di Alfredo Morganti – 27 marzo 2018
Ma siete sicuri che il ‘Rosatellum’ sia un assoluto disastro? Certo, è l’ennesima legge elettorale ad personam, scritta avendo in mente l’idea di vincere o, in mancanza di meglio, quella di non far vincere l’avversario. Ma ha di fatto introdotto il proporzionale, e dunque ha in parte scardinato tanto celodurismo da campagna elettorale, quell’ ‘O Roma o morte’, quel ‘con noi o contro di noi’, quel ‘no all’inciucio’ riecheggianti in questi mesi. Quelli che gridavano all’inciucio oggi devono fare i conti con il problema dei numeri in Parlamento e con quello delle alleanze politico-parlamentari. Gli elettori, educati all’idea che per fare politica e governare si debba per forza incamerare una maggioranza schiacciante alle camere, sembrano spaesati dinanzi all’incertezza dell’ora e alla necessità, invece, di fare i conti con la realtà politico-istituzionale uscita dalle urne. È come se, dopo la doccia calda delle grida elettorali, ci si trovi adesso sotto una salutare doccia fredda.
Un po’ di proporzionale fa bene, diciamolo, reintroduce volenti o nolenti la politica laddove c’erano solo spot, tweet e smargiassate di qualche outsider. Fateci caso: ‘Matteo’, ‘Silvio’, ‘Paolo’, ‘Beppe’ sono già ridiventati Renzi, Salvini, Berlusconi, Gentiloni, Grillo. Come cambiano le cose, eh? Prima li chiamavamo per nome, come se fossero i vicini di casa o i compagni di merenda. Oggi la politica si riprende tutto, e li ripresenta per quel che sono: uomini politici e di governo, classe dirigente. Un bel bagno di proporzionale ristabilisce gerarchie, ritraccia confini, spinge alla diplomazia, fa rinsavire anche i media. Obbliga i giornalisti politici a fare il loro mestiere, non le cronache sportive. La comunicazione-politica ridiventa politica, alle chiacchiere da bar si sostituisce il discorso pubblico, alle spacconate l’attenzione alle posizioni altrui. Quei 2/3 di proporzionale sono una picconata alla Seconda Repubblica e alla sua diabolicità, riaprono spazi laddove c’erano solo il ‘vincente’ e il ‘perdente’. È tempo di intelligenti, non di furbi.
Forse è vero che al fondo di tutto c’è il maggioritario, l’idea di togliere sovranità ai partiti (e ucciderli) con le coalizioni, la pretesa di comprimere tutto il discorso politico dentro una contesa uno-contro-uno. Il maggioritario, il fango sul Parlamento, la politica ridotta a comunicazione-politica e a metafora calcistica hanno ingenerato un generale impoverimento del dibattito, un generale abbassamento della qualità della classe politica, una tremenda penuria di dirigenti veri. Il proporzionale riabituerà anche l’elettore a pensare la mediazione, l’alleanza e l’accordo come un’opportunità, non come la zavorra che raccontano. Gli attuali leader dovranno sottoporsi a prove durissime per restare a galla. Tenteranno il più presto possibile di reintrodurre il maggioritario in qualunque forma possibile (uninominale, doppio turno, premio), purché torni a svuotare di nuovo il Parlamento.
La sinistra democratica, che ancora non ha capito che la sua forza e la sua rinascita dipendono dall’esistenza e dalla efficacia di una moderna democrazia rappresentativa, deve impedire che si torni a un regime elettorale coalizionale, deve impedire i forzosi spartiacque ‘elettoralistici’, i contenitori neutri, deve lavorare sul conflitto regolato, sulla rappresentanza, sulla mediazione che solo i partiti possono offrire e sulla partecipazione ‘organizzata’ e non astrattamente movimentistica. Non vuol dire tornare indietro, ma andare avanti. Solo a dei pazzi poteva venire in mente l’idea di trasformare la politica in un ‘si-no’, in un ‘dentro-fuori’, in una partita di calcio. I nostri guai sono cominciati, dal punto di vista dei contenuti, nel non aver saputo rappresentare settori sempre più ampi, più popolari, più colpiti dalla crisi. Ma, dal punto di vista formale, dall’aver distrutto l’idea di rappresentanza, di proporzionalità, di forza politica, trasformando il Parlamento in un guscio vuoto, in una camera di risonanza. Si puntava a ‘vincere’, ma ci si condannava a ‘perdere’. Tutta qui la morale. Ritorniamo a fare politica, ritorniamo ad ‘agire’ non a ‘fare’. Secondo me è la strada giusta.