It Can’t Happen Here

per Eleonora Gabutti

distopìa [comp. di dis- e (u)topia * 1985] s. f. forma di società caratterizzata da aspetti negativi e indesiderabili, dovuti a fattori come lo sviluppo tecnocratico o l’eccesso del controllo statale.

Jeremy Bentham e l’Utilitarismo

Jeremy Bentham (1748 – 1832) fu un intellettuale inglese che inaugurò la filosofia utilitaristica, ponendosi però anche come sostenitore radicale dei diritti umani e degli animali, proponendo una serie di riforme socio-economiche che promuovessero un rinnovamento che avrebbe potenzialmente portato ad un miglioramento delle condizioni di vita degli individui dell’era industriale, nella quale l’Inghilterra era, ai suoi tempi, entrata a pieno regime. Insieme ai sui discepoli John Stuart Mill e Robert Owen, diffuse questa suo sviluppo dell’ideologia utilitaristica in tutta Europa, simboleggiata dal cosiddetto Panopticon, un carcere circolare rigidamente strutturato e sorvegliabile che sarà definito da Michel Foucault (autore di Sorvegliare e Punire) come paradigma degli istituti penitenziari del XIX secolo.

La maggior felicità del maggior numero di uomini è il fondamento della morale e della legislazione. Con questa massima può essere riassunto a grandi linee il pensiero di Bentham. La morale si fonderebbe, secondo gli utilitaristi di una certa corrente (esistendo all’interno dello stesso movimento una serie innumerevole di linee di pensiero non totalmente convergenti venutesi a creare durante varie epoche storiche in funzione dell’evoluzione socio-politica delle realtà in cui vissero i vari esponenti), non tanto su di una visione drasticamente dottrinale ed opinabilmente asettica, guidata da un determinato stile di vita imposto da pochi sui molti come promuovevano in molti sin dalla notte dei tempi, ma sull’idea di piacere collettivo, vale a dire che non esiste un modo giusto o sbagliato di agire che non rechi con se rispettivamente piacere o dolore a seconda dei casi. Bentham, nel riproporre quest’idea, si rifà a pensatori di epoche vicine e lontane a lui, siccome già dai tempi dei greci esisteva la formula καλὸς καὶ ἀγαθός (kalos kai agathòs, bello e buono), idea di cui, tra gli altri, Platone fu un grande estimatore ed esponente. Questa venne poi ripresa, ad esempio, da Francis Hutcheson, che nell’opera An Inquiry into the Original of Our Ideas of Beauty and Virtue, formula un vero e proprio sistema matematico per il calcolo del piacere ricavato dalle azioni “belle e buone”, formula che verrà ripresa ed estesa dallo stesso Bentham.

Sotto alcuni aspetti si può, però, notare una certa qual controversia e non linearità dell’ideologia promossa dal filosofo, non tanto dal punto di vista economico quanto giuridico. Si ritrova, infatti, ad affermare la validità dei diritti umani per la sicurezza dell’individuo ma, allo stesso tempo, denuncia il fatto che, se fossero tutti rispettati alla lettera, il governo non riuscirebbe a dare al cittadino quella sicurezza che deve garantire, definendoli quindi come non strettamente necessari al proseguimento pacifico della società. Non risulta estremamente semplice dirimere questa controversia, dal momento che Bentham dedicò estesi saggi alla libertà di parola e di commercio, ai diritti delle donne, all’abolizione della schiavitù, alla difesa e depenalizzazione dell’omosessualità, al diritto al divorzio, all’abolizione delle torture fisiche ed ad innumerevoli altri argomenti che non sembrerebbero presagire completamente la sua idea generale di controllo da parte dello Stato di ogni aspetto della vita comune per garantire una vita dignitosa a tutti. A grandi linee si potrebbero paragonare l’idea di controllo statale di Bentham con il Leviatano di Hobbes, secondo cui gli uomini, che sono lupi per gli altri uomini, devono cedere i loro diritti al Leviatano, grande mostro i cui tentacoli avvolgono il mondo, in modo da permettere una convivenza civile all’ombra della potenza assoluta del sovrano. Ovviamente, Bentham non si spinge a definire gli uomini pericolosi per gli altri uomini, ma paventa solamente il fatto che, senza controllo, non è possibile garantire il massimo del benessere per il massimo numero di individui.

Un esempio lampante della teoria del controllo sviluppata da Bentham è il Panopticon, prigione da lui stesso ideata. Il nome dice già tutto: pan (tutto) opticon (controllo). I detenuti di questa istituzione carceraria dovevano essere costantemente controllati senza che però capissero quando erano realmente sorvegliati o meno. Questo principio è stato sviluppato ed analizzato anche da altri filosofi e scrittori di epoche successive. Tra gli altri troviamo Zygmunt Bauman, Michel Foucault (il quale riconosceva in quella struttura lo Stato che non comanda più dall’alto ma che pervade da dentro la società) e George Orwell, che ricreerà il controllo attuato del Panopticon nel suo romanzo 1984 con il principio della psicopolizia orwelliana iniziato proprio in quel romanzo. Essenzialmente, Bentham definiva la sua creazione come un nuovo modo per ottenere potere mentale sulla mente, in maniera e quantità mai vista prima, dichiarando apertamente lo scopo di controllo pervasivo ed invisibile per il quale l’aveva ideata. Casi celebri di panottici sono, ad esempio, il carcere (ormai dismesso) sull’isola di Santo Stefano a Ventotene, in cui vennero rinchiusi moltissimi dissidenti durante il periodo fascista (tra cui anche Umberto Terracini e Sandro Pertini), l’ospedale psichiatrico di Siena (dismesso), l’ex-carcere Le Nuove di Torino e alcuni altri. Oggi non ne esistono praticamente più in funzione.

John Stuart Mill

John Stuart Mill (1806 – 1873) fu un filosofo britannico che aderì all’utilitarismo di Bentham, anche se si distaccò dal consequenzialismo e propose un approccio più liberale e molto più aperto a livello sociale rispetto alla linea originaria, considerando i diritti individuali come fondamentali per lo sviluppo effettivo della società. A parte i trattati sulla logica e sull’economia politica (nel quale promuoveva le teorie liberali di Adam Smith e condannava il protezionismo se non in caso di industrie appena nate, per le quali esso era necessario a far sì che crescessero abbastanza per potersi poi buttare nel mercato della concorrenza internazionale), nel trattato On Liberty descrive la sua teoria di libertà e la confronta con l’ingerenza del potere.

Nel trattato, Mill afferma che la libertà è raggiungimento individuale della felicità, senza imposizioni esterne. L’unico caso in cui il potere può effettivamente imporsi sugli individui è il momento in cui una persona prevarica e danneggia altre persone. Solo e soltanto allora si potrà intervenire limitando in qualche modo la libertà a favore del benessere collettivo. Da questo punto di vista, la teoria di Mill può essere considerata come una versione blanda del Leviatano di Hobbes, con la differenza essenziale che, per Mill, l’uomo non è intrinsecamente pericoloso e non c’è bisogno di privare tutti completamente della libertà per poter convivere. Scrive: “Supponiamo che il governo faccia davvero tutt’uno col popolo, e che non gli venga mai in mente di esercitare un potere coercitivo se non in completo accordo con quella che ritiene l’opinione del popolo. Ecco: io contesto che il popolo abbia il diritto di esercitare questa coercizione, non importa se in proprio o tramite il governo. È quel potere in sé a essere illegittimo. Il migliore dei governi non ne ha maggior titolo di quanto ne abbia il peggiore.” Mill sostiene dunque l’illegittimità dell’iniziativa ingiustificata del governo per mantenere saldo il suo potere a scapito della libertà individuale. Il limitare la possibilità di esprimere la propria opinione è sempre un crimine, poiché, non essendoci verità assolute, ed esistendo solo la relatività dell’esistenza umana, la varietà delle opinioni è una condizione assolutamente auspicabile. Mill, inoltre, incoraggia l’anticonformismo come forma di espressione della libertà individuale. In generale, lo si può considerare, come è stato fatto da grandi filosofi (ad esempio, Norberto Bobbio), il padre del Liberalsocialismo, sia per le sue idee in campo economico sia in campo sociale.

In un discorso al Parlamento inglese del 1868, Mill utilizzò per la prima volta il termine distopia, riferendosi alla politica del governo sullo sfruttamento delle terre in Irlanda. Aggiungendo al termine utopia il prefisso negativo, la connotazione negativa del termine opposto al non-luogo ideale era già stata espressa da Bentham con il termine cacotopia (anche questo significante non-utopia). Con questi termini si inaugurava la definizione di quella condizione che noi chiameremmo post-apocalittica o ritraente una situazione contraria a quella che noi definiremmo di benessere comune, e dando il via ad una stagione di analisi e teorizzazione della distopia che porterà al proliferare di opere, soprattutto a carattere narrativo, con questi stati non ideali come sfondo.

Thomas Hobbes e il Leviatano

Thomas Hobbes (1588 – 1679), fu un filosofo inglese parte di quella corrente razionalista e sensista che ebbe, tra gli altri esponenti, Locke, Bacon e, in qualche misura, anche Newton. Dobbiamo ricordare, infatti, che non sono mai esistite le categorie stagne con cui oggi incaselliamo la figura del filosofo, ma ogni intellettuale si dedicava a più ambiti di ricerca (filosofia, astronomia, astrologia, teologia, …). Hobbes, tra le tante cose, si è occupato di ragione, di conoscenza, ma soprattutto di politica, campo su cui ha avuto una notevolissima influenza.

Per Hobbes, innanzitutto, l’etica non ha un carattere assoluto. Riprendendo il discorso fatto per Bentham in precedenza, l’etica e il bene comune non appartiene a quella coscienza morale imposta dalla dottrina soprattutto cristiana ma religiosa in generale. Rientra invece in un ambito soggettivo in cui, secondo Hobbes, il bene è ciò che ognuno di noi desidera ed il male ciò che è avverso a quello che reputiamo bene. La volontà, di conseguenza, non è libera, ma guidata solo da movimenti dell’animo che tendono verso la cosa desiderata, ed è libertà solo la possibilità di portare avanti senza problemi quanto deciso. Gli uomini, quindi, sono esseri guidati solo dal loro egoismo, dal loro bisogno individuale a scapito anche degli altri individui. Per questo Hobbes usa la formula homo hominis lupo, vale a dire che ogni uomo è un predatore per gli altri uomini.

Per ovviare all’anarchia ed alla violenza più totali, Hobbes formula la teoria del Leviatano, un enorme mostro marino che, con i suoi tentacoli, attanaglia tutto il mondo e lo controlla. Gli uomini, per poter vivere in pace, devono privarsi completamente della loro libertà e consegnarla al Leviatano, despota per eccellenza, che, con il suo infinito potere, permette il mantenimento dell’ordine sociale. Il sovrano è al di sopra di tutto e di tutti, ma è soggetto alla legge di natura, unico limite al suo potere. La figura a cui Hobbes fa riferimento per il Leviatano è l’Inghilterra dei suoi tempi, grande potenza marittima e coloniale che stava estendendo i suoi domini conquistando terre via via più vaste e numerose. Essendo vissuto sotto Giacomo I Stuart, noto per essere stato particolarmente dispotico ed affidarsi al principio della discendenza per diritto divino, è quasi scontato che proprio questa figura abbia in qualche modo ispirato il filosofo. 

Questa teoria del controllo di Hobbes è facilmente correlabile con altre figure, tra tutti Bentham, come già visto, ed Orwell, il cui Grande Fratello rappresenta esattamente il modello del Leviatano moderno, che pervade le vite di tutti privando gli individui della fondamentale libertà in favore dell’ordine tanto bramato da pochi che temono di perdere il loro privilegio.

La Narrativa Distopica

Per quanto riguarda la distopia, più che una vera e propria narrazione storica abbiamo un filone letterario di narrativa che si è estesamente occupato dell’argomento. La distopia letteraria nasce già sul finire dell’Ottocento, con autori del calibro di Herbert George Wells, Robert Hugh Benson (autore de Il Padrone del Mondo) e Jack London, meglio conosciuto per romanzi come Zanna Bianca, ma che si dedicò anche alla stesura de Il Tallone di Ferro. Questi autori si rifacevano all’atmosfera di totale fiducia nel progresso scientifico espressa dal positivismo, che portava all’abbandono totale nelle mani della tecnica. Si ponevano quindi la questione di quanta fiducia potesse essere realmente posta in essa e cosa sarebbe potuto accadere se, per caso, un tiranno tecnocrate fosse giunto al governo.

Dopo le due guerre mondiali, il filone distopico ha essenzialmente intrapreso due strade: quello politico ambientato in un regime dittatoriale (di qualunque stampo), rappresentato principalmente da George Orwell  e dai suoi romanzi 1984 e La fattoria degli animali, basato essenzialmente sull’idea di controllo totale della società e delle coscienze da parte di quello che è il sistema, e meglio rappresentato dalla psicopolizia, mentre un altro filone si sviluppa a partire dall’idea di mondo post apocalittico sviluppata anche da Enrico Fermi ed il suo paradosso post apocalittico. Anche prima, però, dell’invenzione delle armi atomiche, fattore da cui nacque la maggior parte dei romanzi e dei film ambientati in un futuro disastroso, abbiamo testimonianze di testi simili, uno tra tutti La peste scarlatta di Jack London, capostipite di questo genere. 

Tutti i romanzi di questo genere sono accomunati da uno sguardo pessimista sul futuro dell’uomo, prospettando disastri, dittature e una finale estinzione degli esseri umani, che sopravviveranno solo grazie alla prevaricazione del più forte e lo sterminio dei più deboli. Un esempio di questo principio è descritto nella nota trilogia di Suzanne Collins The Hunger Games, in cui i giovani dei vari distretti venivano mandati in un’arena dove l’unica regola era uccidere o essere uccisi, e al termine delle gare solo uno poteva sopravvivere. 

H. G. Wells

Herbert George Wells (1866 – 1946) fu uno scrittore e saggista inglese annoverato, insieme a Jules Verne, tra i padri della fantascienza. Nei suoi romanzi descrive realtà future nelle quali le innovazioni tecnologiche hanno portato ad uno sviluppo non sempre positivo, arrivando però a teorizzare macchine che oggi per noi sono normali nel bene o nel male, come aerei, viaggi spaziali, carri armati, armi atomiche, televisione satellitare e molto altro. Fu un forte sostenitore del socialismo, sostenuto soprattutto nelle opere dell’ultima fase della sua vita, nei quali si espose anche a favore del pacifismo contro i disastri causati dalle guerre. I suoi romanzi più noti sono La Guerra dei Mondi, La Macchina del Tempo, L’uomo invisibile e molti altri.

La Macchina del Tempo (The Time Machine), pubblicato nel 1895, che inaugurò la narrativa basata sulla possibilità di viaggiare nel tempo. Wells, nella prima parte del romanzo, fa sviluppare all’inventore che ha viaggiato nel tempo la teoria secondo la quale, come è possibile spostarsi nello spazio, che ha tre dimensioni, così ci si può spostare nel tempo, che non è altro che una quarta dimensione. Creando la sua macchina, in quarzo e avorio, capace di viaggiare nel tempo ma non nello spazio, l’inventore riuscì a raggiungere l’anno 802.701, momento in cui l’umanità si divide in Eloj e Morlock, due specie che vivono in simbiosi. I Morlock vivono sotto terra, all’ombra, ma sono la classe dominante, che “accudisce” gli Eloj per poi cibarsene. Viaggiando ancora più avanti nel tempo, l’inventore si ritroverà in un momento in cui, dopo un’eclisse, il mondo non esisterà praticamente più. Dopo essere tronato indietro ed aver raccontato la sua storia ad un uditorio di conoscenti increduli, deciderà di ripartire, senza fare più ritorno. “Non rimane che chiederci se un giorno ritornerà. Può darsi che si sia diretto in un’età in cui gli uomini sono ancora uomini, ma gli enigmi della nostra epoca e sui suoi penosi problemi sono risolti?”. 

Solo due anni dopo l’uscita de La Macchina del Tempo, Wells pubblicò un altro romanzo, L’uomo Invisibile (The Invisible Man). Griffin, fisico, riesce ad inventare un sistema per rendersi invisibile, e, dopo alcuni tentativi di rinvertire il processo, si accorgerà dell’utilità della sua condizione, dando vita ad una tirannia del terrore destinata, però, a non durare. Celeberrima opera rielaborata in numerosissimi film, alcuni dei quali prodotti quando l’autore era ancora in vita, il quale fu soddisfatto del suo lavoro e dell’influenza che esso ebbe sulla cultura di massa, anche se non apprezzò molto l’eccessiva enfasi posta sulla follia del protagonista. 

Forse il più noto romanzo di Wells, La Guerra dei Mondi (The War of the Worlds), può essere brevemente riassunto come la lotta tra extraterrestri e terresti per il controllo del pianeta Terra. Pubblicato nel 1898, divenne celebre per una lettura radiofonica del 1938 di Orson Welles che, secondo una leggenda metropolitana, causò il panico per le strade di alcune città. Tanto realistica era la lettura che, a quanto pare, alcuni la presero come un annuncio radiofonico di un’invasione aliena.

Dopo questa breve carrellata dei romanzi maggiori di Wells, è d’obbligo una riflessione sull’influenza diretta che ebbero i romanzi sulle generazioni a venire, ma anche gli influssi che si imposero sulla stesura dei romanzi stessi. Innanzitutto, le creazioni fantascientifiche di Wells segnarono un punto di svolta nel genere, dando spunti anche dal taglio molto cinematografico imposto dal realismo delle sue descrizioni, ma anche per lo sviluppo delle teorie sul viaggio nel tempo e sul destino ultimo dell’umanità governata dalla tecnica. Non lo possiamo definire esattamente uno scrittore distopico, in quanto realizza non tanto una prospettiva realistica in sé del futuro quanto un’ipotesi che pare reale solo per il numero di dettagli impressi sulla pagina. Ad esempio, se dovessimo paragonare Wells e Orwell, sicuramente le distopie del secondo paiono ad un passo dall’essere attuabili, se non addirittura già messe in atto da molti regimi dittatoriali, mentre il primo si pone nei confronti del futuro in un modo che è molto più vicino, se non identico, all’approccio che ebbe Verne nei suoi romanzi. Inoltre, più che dal positivismo in sé, Wells è influenzato dalle teorie del darwinismo sociale, ben rintracciabili soprattutto ne La Machina del Tempo, per cui esistono due classi sociali, gli Eloj (che rappresenterebbero gli operai sfruttati) ed i Morlock (la borghesia industriale sfruttatrice), interdipendenti l’una dall’altra. Ma qui si può ravvisare anche la stessa dialettica Hegeliana del servo-padrone, per cui la classe che comanda si ritrova ad essere sottomessa alla classe sfruttata, ma, soprattutto, a vivere nell’ombra. 

In Wells troviamo però anche un pensiero utopico, sebbene con le sue ambiguità e prospettive di realizzabilità. Wells credeva nella possibilità e nell’auspicabilità della creazione di uno Stato Mondiale che avrebbe permesso, entro il 2000, di assicurare la pace totale. Nel saggio del 1900 Anticipations of the Reaction of Mechanical and Scientific Progress upon Human Life and Thought, prevedeva come vi sarebbe stata una nuova unità tra i paesi anglofoni, che avrebbero portato ad una repubblica mondiale che si sarebbe poi estesa su tutto il territorio mondiale, assicurando appunto la “pace finale”. Ora, l’idea di Wells, per quanto abbia uno scopo finale nobile, non pone limiti nel controllo che quest’entità deve esercitare sui cittadini per mantenere l’ordine, portando sia alla possibilità di una repubblica pacifica, ma anche alla creazione di un Leviatano hobbesiano, che controlla ogni aspetto della vita dell’individuo. L’interconnessione tra Hobbes, Orwell ed i sistemi di sorveglianza dei regimi totalitari sono tutti applicabili a quest’idea si Stato Mondiale non ben chiara e definita. Tra l’altro, lo stesso Orwell criticò l’idea di Wells nel saggio del 1941 Wells, Hitler and the World State.

George Orwell

Eric Arthur Blair (1903 – 1950), noto con lo pseudonimo George Orwell, fu uno scrittore e saggista inglese divenuto celebre grazie ai suoi romanzi distopici ed al modello di società descritto in essi. Le costruzioni fatte da Orwell nei suoi testi derivano direttamente sia dall’esperienza e dall’analisi dei fenomeni delle dittature politiche dell’epoca fra le due guerre mondiali, sia dalla sua diretta prospettiva e partecipazione come giornalista in alcune vicende che hanno segnato la prima metà del secolo scorso. Tra le sue opere più note troviamo l’allegoria politica La fattoria degli animali (Animal Farm) e 1984 (Nineteen-Eighty-Four), da cui nacque il principio di psicopolizia orwelliana. La scrittura di Orwell rende estremamente fruibile la lettura dei suoi scritti, tanto che La fattoria degli animali è sottotitolato, in alcune versioni, A Fairy Tale, una fiaba, leggibile teoricamente anche dai bambini, anche se, data la crudità di alcune scene, non è sempre consigliato.

Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Questa massima riassume, a grandi linee, il risultato di tutta la storia de La fattoria degli animali. Allegoria del comunismo di stampo sovietico pubblicata nel 1945, la storia comincia con il colpo di stato compiuto dagli animali contro gli umani (la Rivoluzione russa), e l’instaurarsi di una dittatura degli animali presso i quali tutto è condiviso e vigono dieci comandamenti (simili ai principi della dottrina non tanto marxista quanto alla sua declinazione leninista). Dopo poco tempo, però, i maiali prenderanno il potere in via definitiva, sottomettendo crudelmente tutti gli altri animali, compiendo stragi, rappresaglie, combattendo gli uni contro gli altri e annullando di fatto nove comandamenti su dieci e modificando il principio di uguaglianza tra gli animali. Culmine della vicenda è l’ultima scena in cui i maiali, che ora camminano su due zampe, si vestono, bevono whiskey e giocano a poker, sfidano a carte e si alleano con i fattori. La somiglianza tra le due specie è tale, che gli altri animali non distinguono più chi è il maiale e chi l’umano.

Orthodoxy means not thinking — not needing to think. Orthodoxy is unconsciousness. Nel romanzo 1984 (Nineteen-Eighty-Four), pubblicato nel 1949, Orwell sviluppa i principi per cui diverrà noto a livello globale e ricordato ancora oggi in innumerevoli saggi, romanzi e addirittura fenomeni sociologici e tecnici. In Oceania, una delle tre grandi potenze totalitarie rimaste sulla Terra, le autorità controllano in modo oppressivo la popolazione in ogni ambito dell’esistenza comune, tanto da creare sia il Newspeak, un linguaggio essenziale e preciso per cui non esistano possibilità di interpretazione diverse da quelle imposte dal partito unico e che azzeri completamente la possibilità di pensare, e la psicopolizia, una forza paramilitare che controlla anche i pensieri dei cittadini per evitare dissidenti ed oppositori all’ordine stabilito. La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza sono gli slogan del partito, che impone la sua egemonia assoluta con ogni tipo di violenza possibile ed inimmaginabile. La cultura, la storia, la società, perfino la memoria sono soggette al controllo del partito. Su questo sfondo si stagliano le vicende di Winston, inizialmente dissidente, e di Julia, sua amata, i quali verranno sottoposti, soprattutto lui, alle pratiche di lavaggio del cervello del partito, di cui, alla fine, Winston si ritroverà ad essere sostenitore, e ad apprezzare il lavoro che esso fa per Oceania.

La critica che Orwell fa non risparmia nessun fronte, né a destra né a sinistra. Lui si definiva un socialista democratico, e combatté nelle file dei comunisti e repubblicani durante la Guerra Civile Spagnola, ma non omise di criticare profondamente l’applicazione del comunismo fatta soprattutto nell’Unione Sovietica, a cui dedica essenzialmente La fattoria degli animali, riempiendo il romanzo di allusioni storiche e culturali che creano una fitta rete di commenti lucidi sulla reale situazione del governo. Anche in 1984 vi sono riferimenti all’URSS, in particolar modo ai sistemi, condivisi con altre dittature, di controllo della cittadinanza, che si esprimerà al massimo con la creazione della STASI, una polizia segreta formata anche da molti comuni cittadini che si prestavano a spiare i proprio vicini, nella Germania Est. Il principio di controllo in generale è particolarmente rilevante se applicato sia alle dittature del passato sia alla condizione moderna. Se ci si pensa, infatti, vale in ogni caso il principio enunciato, tra gli altri, da Bentham per cui una persona compie il male solo se ha la certezza di non essere osservata, e, siccome una delle immagini più note dal romanzo di Orwell è il Big Brother, l’occhio sorveglia, è facile immaginare che il partito, conoscendo ciò che è male per il suo sostentamento, imponga un rigido codice morale da rispettare in ogni ambito costringendo i cittadini nella paura di essere osservati. Un altro concetto, il Doublethink (tradotto come Bispensiero in italiano) è frequente nella dialettica non solo delle dittature ma anche di alcune realtà politiche che ci toccano molto da vicino, per cui, nel caso sia conveniente od obbligatorio, una persona si ritrova a sostenere contemporaneamente un principio ed il suo opposto, in modo da poter cambiare velocemente opinione e dimenticare una delle due opzioni. Inoltre, per convogliare l’aggressività della massa, è stato creato il personaggio di Emmanuel Goldstein (con le caratteristiche tipiche dell’ebreo delineate dal regime nazista) contro cui si scaglia compatto tutto il popolo di Oceania.

Essenzialmente, alcuni aspetti delle società orwelliane possono essere rintracciati anche nella vita comune in una situazione di non dittatura. Ad esempio, l’idea della creazione da parte delle macchine di ogni tipo di divertimento per omologare la massa riproduce quello che oggi conosciamo come prodotto di consumo congegnato dai media e dai social apposta per noi, come anche i programmi televisivi che permettono di non pensare promuovendo uno stile di vita basato sull’ignoranza e sull’affidamento totale alla tecnica ed a qualcuno che pensi al posto nostro. Dobbiamo temere tutto questo, perché la dimenticanza e l’ignoranza sono l’arma più potente che ogni regime ha per sottometterci. Ma un fatto ancora più eclatante e recentemente denunciato da varie associazioni come Amnesty International, vale a dire l’uso che le forze di sicurezza fanno della videosorveglianza per schedare e controllare ogni cittadino. Si stima che, solo a New York, vi siano circa 15.280 videocamere di sorveglianza usate per questo scopo, facendo dell’intera città un’enorme Panopticon.

Metropolis

Prodotto e proiettato per la rima volta nel 1927, Metropolis del regista Fritz Lang è considerato il capostipite dei film di fantascienza, modello da cui trassero ispirazione tutti i maggiori produttori del genere, da Guerre Stellari a Blade Runner. Nonostante ciò, innumerevoli furono le critiche mosse contro Lang, una tra tutte quella di H. G. Wells, che definì il film semplicemente stupido. Tra i maggiori ammiratori sin dalla sua uscita abbiamo Adolf Hitler, che trovò raffigurati sullo schermo i suoi progetti di controllo del mondo.

La trama si basa essenzialmente su un concetto simile a quello che Wells delineò ne La Macchina del Tempo, ovvero una classe dominante che sfrutta gli operai per ottenere il benessere che, ovviamente, ricade solo nelle mani di quei pochi ricchi. Quando gli operai, che dovevano badare ad una macchina sotterranea che fungeva da cuore di Metropolis, decisero di ribellarsi, distrussero tutti i sotterranei, sentendosi liberati dalla causa della loro oppressione, fino a quando non si resero conto di aver causato la distruzione non solo del regime che li opprimeva, ma anche delle loro abitazioni e famiglie. Ovviamente, la vicenda è un po’ più complessa di così, comprendendo anche la storia di Maria e Freder, che assistono alle brutalità che accadono nel sottosuolo e subiscono varie peripezie, ma i fenomeni da prendere in considerazione sono essenzialmente due: la tecnocrazia distopica e l’idea di massa soggiogata.

A partire dalle rivoluzioni industriali, l’idea di tecnica e tecnocrazia è andata evolvendosi considerevolmente rispetto a come era descritta in precedenza. In questo, Metropolis rappresenta uno dei documenti visivi di come, verso la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, era visto il futuro dell’umanità. Bisogna ricordare, infatti, che Metropolis è ambientato nel 2026, un anno molto vicino a noi, ma che, per fortuna, rispecchia solo parzialmente l’orrore che vediamo nella pellicola. Anche la massa sottomessa al potere di pochi è già stata analizzata a fondo. In questo caso, però, i Morlock di Metropolis non vivono sotto terra, bensì in altissimi grattacieli, mentre gli Eloj si trovano ad essere sfruttati nelle viscere della città. Ritorna, anche in questo caso, l’idea del rapporto servo-padrone, filo conduttore di tutto il discorso tecnocratico e distopico a partire dalla seconda metà dell’Ottocento sino ad oggi, con particolare attenzione, però, al rapporto di sfruttamento e bene comune, con il quale, alla fine, gli operai dovranno fare i conti. Infatti, la loro protesta non ha portato solo alla caduta della classe dirigente, ma anche alla loro rovina. Concetto che, a suo modo, ha influenzato le teorie del controllo hitleriane, per cui il popolo che si ribella agli uomini forti non fa del male solo ad essi ma anche a sé stesso. L’ambientazione in un futuro post-apocalittico sarà poi ripresa in tutto il suo squallido splendore da Blade Runner e dal romanzo di Philip K. Dick (Do Androids Dream of Electric Sheep) da cui prende ispirazione il film.

Le Vite degli Altri e la Germania Est

Il film del 2006 Le vite degli altri (Das Leben der Anderen), vincitore del premio Oscar come miglior film straniero, racconta la storia di uno scrittore, Georg, dissidente e del suo vicino di casa spia ai tempi della Germania Est. Quando l’autore decide di ribellarsi al regime in cui vive scrivendo, su di una macchina importata illegalmente dall’Ovest, un saggio anonimo sull’alto numero di suicidi nella DDR. Ma la Stasi, la polizia segreta del governo, ha già messo in atto un piano per spiarlo, riempiendo casa sua di microspie e dando l’ordine a Gerd, suo vicino di casa, di spiarlo. Se, inizialmente, allettato dalla proposta di una promozione, compie a dovere ciò che gli era stato assegnato, ad un certo punto si rende conto di non essere più in grado di determinare il perché di quello che stava facendo. Il personaggio di Christa, amante di Georg, inoltre, è un punto di svolta nella vicenda, dal momento che, quando viene interrogata, non riesce, sotto minaccia, a tacere tutto quello che la Stasi voleva sapere. Intanto, però, Gerd ha fatto di tutto per difenderli, mutando la vera intenzione dell’opera da una critica al regime ad un elogio di Lenin, senza però poter risparmiare, alla fine, la morte di Christa. Anni dopo, quando verranno desegretati gli archivi della DDR, Georg andrà in cerca di colui che lo aveva spiato e salvato, a cui dedicherà il suo libro Sonata per gli uomini buoni.

Quello che, per certi versi, può sembrare solo il riassunto di una pellicola distopica in stile orwelliano è invece una testimonianza di quello che veramente accadeva nella Germania est e, in generale, nei regimi dittatoriali di ieri e di oggi, nei quali in nessun angolo nemmeno delle proprie abitazioni è possibile sentirsi al sicuro, dove ovunque il governo è presente, con orecchie ed occhi in ogni dove. La cosa più impressionante di questa situazione, oltre al fatto che sono stati milioni i casi di comuni cittadini denunciati da altri comuni cittadini per restare fedeli ad un’idea di governo basata su di una concezione impersonale di libertà, che comprendeva anche una possibilità di cedere la propria vita nelle mani di un bene comune. Il fenomeno del pettegolezzo nel vicinato diventava una vera e propria arma nelle mani dei potenti, per cui non ci si poteva fidare più di nessuno, nemmeno delle persone che si pensava di conoscere. Un esempio narrativo rilevante è il romanzo Il silenzio di Veronika di Maria Pia de Conto, che racconta di come non fosse possibile relazionarsi in modo naturale con gli individui che si trovavano intorno alle varie famiglie ed ai vari individui, poiché anche il più apparentemente innocuo tra gli inquilini poteva trasformarsi in una minaccia per un intero palazzo. 

Questo fenomeno è facilmente trascrivibile sia alla psicopolizia orwelliana, sia al Panopticon di Bentham ed alla condizione di osservazione costante cui siamo sottoposti anche noi cittadini delle libere Nazioni moderne, poiché, in fondo, sapere di essere osservati, secondo molti, è un ottimo deterrente a quelli che sono i mali secondo un determinato principio sociale. Qui bisogna però aprire una parentesi: non tutte le ribellioni allo status quo sono accettabili, poiché se in un Paese democratico, che concede o dovrebbe concedere la libertà di espressione a tutti, alcuni sostenitori di correnti estremiste che vorrebbero bloccare questa libertà si sentono oppressi dal bavaglio del politically correct decidono di armarsi ed organizzarsi in segreto per poi perpetrare violenze contro le minoranze tendenzialmente discriminate ma che loro considerano come appartenenti ad una dittatura di non si sa bene quale genere, quello è il limite oltre il quale anche il più strenuo sostenitore della libertà di espressione deve buttare le armi. Esprimersi ha due confini, cioè quello che si trova prima e dopo di noi. Se uno decidesse di aggredire una persona solo perché esiste, a quel punto condannarlo non è essere dalla parte delle polizie segrete, ma semplicemente riconoscere in quel gesto un germe di quelle dittature che si sentono oppresse finché non possono opprimere gli altri.

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