Draghi più Berlusconi, uguale Meloni

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Draghi più Berlusconi, uguale Meloni
I tratti caratteristici del governo Draghi erano almeno due: un’agenda tecnocratico-liberista, da una parte, un’adesione acritica all’alleanza atlantica e alle élite europee, dall’altra. Se fate disperdere i tanti fumi ideologico-identitari emessi dal discorso del presidente Meloni, al fondo dei suoi proponimenti restano esattamente queste due cose: una continuità ferrea col draghismo, un’adesione altrettanto secca all’atlantismo, nella sua versione più “americana”. Lasciamo stare quello che aveva detto prima, quello che ha detto adesso, le eventuali contraddizioni tra le diverse dichiarazione pre e post. Tempo perso. Quel che conta, invece, è rimarcare la continuità tra la preistoria draghiana e la storia meloniana. Una fedeltà assoluta, ma più grintosa – e nessuna rottura vera e propria, anzi.
È la dimostrazione lampante che la destra italiana, per quanto sia quella “vera”, non porta con sé alcuna discontinuità, al contrario conferma il pregresso andamento tecno-atlantista ed esibisce la propria fede liberista, anzi se ne fa orgoglioso alfiere (“Il motto di questo governo sarà ‘non disturbare chi vuole fare’ “, puro laissez faire). La destra italiana fa parte a pieno titolo del “blocco”, insomma, è pronta a collaborare e rassicura la borghesia italiana, così come d’altronde il capostipite rassicurò a sua volta agrari e industriali. I poveri, da parte loro, devono tacere, “meritano” la povertà, la subordinazione e lo sfruttamento. E meritano persino il “tu” (com’è accaduto all’On.le Sohumaoro), quello che si dà ai neri, inferiori “per civiltà” si diceva ai tempi della segregazione e dello schiavismo. Siamo ancora fermi a ricchi contro poveri, primi contro ultimi, bianchi contro neri, borghesia contro lavoratori e disoccupati, ma col piglio fermo della destra ideologica, senza la “mollezza” di chi sorseggia un aperitivo in qualche riunione di ministri e tecnici a Bruxelles. C’è la crisi, serve dunque gente più decisa.
Vedrete, il centrosinistra collaborerà proprio sulle due colonne portanti draghiane (liberismo e atlantismo) che Meloni ha ereditato e fatto proprie (sennò a Palazzo Chigi sarebbe durata due schizzi d’acqua). Continuerà a dichiararsi draghista, sosterrà la guerra in Ucraina in nome di un atlantismo militante, senza se e senza ma, da gregari, da portaborracce. Conte ha invece detto l’opposto. Ha messo il dito sulla continuità col governo Draghi e su quella, più antica, con i governi Berlusconi (11 ministri sono gli stessi). Draghi più Berlusconi uguale Meloni, insomma. Ha detto che il nuovo governo tratta la povertà come una colpa. Ha detto senza mezze parole che la continuità col precedente esecutivo è nel segno di un “neoliberismo di stampo tecnocratico”.
Ecco. È questo il nodo. È su questo che bisogna battersi, perché è solo questo il senso della presenza della Meloni a Palazzo Chigi: una specie di guardia nera del liberismo e dell’atlantismo, messa lì a garantire ordine e continuità, forzando il più possibile la democrazia rappresentativa già messa male di per sé, grazie anche alle leggi elettorali porcate. Un’escalation, il colpo di coda finale dell’atlantismo e del liberismo sulle reni della povera Italia. Se questo non fosse chiaro, è inutile persino fare un congresso. Collaborate, e non se ne parla più.
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