Il ‘partito’ di Repubblica e la trattativa

per Gabriella
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

Ora, che ‘Repubblica’ sia un partito, nel senso che nasca e cresca con intenzioni ben più ambiziose che raccontare i fatti ed esprimere editorialmente delle idee, è un fatto consolidato. Le vicende della formazione del governo, in questi giorni, lo confermano palesemente. I giornalisti di quella testata (e dell’intero gruppo editoriale) sono schierati come una testuggine, come veri e propri ‘militanti’ avremmo detto una volta. Polemizzare con loro, anche duramente, non vuol dire quindi attaccare la stampa perché non ti fiancheggia, e contestarne la libertà, ma sviluppare la polemica verso un particolare attore politico, per quanto anomalo esso appaia. “Anomalo” perché si tratta di un partito che picchia duro sul piano politico, ma che attende riscontri sul piano economico. Un partito-impresa, insomma. Che è un po’ come giocare su due tavoli. Tutto lecito, si intende, ma che almeno sia chiaro senza infingimenti.

Oggi Claudio Tito continua sul giornale l’opera di martellamento, un po’ come farebbe un oppositore politico qualsiasi, non come un giornalista impegnato in una analisi critica e minuziosa a tutto vantaggio del lettore. In continuità, direi, con i tempi del antiberlusconismo militante. Tutto legittimo, ripeto, e guai se non lo fosse: la libertà di stampa e di parola sono alla base della nostra democrazia. Il problema insorge quando si usano argomenti un po’ speciosi, se non forzati. Dice Tito, al termine del suo sermone, che si dovrebbe puntare a una maggioranza solida con un programma di legislatura, secondo le iniziali richieste del Quirinale, mentre ora si viaggerebbe in tutt’altra direzione, quella di una mera accozzaglia arraffa poltrone. ‘Fine legislatura’ vorrebbe dire due anni e più. Ma sono solo sei, ribatte sempre Tito, i governi che sono durati più di due anni nella storia della Repubblica. E perché così longevi? Perché si trattava di Presidenti del Consiglio di “consolidata esperienza politica”, e comunque “sostenuti da coalizioni ben più salde di questa”.

Volete sapere quali sono stato questi governi con più di due anni di vita? Eccoli: Berlusconi II, Berlusconi IV, Craxi I, Renzi, Prodi I, Moro III. E chi sarebbero i premier di provata e “consolidata esperienza politica”? Berlusconi, forse, ossia l’antipolitica per eccellenza, il miliardario imprenditore, l’uomo che ha governato con le tv commerciali, di cui Repubblica ha detto peste e corna? Oppure Renzi? L’outsider ex Sindaco di Firenze nemmeno quarantenne, alfiere dell’antipolitica di sinistra, il rottamatore anzi dei politici di “consolidata esperienza politica” (Bersani, per dire, o D’Alema)? E dove sono le coalizioni ben più salde di questa? Forse quella un po’ rabberciata al Senato che sorresse (si fa per dire) Prodi? E lasciamo stare Craxi e Moro, perché sennò dovremmo fare l’apologia della Prima Repubblica, visto che gli uomini politici di grande statura sono anche figli dei tempi, delle culture, delle leggi. E questa Seconda (o Seconda e mezzo), tanto idolatrata anche da ‘Repubblica’, ha dato la stura a una classe dirigente più attenta alla logica dei media che al Parlamento, con conseguenze davvero nefaste. In ogni caso, l’argomentazione conclusiva di Tito è così campata in aria che mette imbarazzo e riflette davvero il segno dei tempi.

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1 commento

persele 3 Settembre 2019 - 20:17

Scalfari lo ha detto che fa il tifo per il pregiudicato e De Benedetti sa che il pregiudicato non farebbe leggi contro se stesso e dunque contro De Benedetti,cane non mangia cane.

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