Il concetto di periferia

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 28 marzo 2017

Tempo fa sui giornali rimbalzò la vicenda di via Padova a Milano. Si parlò dei disagi e dei problemi della periferia milanese. Sono andato su google map e ho verificato, nella circostanza, quanto fosse distante via Padova da Piazza del Duomo. Ho scoperto che si trattava di 7-8 chilometri circa. Una distanza alla quale, a Roma, trovi l’Auditorium, il quartiere Flaminio, il MAXXI, ossia ancora il centro elegante della Capitale. Ho pensato che la ‘periferia’ romana, in fondo, viaggia a distanze ben più siderali: Tor Bella Monaca, ad esempio, si trova a 16 chilometri circa da Piazza del Campidoglio, Borghesiana oltre 20, alcuni lembi di Roma sono ancora più distanti. Non si tratta soltanto del fatto che l’Urbe è enorme, e al suo interno contiene i territori delle 9 città italiane più grandi. Non è solo perché il Municipio VI, al cui centro si trova Tor Bella Monaca, conta oltre 400.000 abitanti (è più popolato di Bologna o Firenze, per dire). Il punto è un altro: vale ancora il termine ‘periferia’ per designare territori così distanti dalla parte più pregiata e densa della città? Gli anni luce che separano le borgate della via Casilina da Piazza San Pietro, sono ancora un trait d’union tale da presentare quelle borgate e quei territori come ‘periferia’ di un centro che, poi, è più lontano di Alpha Centauri? A che chilometraggio si perde la forza di gravità? Quando, a quale pietra miliare, viene a rompersi il legame?

Domande non peregrine per due motivi. Il primo. Vive nelle città, ormai, oltre la metà della popolazione globale. Se escludiamo alcune aree mondiali meno urbanizzate, i ‘cittadini’ sono ancora di più. Negli USA la percentuale sale addirittura all’80%. Se calcoliamo come ‘periferici’, almeno la metà di questi cittadini urbanizzati, la cifra assoluta oscilla attorno ai due miliardi di persone. Un esercito. La crescita delle megalopoli è un ulteriore segnale che indica la necessità di assumere problematicamente il fenomeno. Il secondo motivo è, diciamo così, nominalistico ma non solo. Dicevamo: si può chiamare ‘periferia’ questo mondo così distante, lontano, distaccato? Dove finisce la città, e dove comincia l’altro, la non-città? Che cos’è, quindi, la periferia? Victor Hugo, nei ‘Miserabili’, a un certo punto si lancia nella definizione del sobborgo parigino, e dice che si tratta di un ‘punto di congiunzione’ tra città e campagna. Nulla più che un ‘nesso’, un flebile legame di relazione tra due realtà invece positive, concrete. Una specie di non-luogo, a fronte di due luoghi determinati. Eccolo il vuoto sostanziale, sostituito da un legame relazionale. Ecco dove il ‘nome’ cade nel nulla, e non indica alcuna ‘consistenza’. ‘Periferia’ di cosa, ‘periferia’ di che? Il linguaggio segnala, come al solito e per primo, una ‘lacuna’. Si mostra inadeguato. Agli specialisti il compito di capire il fenomeno e di indicare altri nomi. La cosa certa, tuttavia, è che ‘periferia’ non sembra funzionare più quando i quartieri sono così lontani, diversi, quasi altri mondi. Persino antropologicamente dissimili. Per dire, l’aspettativa di vita ai Parioli per un uomo è 81 anni. A Tor Bella Monaca è 75. Un dato che fa pensare.

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