I commenti di Anderlini, Celeste Ingrao, Travaglio, Turci svelano molte verità sulla rielezione di Mattarella

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini, Celeste Ingrao, Marco Travaglio, Lanfranco Turci
Il dettato congiunto  che si desume dai commenti di Fausto Anderlini, Celeste Ingrao, Marco Travaglio, Lanfranco Turci svela molte verità sulla rielezione di Mattarella.
Fausto Anderlini
Fiat voluntas sua
Bastava guardarne il volto. Apparentemente grave e impassibile, ma con una piega che non riusciva a celare una intima soddisfazione. Laddove Napolitano grondava d’ira. La volontà di Mattarella è stata fatta. A sua ‘insaputa’. Per involontà sovrana di un parlamento in scadenza. Astuzia sconfinata, preveggenza inaudita, candore luciferino. L’imperturbabile iattanza della falsa modestia. Il sè incognito come maschera. Sindone di sinacria. Indecifrabile latitudine. Vero capolavoro politico. Forse lo sapeva Letta. Sicuramente lo sapevamo io e Marcella Mauthe.
Celeste Ingrao
Non sono contenta di come sono andate le cose.
Naturalmente ci sono tanti motivi per essere contenta. Continuiamo ad avere per presidente una persona rispettabile e un sincero democratico (anche se non mi è piaciuto come ha gestito alcuni delicati passaggi politici). Non sono state elette figure indegne come un Berlusconi o una Casellati (ma non è mai stato un pericolo concreto). E nemmeno personaggi oltre ogni ragionevole limite di età come Sabino Cassese. Sono contenta che Salvini non sia riuscito a fare il buono e il cattivo tempo. E che il Parlamento abbia (per ora?) stoppato quello che sembrava l’inarrestabile cursus honorum di Mario Draghi.
Ma non mi piace che – per la seconda volta di seguito – ci sia un presidente rieletto. Portando la durata del mandato a 14 anni. Una eternità, più da regime monarchico che da Repubblica. Due volte di seguito è un precedente pericoloso e costituisce una oggettiva torsione costituzionale.
Mi piace ancora meno l’ipotesi che il mandato affidato a Mattarella sia un mandato a termine. Uno o due anni per rispettare una sorta di “patto” stilato quando Draghi ha accettato l’incarico di Presidente del consiglio: tenere in caldo il posto fino a quando super Mario sarà libero da incarichi governativi e potrà sistemarsi per sette anni al Quirinale.
Ancora meno mi piace – come è stato autorevolmente affermato e non smentito – che sia stato lo stesso Draghi a convincere Mattarella ad accettare e a comunicarlo alle forze politiche quando ancora erano in corso trattative su altri nomi. Assumendosi un ruolo che certamente non gli spetta e che nulla ha a che vedere con il mandato affidatogli dal Parlamento.
Non mi piace che la sorte del nostro paese sia sempre di più affidata – dai media, dagli stessi parlamentari e temo anche da una quota sempre crescente dell’opinione pubblica – a presunti “salvatori della Patria”. Avevamo già il santino Mario Draghi. Averci aggiunto il santino di Sergio Mattarella non migliora certo il quadro. Stoppare i tentativi di trasformare la nostra Repubblica in un regime presidenziale sarà più difficile dopo questa vicenda. E temo che ancora più difficile sarà convincere gli elettori che vale la pena andare a votare.
(Che tutto il gioco sulla presidente donna non mi sia piaciuto non c’è nemmeno bisogno di dirlo perché è stata una totale schifezza)
L’editoriale dell’indigesto e  (a me) repellente Marco Travaglio
Il sabato delle salme

Se ci fosse il bicchiere, potremmo dire che è mezzo pieno, perché ci siamo risparmiati tutti i peggiori al Quirinale. Ma non è rimasto più nulla, neppure il bicchiere. Non è la “sconfitta della politica” (come cianciano i presunti nemici dell’“antipolitica”), perché alcuni politici hanno provato fino all’ultimo a darci una degna presidente della Repubblica. È la sconfitta degli italiani per mano degli altri politici che han fatto di tutto per impedirlo e, non avendo la forza di realizzare le loro cattive intenzioni, si contentano di bruciare le poche buone e buttare la palla in tribuna imbalsamando il Mattarella bis. Che ora tutti i lanciatori di cappelli spacciano per un proprio successo personale: peccato che non lo volesse nessuno (neppure l’interessato), tranne i gruppi parlamentari 5Stelle (per salvare le poltrone) e il pd Orfini.

Mattarella (bis). Aveva ripetuto in tutte le salse di ritenere la rielezione una sgrammaticatura istituzionale, e lo è (per giunta con un tecnico al governo e un politico nell’unico posto dove non dovrebbe stare: la Consulta). Più sgrammaticato del bis ci sarebbe solo una presidenza a tempo in stile Napolitano per scaldare la poltrona a Draghi: speriamo che almeno quella ce la risparmi.

Draghi. Forte (si fa per dire) dell’appoggio del potere finanziario-editoriale e dei suoi camerieri Letta sr. e jr., Di Maio, Giorgetti&C. (più Salvini, ma solo nei giorni pari), il premier ha provato con ogni mezzo a farsi incoronare presidente di una Repubblica presidenziale, travolgendo regole, prassi e buona creanza, a costo di spappolare la sua maggioranza e i relativi partiti e di esporre il governo e l’Italia alla tempesta. Ma non ce l’ha fatta: i primi sconfitti sono lui e i suoi trombettieri. Se la Casellati non avesse fatto peggio, la sua sarebbe la carica istituzionale più delegittimata. La ubris, nella tragedia greca e nella commedia politica, è un peccato mortale.

Conte. Oltre a B., non voleva Draghi né gli invotabili Amato, Casini, Cartabia, Casellati, Cassese&C.: e li ha sventati, dando sponda al no di Salvini sul premier (nei giorni dispari). Come piano B, non gli dispiaceva il Mattarella bis invocato a gran voce dai gruppi M5S: e l’ha avuto. Il suo piano A erano tre nomi di livello e non di parte: Riccardi, Belloni e Severino. Ma giocava con due handicap: non poter votare nessuno dei candidati altrui e dover trattare col coltello di Di Maio conficcato nella schiena. Venerdì sera poteva fare strike dopo il vertice con Letta e Salvini, concordi sulla rosa che includeva la Belloni: l’unica candidata che non aveva veti da nessuno, anzi godeva da giorni dei consensi di tutto il centrosinistra e della Meloni, cui si era aggrappato in corsa pure Salvini dopo lo sfracello Casellati.

Un compromesso “alto” e innovativo, gradito anche a Draghi ormai rassegnato a restare premier. Poi non la “crisi della politica”, ma alcuni politici con nome e cognome – Letta, Di Maio, Tajani e Renzi – l’hanno sabotata e affossata per puri interessi di bottega. Gli elettori se ne ricorderanno, si spera.

Salvini. Da quando qualcuno gli ha parlato del kingmaker senza spiegargli cosa sia, è rientrato in modalità Papeete senza mai azzeccarne una. Ha incenerito una dozzina di candidati, fino al capolavoro Casellati. Poi, per coprirne le tracce, ha avuto un lampo di lucidità sulla Belloni. Ma è stato un attimo. Ieri ha detto che il Mattarella bis è il suo trionfo: come no.

Letta jr. C’è chi aveva diversi candidati, chi molti, chi troppi: lui non ne aveva nessuno. Anzi uno – Draghi – ma non poteva dirlo per non sfasciare il Pd e il centrosinistra. Ha chiesto un presidente condiviso tra i due poli, ha dato tre volte il via libera alla Belloni (“scelta onorevole”) finché non s’è concretizzata e lì, quando l’hanno condivisa i due leader del centrodestra e quello del primo partito, l’ha bocciata perché lui voleva Draghi e Renzi, i renziani Pd e B. volevano Casini. Con i mirabili risultati di spaccare la maggioranza e il centrosinistra, apparire un po’ meno responsabile di Salvini e far incazzare Mattarella. Ora dovrà spiegare agli eventuali elettori perché, grazie a lui, l’Italia non ha la sua prima presidente della Repubblica, ma lo stesso di prima.

Meloni. Ha lasciato che Salvini girasse a vuoto fino a rintronarsi e schiantarsi, poi l’ha portato dove voleva lei: sulla Belloni. E s’è pure concessa il lusso di dare del sessista a Letta e di distinguersi dagli altri non votando Mattarella. Con B. al San Raffaele e Salvini al Papeete, si conferma l’unica testa pensante del fu centrodestra.

Renzi. Esistendo ormai solo su tv e giornali, fino a un anno fa era il perfetto Demolition Man: infatti distrusse tre governi (tra cui il suo), il Pd, Iv e se stesso. Ora non riesce più neppure a demolire: la Belloni l’ha affossata il Pd. Ha sponsorizzato fino all’ultimo Casini (che non meritava, poveretto) escludendo il Mattarella bis, e ora finge di averlo voluto lui. Non fiori, ma opere di bene.

Di Maio. È il Renzi dei 5Stelle. Beniamino dei giornaloni (quelli che gli davano del bibitaro), ma non più degli elettori (vedi insulti sui suoi social), ha giocato fin da subito per Draghi (che un anno fa voleva “uccidere in Parlamento”), contribuendo a mandarlo al massacro, contro il suo leader e il suo movimento. Ha incontrato, sentito e promesso voti a tutti, anche a quelli che quattro anni fa non voleva vedere neanche in cartolina. Ha definito “mia sorella” la Belloni, poi ha fatto di tutto per impallinarla. Per molto meno, se fosse ancora il capo dei 5Stelle, si sarebbe già espulso.

di Lanfranco Turci
CHI VINCE E CHI PERDE
Chi vince non si sa.
Forse Draghi nel senso che ha evitato di essere umiliato e ora si prenderà qualche vendetta.
I perdenti sono invece tanti, a partire dalla ulteriore perdita di credibilità del sistema politico e purtroppo anche dell’assetto costituzionale.
Comunque i perdenti più evidenti sono Berlusconi con i suoi scoiattoli e la sua avvocata di Rovigo.
Subito dopo viene quel poveraccio di Salvini.
E poi Conte che torna ad essere l’avvocato di Volturara Appula.
E poi i tanti aspiranti king maker che hanno goduto per qualche ora della notorietà della maratona di Mentana.
Letta si salva perchè ha parlato poco. Voleva Draghi ma non è riuscito a unire su di lui neanche il suo partito.
Mattarella però, che davvero non voleva essere rieletto, potrebbe pensare di passare la mano dopo le prossime politiche a Mario Draghi nel 2023,se le cose in questo anno non precipitano nel caos.
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