di Alfredo Morganti
I momenti di crisi debbono essere anche i momenti della riflessione. C’è un’epidemia in corso, che ha lambito anche l’Italia. La sua trasmissione è legata ai movimenti delle persone, che in tempi di globalizzazione sono intensissimi e imprevedibili. Sì è detto per mesi che erano i poveri a portare le malattie, più precisamente i neri e i disgraziati che scendevano dai barconi, almeno quando ci riuscivano, quando non morivano in mare. Si è anche detto che i cinesi, come etnia!, andavano isolati, perché erano loro gli untori. Poi scopri che sono gli aerei, sono i bianchi, sono i benestanti che traversano il mondo a portare i virus. Scopri che l’epidemia è figlia della globalizzazione dei ricchi, non della migrazione dei poveri. E scopri che il primo focolaio e nel lombardo-veneto, nell’Italia che viaggia, produce ed è cosmopolita. Altro che i barconi.
Non basta. Sul fronte della malattia e delle cure ci sono gli ospedali pubblici a combattere, quelli pagati dalle tasse di chi le paga, non da quelle di chi le elude o le evade, perché mica è fesso a pagarle. E negli ospedali pubblici ci sono operatori sanitari malpagati, che rischiano di proprio, coraggiosamente, perché quello è il loro lavoro. Come al solito gli investimenti toccano al pubblico, il rischio ai cosiddetti ‘fannulloni’ e i soldi in questi casi sono sempre i nostri, mai i loro, che semmai passeranno all’incasso sul fronte commerciale quando si tratterà di distribuire il vaccino e prima ancora la terapia. Il mitico privato, quello cosmopolita che schizza da una parte all’altra del mondo e fa affari qui e là, quando c’è da battersi per il bene pubblico si ritira nei villoni e attende l’attimo propizio per calare sul mercato. Storia vecchia, direte. Certo, vecchissima, mi chiedo solo quando la storia cambierà.