quella meccanica e accettando sempre una certa approssimazione, un megajoule di energia elettrica, attraverso un semplice “boiler” è in grado di innalzare di trenta gradi centigradi la temperatura di otto litri d’acqua. Ancora con quarantasei lire, dunque, un quarto dell’acqua che mediamente utilizziamo per una doccia viene portata alla temperatura ideale. (Per quanto la spesa continui a restare modesta, è possibile rendersi conto di quanto sia più oneroso “riscaldare” qualcosa – o l’opposto, cioè refrigerare – piuttosto che “muovere”, sollevare, spostare).
Personalmente sono rimasto molto sorpreso da questi esempi, anche considerando il fatto che in quel costo sono comprese svariatissime spese di produzione, trasformazione, trasporto e dispersione. Ciò che mi viene spontaneo di pensare è quanto sia opulenta la nostra cosiddetta civiltà occidentale (per inserire un elemento folcloristico, non riesco a sfuggire alla suggestione di riadattare l’unità monetaria corrente, abbandonata per una più radicata comprensione: il famoso megajoule, dunque, costa – secondo i miei calcoli medi – la bellezza di una di quelle monetine che noi chiamiamo “due centesimi di euro” più qualcosina che non raggiunge il minuscolo “un centesimo di euro”: siamo o non siamo dei gran ricconi scialacquatori?).
Il programma di scrittura mi ha appena avvertito che nell’ultimo termine ci vogliono la c e la q, è ovvio, come per l’acqua dell’etimo. Vale la pena di spendere qualche parola sull’economicità dell’acqua che noi consumiamo? certamente no: è tutto arcinoto.
Nei giorni della calura del giugno duemilatrè, la società elettrica ha dovuto ricorrere al blackout per arginare gli eccessivi consumi in tutto il Paese, dovuti anche all’uso di climatizzatori. La richiesta energetica ha rasentato i cinquanta miliardi di watt, come dire cinquanta milioni di kilowatt di potenza. In termini certo più significativi, facendo cinquanta milioni la popolazione italiana, ogni cittadino – infanti e nonni compresi – chiedeva ogni secondo (ripeto, ogni secondo di ora!) un chilojoule (kjoule), capace di sollevare dieci chilogrammi (sei bottiglie di acqua minerale) ad una quota di dieci metri da terra. Ogni secondo di tempo.
Non stiamo un po’ esagerando? anche considerando che, nel frattempo, non è l’unica forma di energia che consumiamo: bisognerebbe aggiungere la quota individuale di gas metano e quei miliardi di cavalli nei motori delle automobili (sotto forma di benzina & petrolio…). E alle spalle di chi, stiamo esagerando, se siamo capaci di pensare che il pianeta (con le sue risorse) è – oppure dovrebbe essere – di tutti?
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