Il Partito della Nazione è un concetto, o forse una loggia

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 31 maggio 2016

Oggi Folli su ‘Repubblica’ definisce un superficiale chi crede che il gruppo di Verdini voglia entrare nel ‘partito della nazione’. In realtà, secondo il commentatore, vuol solo costituire una testa di ponte ‘centrista’ e condizionare il PD. Ora io non so Folli cosa intenda per ‘partito della nazione’, se ha in mente le tessere, il congresso, le sezioni e le eventuali Feste dell’Unità Nazionale e/o Nazione Unita. Be’, nulla di tutto questo accadrà a breve. Perché il Partito della Nazione è un concetto, non una struttura materiale – un’idea non un’organizzazione di militanti. Un concetto i cui elementi costitutivi, le cui categorie di base sono: la collocazione trasversale e comunque imperniata sul centro topografico del sistema; una certa agilità istituzionale; l’obiettivo di ‘riformare’ (diciamo così) il Paese; la guerriglia urbana piuttosto che la guerra guerreggiata; la verticalizzazione del potere piuttosto che l’allargamento delle sue basi; la trasformazione del sistema istituzionale in una piramide sempre più a punta, ancorché ristretta alla base; una relazione molto disincantata con l’etica e la giustizia; una dose quanto basta di antipoliticismo; l’idea che i confini, le parti, le trincee, le determinazioni, le distinzioni non abbiano più senso a parte una sola, quella tra ‘comunisti’ (qualunque cosa si intenda con questa parola) e anticomunisti; la personalizzazione spinta del comando e delle funzioni; la trasformazione dei grandi miti della sinistra in simboli vuoti di contenuto; un regime politico ‘pattizio’ (nel senso del Patto del Nazareno), e dunque discreto sino alla segretezza più sfacciata, da stanzino della fotocopiatrice piuttosto che da grandi (e libere!) assemblee.

In questo Partito della Nazione Verdini ci sguazza, è casa sua. La superficialità, per tornare a Folli, è invece nel ritenere che un giorno si faranno tessere e sezioni ‘nazionaliste’. Ma quando mai. Il PDN non avrà una data di nascita, né congressi da tenere, né militanti e né popolo. Ma sarà una specie di loggia, con tanto di riti e compassi, e nulla di chiaro ed evidente. Sarà (è) l’antipolitica vera, non quella che si schiera in campo aperto dietro i grillini, ma quella che si nasconde nei Palazzi, sottilmente, come una specie di antimateria che cova nelle istituzioni, le abbranca e ne fa polpette a colpi di riforme, plebisciti e referendum. Una cosa che non ha nulla a che fare coi regimi liberali, ma che interpreta con molta ‘liberalità’ appunto il concetto di democrazia, e occupa le istituzioni con lo scopo principale di annichilirle: cos’altro è il premio maggioritario se non il modo più semplice, la via più breve per rendere il Parlamento una specie di votificio condizionato dagli impulsi provenienti dal Palazzo? È come una specie di blob, insomma, che si sta prendendo tutto, italiani compresi. Che non ‘rappresenta’ più nulla di concreto (se non coacervi di interessi) e che punta invece a creare un’unica colonna centrale, un unico pilastro esecutivo attorno a cui le istituzioni rappresentative non sono nulla, al massimo un fregio simbolico, un dopolavoro, una caserma di militi del governo. Ricordo la ‘democrazia di massa’ di Pietro Ingrao (pur ‘gettato’ sconsideratamente nel calderone della polemica politica referendaria da taluni sconsiderati) e la complessità di quella articolazione di istituzioni e popolo, rappresentanza politica e base sociale, al cui confronto il ‘disegno’ di questi nostri ultimi teorici e costituzionalisti da operetta non è nemmeno uno schizzo di colore caduto casualmente dalla boccetta. La fase è questa, ed è quella che è. Ci vuole pazienza, ci vuole un testardo ‘posizionamento’, ma perché finisca ci vorrebbe anche movimento, iniziativa autonoma, nonché il coraggio di mettersi in gioco. Non meno ma più sinistra. Teste critiche, non pesci pilota. Chiedo troppo? Ditemi voi.

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