Di Maio: promesse a Berlusconi, Casini, Casellati & C. 50 sfumature di Gigino

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: GIACOMO SALVINI
Fonte: Il Fatto Quotidiano

Di Maio: promesse a Berlusconi, Casini, Casellati & C. 50 sfumature di Gigino

Montecitorio, interno sera. Alle 20.20 di sabato, quando Sergio Mattarella supera la soglia di 505 voti, Luigi Di Maio sfoggia un sorriso a trentadue denti e si lascia andare a un fragoroso applauso. Intorno a lui ha una decina di parlamentari a lui vicini – i “dimaiani” –­che lo abbracciano, gli danno il cinque, lo osannano. Come dire: hai evitato il peggio. Cioè la candidata di Giuseppe Conte, Elisabetta Belloni.

Nella partita del Quirinale Di Maio non ha mai fatto asse con il capo politico del M5S. Tant’è che, sempre sabato sera, convocati i giornalisti appena fuori da Montecitorio, è Di Maio il primo gallo che canta: “Alcune leadership hanno fallito, hanno alimentato tensioni e divisioni – dice con lo sguardo serioso riferendosi a Conte – nel M5S serve aprire una riflessione politica interna”. Dietro di lui c’è un gruppetto di dimaiani, da Laura Castelli a Sergio Battelli. Non è certo la truppa di 80 o addirittura 120 parlamentari “dimaiani” che il ministro degli Esteri ha fatto sapere di controllare nel corpaccione del gruppo parlamentare a 5 Stelle. Sabato sera, però, i suoi social e quelli del M5S sono esplosi contro di lui, accusato di aver “tradito” il leader Conte, tanto che per molte ore è spopolato l’hashtag “#DiMaioOut”. Ieri, però, molti di quei commenti sulla sua pagina Facebook erano spariti.

Dall’inizio, Di Maio ha giocato una partita opposta a quella di Conte. Nelle settimane scorse ha incontrato candidati di ogni risma: Letizia Moratti, Giuliano Amato ma anche la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Mentre prendeva piede la candidatura di Silvio Berlusconi con “l’operazione scoiattolo” per raccogliere voti tra i parlamentari del gruppo Misto, era stato Fedele Confalonieri a contattarlo per capire se il leader di Forza Italia potesse contare su un pacchetto di voti anche nel M5S. Dai vertici del partito azzurro raccontano anche che il ministro degli Esteri avesse addirittura “promesso 20-30 voti per Berlusconi”. Ma Di Maio ha puntato da subito su altri cavalli. Il primo, facendo asse con Giancarlo Giorgetti, è stato Mario Draghi. Tanto che fonti vicine al ministro, alla vigilia del primo scrutinio, facevano addirittura filtrare un possibile sostegno di Grillo all’elezione del premier. Tentativo che il ministro degli Esteri ha fatto martedì scorso chiamando al telefono il fondatore per chiedergli di appoggiare pubblicamente Draghi, ricevendo però un brusco stop dal comico genovese. Venerdì mattina poi Di Maio aveva addirittura incontrato la presidente del Senato Casellati prima che quest’ultima si andasse a schiantare in aula contro 71 franchi tiratori del centrodestra. Poi, nella serata di venerdì, è arrivato il veto sul nome di Elisabetta Belloni, proposta da Salvini e Conte. Poche ore prima il ministro degli Esteri diceva di lei in Transatlantico: “Elisabetta è mia sorella, alla Farnesina abbiamo lavorato benissimo”. Ma dopo la candidatura lanciata dai leader gialloverdi, è stato proprio lui (con Lorenzo Guerini) a stopparla: “È indecoroso che sia stato buttato in pasto al dibattito pubblico un alto profilo come quello di Elisabetta Belloni senza un accordo condiviso”.

Sabato mattina, quando la candidatura di Belloni non era più sul tavolo, Il Foglio ha pizzicato Di Maio a parlare con la dem Beatrice Lorenzin in Transatlantico: “Quei due furboni (Conte e Salvini, ndr) giocavano sul fatto che io non ne sapessi niente”. Bruciata Belloni, fonti parlamentari raccontano che – oltre a Draghi – l’altra candidatura che sarebbe andata bene a Di Maio era quella di Pier Ferdinando Casini. Nella riunione di venerdì notte al ristorante Maxela di centristi e forzisti, Giovanni Toti avrebbe chiamato proprio il ministro degli Esteri e gli avrebbe strappato un “sì” su Casini. Una mossa politica con prospettive sul futuro: Casini al Quirinale sarebbe stato il garante del nuovo centro composto dall’ala governista di Forza Italia, i centristi di Toti e Brugnaro e i renziani. Ma forse anche Di Maio e i suoi seguaci, in caso di scissione dal M5S. Ipotesi non ancora scongiurata del tutto, anzi.

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