Homecoming: valori, operai, intellettuali, politica, soggetto, partiti

per Gabriella
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 31 maggio 2019

Il male è cominciato quando è partita la stagione del disincanto. A livello culturale si affermava senza più alcun dubbio che Dio era morto e che i valori erano scomparsi. Nietzsche ri-volgarizzato, in pratica. La maledizione di questo pensatore è stata proprio la sua continua e incessante ri-volgarizzazione. Accanto a questo filone ne sorgeva quindi un altro, la convinzione che il soggetto fosse indebolito, in crisi, per alcuni persino morto. E che la Tecnica fosse l’orizzonte unico, così come il pensiero che ne sgorgava: unico anch’esso. Semplifico ovviamente quello che è stato (ed è ancora) un grandissimo e avvincente dibattito culturale, aperto, radicale, proprio come appassiona a me. Ma che ha semplificato e talvolta volgarizzato pensatori magistrali, correnti di pensiero, testi profondissimi. Tuttavia, questo dibattito, riconvertito e schematizzato in politica, voleva dire: cinismo, morte dei partiti, valore ridotto a valutato, pensiero così debole da divenire trasparente, dominio della Tecnica e crisi finale della politica in quanto trasformazione del mondo.

In un colpo solo, nel tempo, perdevamo il partito, la soggettività, i valori che guidano l’agire politico, la possibilità di trasformare il mondo invece che vederlo trasformato, a nostro discapito, dalla Tecnica (e da chi ne deteneva l’ideologia). Perdevamo tutto, in sostanza. La sinistra che viveva di questo, di un progetto partecipato di trasformazione del mondo che vedeva al centro la soggettività dei partiti, dei sindacati, di una rete di associazioni e organizzazioni vasta e ramificata, è praticamente morta o quasi. Privata del brodo di cultura dove essa si animava e prendeva corpo. Il presente è la prova provata di questa schematica analisi.

Oggi D’Alema, in un’intervista a Repubblica, dice che Bartolo è stato così votato “perché esprime valori”. Valori? Ma non ci avevano raccontato il contrario, ossia che bisognava essere vincenti, competitivi, ambiziosi, rampanti, badare al sodo, che tutto è economia, che se sei povero è perché non ‘meritavi’ di essere ricco, che le disuguaglianze nascono dall’incapacità dei poveri di avere iniziativa? E comunque se sei ultimo un motivo dovrà pur esserci? E se scegli un barcone invece di un jet intercontinentale non hai diritto nemmeno a sbarcare sulle nostre coste?

Sì, ci avevano raccontato tutte questa cazzate, e noi ci abbiamo creduto, magari imbambolati da qualche maitre a penser, dalla cultura dei salotti tv, dalla stampa mainstream, dalla controffensiva dei nostri avversari politici e culturali, dai sistemi di formazione davvero scombinati. Bartolo, dice D’Alema, raccoglie consensi perché ha raccolto i neri sul molo di Lampedusa, nel suo studio medico, nel suo cuore. Perché ha dimostrato che il valore non è un valutato, ossia qualcosa che porta guadagni o vantaggi personali, ma un atteggiamento preciso di cura e prossimità all’altro. Eccola la critica dell’ideologia, lo smascheramento, l’idea che tutto fosse finito quando invece non era finito nulla, semmai aveva assunto altre sembianze storiche e altre forme sociali. Da qui si deve ripartire, e da quanto è contenuto nell’affermazione di D’Alema.

Se oggi parliamo di élite (in quanto casta) e di popolo (in quanto massa manipolabile/catturabile mediaticamente), ciò non avviene dunque a caso. È l’effetto della nebbia gettata attorno in questi decenni, che ha condotto a comprendere nel modo peggiore quel che stava accadendo. Utilizzando, peraltro, un linguaggio che non è il nostro. Ancora D’Alema: “L’Italia è marginale [in Europa] per la rozzezza e la dequalificazione della sua classe dirigente”. Altro che élite, si chiama ‘classe dirigente’, come spiega D’Alema, si chiama classe politica, si chiamano governanti, si chiamano intellettuali: ecco i nomi da usare per capirci qualcosa, non ‘élite’.

Così scopriamo che il problema non è la presenza di una élite-casta cattiva contro il presunto popolo, ma la sua pochezza, la sua dequalificazione, che mette a repentaglio, per dire, il ruolo attivo dell’Italia in Europa. Una buona élite serve al Paese, il gioco non è quello di buttarla già dalla torre in quanto casta. E il popolo? Sempre D’Alema: “piglierei uno dei pochi capi operai della sinistra, Maurizio Landini, e gli farei fare un seminario di una settimana per spiegare come si parla agli operai, il 50 per cento dei quali ha votato Lega”. ‘Operai’, non genericamente o nebbiosamente ‘popolo’. Soggetto, non categoria amorfa.

È l’invocazione delle soggettività sociali, al posto delle passività populiste che infettano pure la sinistra. ‘Parlare e andare al popolo’ in stile populistico, diventa allora l’impegno ad apprendere la lingua dei soggetti, riaprire il dialogo, farsi capire, capire l’altro. “Elite vs Popolo” della destra, si riconverte in altre coppie: governanti-governati, dirigenti-diretti, intellettuali-soggetti sociali, classe dirigente-masse. ‘Rottamazione’ e ‘giovani contro vecchi’ ritorna a essere conflitto generazionale. Sono termini e paradigmi che appartengono alla nostra tradizione, che ci sono più familiari e che fotografano meglio lo stato dei fatti, rispetto alla nebbia diffusa da concetti-passepartout che, utilizzati ideologicamente, dicono tutto e non dicono nulla. E perciò intossicano il pensiero.

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