Goffredo Bettini: “Da Conte a Calenda, il campo largo sarà sentimento di popolo”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Salvatore Cannavò
Fonte: Il Fatto Quotidiano

Goffredo Bettini: “Da Conte a Calenda, il campo largo sarà sentimento di popolo”

Schlein dice che “è cambiato il vento” dopo il voto in Sardegna. È vero?

Il voto in Sardegna è stato uno scossone. Elettoralmente e politicamente, indica che il vento sta cambiando. Senza la candidatura di Soru, Todde avrebbe vinto in modo più netto. Tuttavia, nel profondo della società c’è ancora tanto da fare. Il capitalismo finanziarizzato ha formato il costume, gli orientamenti, le scelte di vita degli Italiani. Trasformando ogni cosa in merce. C’è una lunga battaglia da svolgere per spingere in avanti il vento dei valori umani.

Come sta Meloni un anno e mezzo dopo la vittoria?

Ha fatto troppi errori: obiettivi promessi e poi mancati sull’economia e sul disagio sociale; troppa competizione interna, con Salvini che va per conto suo; troppe giravolte nel rapporto con l’Europa e sulla situazione internazionale; arroganza sul premierato e sull’autonomia differenziata. E poi: l’indecenza delle cariche a Pisa contro pacifici ragazzi. Insomma: Meloni esce ammaccata da questi mesi.

Perché Todde riesce a vincere?

Il metodo è stato giusto. L’unità non si costruisce con appelli politicisti, ma con la pazienza e la trasparenza. Occorre un confronto sulle cose da fare, alla luce del sole, in modo che i cittadini comprendano la sincerità di chi intende allearsi e governare. Il Pd e il M5S in Sardegna si sono mossi così. E Todde ha rappresentato con credibilità tutte le componenti della coalizione. Davvero brava.

Pd e 5S dimenticano spesso di aver governato insieme e di aver trovato, in uno dei momenti più bui della storia repubblicana, una grande intesa. Resta una base solida?

Franceschini e Orlando hanno richiamato il valore della formazione nel 2019 del governo Conte II. Non sono stato marginale in quel passaggio. E realisticamente ho sempre pensato che, nonostante i conflitti e l’aspra competizione dell’ultima fase, una collaborazione tra Pd e M5S è una evidente necessità. Sono stato anche dileggiato per questo. Ma non ho mai cercato il consenso, che spesso si ottiene con le giravolte. Ripeto: la convergenza però va costruita nel rispetto, con generosità e per via di una comune ricerca programmatica.

Lei è stato il primo a prospettare il campo largo. Quella prospettiva oggi sembra più vicina? E come la immagina ora?

Il campo largo non è solo un confine elettorale. È uno stato d’animo, un sentimento, un’intima sintonia attorno alle idee di progresso, di libertà, di difesa dei poveretti, di uno sviluppo improntato alla valorizzazione dell’ambiente e della radica umana delle persone, di una politica per la pace, perché, come canta Fabrizio Moro, “non esistono bombe pacifiste”.

Del M5S e di Conte si dice che è sostanzialmente rimasto un populista, al massimo “gentile”: su questo c’è un’ampia analisi di Carlo Galli qualche giorno fa su Repubblica. Che natura ha quel movimento secondo lei, ora che non ha più Grillo come leader?

L’accusa di populismo viene buona in ogni occasione. Ogni partito ha la sua porzione di populismo (il Pd è quello che pecca di meno). Il M5S è nato populista per responsabilità di una sinistra spenta nella lunga esperienza dei governi tecnici. Ma poi c’è stato l’incontro con noi. Il Pd ha imparato qualcosa. Il M5S si è trasformato in una forza di governo, con le proprie caratteristiche. Conte è a tutti gli effetti capo di un partito democratico pienamente in campo. Tante volte è stato dato per morto. Si è fatto, al contrario di me, l’errore di sottovalutarlo. Ma ha resistito e conta. Guai, però, aprire ora una competizione su chi deve guidare il campo alternativo alla destra. Non è il tempo giusto.

Un anno fa ha fatto un’apertura alla candidatura di Schlein, senza però schierarti nettamente. Qual è il giudizio sulla sua segreteria un anno dopo?

Al congresso ho proposto una piattaforma di idee, raccolte nel mio libro A sinistra. Da capo. La candidatura della Schlein l’ho avvertita vicina al mio pensiero. Ma non ho voluto appiccicare francobolli. Sarebbero stati controproducenti anche per lei. La segretaria in un anno ha spostato a sinistra l’asse politico del Pd, ha detto parole nette su questioni importanti, a partire dal salario minimo, ha portato dinamismo. Il mio giudizio è buono. C’è ancora tanto da fare sulla forma partito e sulla sua funzione culturale e ideale. C’è il presente, ma anche il futuro. Il futuro significa contrastare alla radice la progressiva “cosizzazione” del mondo, che sradica ogni libertà dello spirito.

E qual è il giudizio sul Pd? A occhi esterni sembra ancora un partito indeciso, diviso, manovriero. Dov’è la sua risorsa positiva e democratica?

Il Pd è ricchissimo di risorse umane. Una generazione di giovanissimi amministratori, volontari del bene pubblico; segretari di sezione colti, intelligenti, popolari, migliaia di donne che portano con loro le intuizioni feconde del femminismo. Lavoratrici e lavoratori che non hanno perso la speranza. Queste sono le carte del Pd, che agiscono purtroppo a macchia di leopardo.

Se ipotesi di alleanza progressista o di nuovo centrosinistra ci può essere, quali sono i temi su cui può nascere? I critici osservano che su economia, ambiente, guerra Pd e M5S sono distanti. È così?

Le distanze sono assai minori delle vicinanze. La democrazia, la lotta alle disuguaglianze, la valorizzazione della natura, la volontà per un’Europa diversa, la crescita di qualità e la pace ci possono unire. Se ognuno compie i passi necessari.

La guerra sembra essere ormai la tendenza di fondo, si pensi anche alle ipotesi prospettate da Macron. Cosa dovrebbe fare una alleanza di quel tipo?

Difesa degli aggrediti. Ma contemporaneamente pace, pace e ancora pace. Si è tardato a spingere per un compromesso giusto tra Russia e Ucraina. Ha prevalso l’entusiasmo guerresco; alla fine illusorio. Anche di fronte alla ferocia inaudita di Hamas, non è stato condannato con forza lo sterminio dei civili palestinesi. L’Europa è silente. Questo è il guaio.

Calenda ora apre sulla prospettiva di alleanze locali, ma non nazionali. Che pensa del progetto centrista, dovrebbe essere coinvolto attivamente in un’alleanza? Anche Renzi?

Ho sempre sottolineato l’importanza di una gamba moderata e innovativa, liberale e libertaria. Oggi è in corso una “guerra civile” tra Calenda e Renzi. Poco appassionante. C’è da dire che Calenda perlomeno non ha mai abbassato la pregiudiziale antifascista. Vedremo le evoluzioni di questo spazio elettorale. Contiene personalità di valore. Rutelli qualche tempo fa ha raccolto la sua squadra larga di governo di Roma. C’era entusiasmo e interesse. Si può tenere in panchina uno come lui?

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