Eurobond o finanziamento monetario? Intervista a Massimo Amato e Gennaro Zezza

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alessandro Bonetti
Fonte: kritica Economica

Da kritica Economica

Sui tavoli delle trattative europee ci sono diverse opzioni. Abbiamo chiesto al professor Massimo Amato e al professor Gennaro Zezza un’opinione sugli eurobond e sul finanziamento monetario e sulle potenzialità di questi strumenti. Ci possono aiutare a uscire dalla crisi?

1. Qual è il problema di finanza pubblica che affronta oggi l’Italia?

Amato: Il problema di finanza pubblica dell’Italia si chiama debito pubblico. O meglio rapporto debito/PIL. Sulla storia dell’esplosione del debito pubblico italiano, che evidentemente si intreccia con la sua storia politica, rimando al lavoro di ricostruzione di Roberto Artoni.
Una cosa però è certa, al netto di una classe politico-burocratica che sarebbe riduttivo definire “inefficiente” (ci sono clientele nefande, immobilismo, e una selezione sempre più avversa del personale politico, soprattutto a partire dal 1991-1992): dagli anni 90 il debito non cresce per via di deficit primari. A differenza della Francia, che l’avanzo primario non sa nemmeno cos’è, l’Italia ne ha pressoché costantemente realizzati.
Finché i mercati finanziari hanno “funzionato”, ossia fino alla crisi dei debiti sovrani, l’Italia è riuscita a contenere la crescita del debito e anzi a ridurre il rapporto debito/PIL.
Con la crisi del 2012 la situazione si è invertita e il debito cresce per via della spesa in conto interessi, mentre gli avanzi primari, oltre a sotto-dotarla in termini di sanità e istruzione pubbliche, non hanno certo aiutato ad accelerare la crescita del PIL. Morale, visto che il rapporto debiti/PIL è un rapporto, la crescita del numeratore e la mancata crescita del denominatore hanno prodotto un disastro autoalimentantesi.

Zezza: La chiusura delle imprese e la quarantena per chiunque non sia impegnato nelle produzioni ritenute necessarie implica l’azzeramento dei redditi per molti lavoratori ed imprese, che comunque devono sostenere delle spese. In particolare, la chiusura di un punto vendita al dettaglio implica il mancato pagamento dei fornitori, e dei fornitori dei fornitori, e dei lavoratori su tutta la filiera produttiva. È evidente il rischio di bancarotta, soprattutto per le piccole imprese, che porterebbe ad un permanente indebolimento del tessuto produttivo del Paese.
Per questi motivi, il problema più urgente di finanza pubblica è quello di sostenere queste categorie di imprese, e tutti i cittadini che hanno visto azzerarsi i loro introiti, con un sostegno monetario (come sta avvenendo ad esempio negli Stati Uniti) non una tantum, ma fino al ritorno alla “normalità”. In un altro assetto istituzionale, quale quello degli Stati Uniti, del Regno Unito o del Giappone, la soluzione immediata al bisogno di iniettare liquidità nel settore privato è fornita dalla disponibilità della Banca centrale di fornire tale liquidità tramite l’acquisto diretto di titoli del debito, o la disponibilità per il Tesoro ad operare scoperti di conto corrente presso la Banca centrale.
Nell’Eurozona le regole del gioco vietano alla Banca Centrale Europea di operare in maniera analoga, e in assenza di altre soluzioni il Tesoro dovrebbe finanziarsi “sul mercato”, in un contesto in cui più manca una volontà politica di sostenere ogni Paese dell’Eurozona, maggiore è il rischio che i Paesi con debito più alto debbano compiere scelte “estreme”, maggiore è il premio al rischio richiesto dai creditori per sottoscrivere i titoli. In altre parole, si entra in un meccanismo in cui le aspettative di default dell’Italia si auto-realizzano dato il comportamento non cooperativo dei partners europei e le legittime manovre speculative dei mercati finanziari. Legittime, visto che nessuna istituzione pensa di impedirle!

2. Come si possono conciliare i bisogni dell’Italia con le posizioni dei Paesi rigoristi?

Amato: Come diceva Schelling ai suoi studenti all’inizio di un suo corso: cari miei, o allargate il vostro sguardo in modo da corrispondere alla reale dimensione del fenomeno, oppure vi tocca ridurre il fenomeno alla ristrettezza del vostro sguardo.
Se poniamo il problema di “conciliare” le posizioni è che non abbiamo capito ancora che cosa significa stare in una unione, e in che senso essa differisca da una associazione di malfattori. In quest’ultima si sta solo finché “conviene”. Nella prima si sta nella buona e nella cattiva sorte, perché si è capito che l’unione fa la forza, una forza che è superiore alla somma delle singole forze.
Quando si è disegnata l’eurozona lo si è fatto con grande miopia, e soprattutto con la convinzione dogmatica che si potesse costruire una unione sula competizione e non sulla cooperazione.

Zezza: Le posizioni dei Paesi rigoristi sono in parte ideologiche, e in questo caso dettate da una concezione del debito pubblico profondamente errata, ma che trova sostegno nella letteratura economica che ritiene (erroneamente e senza alcun supporto empirico) che il debito pubblico vada ripagato con incrementi futuri nella tassazione. Da un altro punto di vista, i Paesi rigoristi sono quelli che hanno beneficiato dall’attuale assetto istituzionale, e soprattutto dall’attuale stato dei rapporti di forza, che ha loro consentito di avere numerosi vantaggi dall’unione monetaria. In particolare, per la Germania, godendo di un tasso di cambio favorevole rispetto ai Paesi terzi, e di un costo del denaro più basso di quello dei loro partners europei. Questa contrapposizione di interessi si può conciliare solo se i Paesi rigoristi capiscono che, in caso contrario, il giocattolo può rompersi (con l’uscita dell’Italia, ad esempio). A quanto pare, in base ad un recente sondaggio l’opinione pubblica tedesca è già convinta che conviene concedere qualcosa ai partners più deboli, piuttosto che rischiare la rottura, ma questa visione non è ancora quella di chi conduce le trattative.

3. Quali sono pro e contro di introdurre gli eurobond? Quali sono gli ostacoli economico-politici nell’introdurre gli eurobond?

Amato: Gli eurobond in senso stretto presuppongono qualcosa che non c’è, ossia un Tesoro europeo che possa emettere bond garantiti dal flusso futuro di imposte europee.
Introdurre gli eurobond implicherebbe non tanto e non solo la “mutualizzazione” quanto ciò che la presuppone cioè quella compiuta cessione di sovranità nazionali in cui consiste una struttura realmente federale.
Pensare che ciò che non si è fatto fino a oggi in condizioni relativamente normali possa essere fatto oggi, mi sembra francamente troppo ottimistico. Diciamo che non è così che le cose si fanno bene.

Zezza: Se si vuol far progredire la costruzione europea è necessaria una maggiore integrazione fiscale (e anche una armonizzazione, eliminando storture come i paradisi fiscali in Olanda e Lussemburgo), e l’emissione di titoli europei – gli eurobonds – rappresentano un pezzo di questo percorso. A favore vi sono diversi elementi: gli eurobonds sarebbero considerati meno rischiosi degli attuali titoli nazionali del debito pubblico, e quindi porterebbero ad un calo degli oneri da interessi per il Tesoro, e fornirebbero una attività finanziaria priva di rischio ai mercati. Se si ritiene invece – come finora è accaduto – che il processo di integrazione possa interrompersi con l’uscita di un Paese, gli eurobonds sarebbero un ulteriore problema da risolvere, con potenziali perdite per i partners dal default di un partecipante.

4. Quali sono pro e contro di un finanziamento monetario da parte della Banca centrale europea?

Amato: La monetizzazione non è per me un tabù come non lo è per Blanchard e Pisani-Ferry e molti altri economisti mainstream. È evidente che monetizzare è un’operazione che può essere fatta entro dei limiti e in condizioni di particolare emergenza. Le condizioni di emergenza oggi ci sono, ma deve essere chiaro che la monetizzazione da sola può tamponare un’emergenza ma dall’emergenza non fa uscire.

Zezza: Un finanziamento monetario diretto da parte della BCE, privo di condizioni, renderebbe sostenibile qualunque livello di debito, pubblico o privato. Segnerebbe la fine della speculazione (e dei guadagni connessi). Sarebbe un passo importante verso una unione monetaria sostenibile.

5. Quali sono gli ostacoli economico-politici nell’introdurre un supporto diretto della Bce?

Amato: Questo è un problema ulteriore dispetto alla precedente domanda, e vale per l’eurozona, dove la BCE non solo dovrebbe essere autorizzata a monetizzare da un cambiamento del suo statuto, ma si ritroverebbe di fronte al problema di cosa monetizzare? Non c’è infatti un debito pubblico dell’eurozona, ma i debiti pubblici degli stati membri. Anche per quella forma meno “invasiva” di azione diretta della BCE che è stato il QE, la strada che si è dovuta percorrere è quella del capital key, ossia di un criterio di proporzionalità per cui l’acquisto di un debito pubblico sotto attacco spread doveva essere “compensato” dall’acquisto, in proporzione alle loro quote della BCE, dei debiti dei paesi che sotto attacco non erano. Con l’effetto di aver portato i rendimenti sui Bund in zona negativa.

Zezza: Chi è contrario sottolinea il rischio dell’azzardo morale: certi della disponibilità di liquidità, i governi potrebbero aumentare senza limiti le spese, soprattutto a fini elettorali, e si ritiene che questo porterebbe ad una elevata inflazione, e alla perdita di competitività dell’area europea.

6. In definitiva, meglio gli eurobond o il supporto diretto della Bce?

Amato: I primi, come dicevo, in senso stretto non sono possibili se non passando per una mutualizzazione e una riforma istituzionale che non vedo praticabili in tempi brevi, il supporto della BCE può essere ottenuto allentando momentaneamente i vincoli, per esempio sospendendo, come si è fatto, il criterio del capital key e consentendo alla Bce di acquistare i titoli dei paesi che ne hanno bisogno.
Ma non è pensabile di trasformare questo allentamento in una nuova regola, perché consegnerebbe il sistema all’arbitrio, per quanto “benevolo” di una istituzione tecnica e non democratica.

Zezza: Per fronteggiare l’emergenza, e cioè la carenza di liquidità per far fronte rapidamente alla crisi, non c’è dubbio che il supporto della BCE è a preferire. L’emissione di eurobonds richiede un complesso processo negoziale e istituzionale, incompatibile con l’urgenza dell’intervento.
Una volta passata la tempesta, eurobonds e intervento diretto della BCE sono due tasselli della possibile ricostruzione dell’Eurozona.

7. Esiste una terza alternativa?

Amato: Come ho scritto in un recente articolo per Economia&Politica, certo si possono pensare nuovi criteri per la BCE, per esempio quello di acquistare i debiti pubblici in modo da allinearli sul costo dei loro fondamentali, proteggendo gli stati da rischio di rifinanziamento e i risparmiatori dal rischio di liquidità.
Ma questo è il lavoro che potrebbe essere svolto da una Agenzia del Debito, di cui ho recentemente scritto in un articolo di prossima pubblicazione.
In sintesi è pensabile che si costituisca un’agenzia che emetta bond a rollover sul mercato (non perpetuities, dunque) e che con i fondi ottenuti finanzi i debiti pubblici degli stati secondo uno schema di rendita perpetua.
Il vantaggio di questa soluzione è che in affetti ci sarebbe un bond comune, a scadenza finita, offerto ai mercati, e una protezione degli stati del rischio di rifinanziamento, che all’Italia costa una bolletta di 45 miliardi all’anno.
Avremmo un bond comune che potrebbe essere emesso senza imporre agli stati nessuna mutualizzazione perché l’agenzia farebbe pagare agli stati una rata annuale, ricalibrabile, ma sempre in proporzione al loro rischio fondamentale. Come dico nel paper, l’agenzia agirebbe come un “tesoro sintetico” che emetterebbe sul mercato dei bond plain vanilla.
Che la BCE potrebbe tranquillamente comprare, perché libera dal criterio dal capital key.
Come dimostrano varie prese di posizione degli ultimi tempi, da quella di Giavazzi e Tabellini su Vox, a quelle di Fassina, alla proposta del fondo pubblico avanza dal governo spagnolo, la strada è quella di un finanziamento comune con orizzonte di ripagamento infinito.
Gli strumenti, istituzionali e logici, ci sono, e in gioco non c’è, come mi è capitato di scrivere, la presunzione di onnipotenza dei mercati, o degli stati e della banca centrale, ma la necessità di un rinnovato gioco cooperativo fra stati, mercati e banche centrali. Che sono centrali perché stanno al centro, e mediano fra i mercati (i “creditori pubblici”) e gli stati (i debitori pubblici), rendendo possibile quell’incontro fra debitori e creditori che è l’essenza di ogni economia che voglia essere realmente politica, e non antisociale.
Con le dovute cautele, tutto questo si può fare.

Zezza: Abbiamo sostenuto da tempo che l’impianto istituzionale dell’Eurozona è insostenibile, per motivi analoghi a quanto Keynes sosteneva a Bretton Woods parlando a favore di un sistema internazionale dei pagamenti che prevedesse una valuta comune (il Bancor) e valute nazionali con cambi fissi ma aggiustabili rispetto alla valuta comune. Con Amato, Fantacci e Papadimitriou abbiamo avanzato alcuni anni fa una proposta di trasformazione dell’Eurozona che andasse nella direzione suggerita da Keynes, trasformando l’Euro in una valuta comune, affiancata da valute nazionali.
Questa alternativa è forse ancora percorribile, e garantirebbe i gradi di libertà necessari a far coesistere nella stessa area monetaria Paesi – come la Germania – che hanno scelto una specializzazione produttiva che necessita di ampi mercati di sbocco, e che quindi strutturalmente tendono a creare surplus delle partite correnti, con Paesi che hanno strutture produttive differenti. Se la Germania pensa che una soluzione di sostenibilità per l’Eurozona sia quella di trasformarla in un blocco esportatore, dimentica che questo richiede la disponibilità di altri blocchi di Paesi (gli Stati Uniti?) ad accettare deficit strutturali di bilancia delle partite correnti. Abbiamo visto ripetutamente come la creazione di questi squilibri implichi, direi necessariamente, crisi finanziarie internazionali. Non è questa la via da percorrere, e un profondo ripensamento della moneta unica, e la sua trasformazione in moneta comune, potrebbe essere l’unica alternativa rimasta per ricostruire l’Europa su basi sostenibili.

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