Sant’Anna di Stazzema: l’inferno nella storia

per stefano01

di Stefano Casarino  29 maggio 2016

SANT’ANNA DI STAZZEMA, L’INFERNO NELLA STORIA

“Sant’Anna non aveva fatto niente: è stato un crimine contro l’umanità”: le parole di Enrico Pieri, classe 1934, dieci anni al tempo dell’eccidio, uno dei pochi sopravvissuti, riecheggiano nella nostra mente. Lo fissiamo attoniti, con gli occhi lucidi, noi, una trentina di monregalesi e carrucesi, tra i quali un bel po’ di giovani, perlopiù studenti liceali.

Centinaia di vittime, impossibile stabilire il numero preciso, 560, forse di più: donne, vecchi, bambini (più di 130: di venti giorni, un anno, due anni, tre anni…, un’assurda strage di infanti).

Era stata definita “zona bianca”, cioè località per raccogliere gli sfollati provenienti dalle città esposte ai bombardamenti e come tale avrebbe dovuto essere al riparo da azioni belliche: in poche ore, nella mattina del 12 agosto 1944 divenne rossa del sangue di persone inermi, colte di sorpresa e macellate come bestie (in qualche caso, addirittura assieme alle bestie), nelle case, nelle stalle, nella chiesa e davanti alla chiesa.

Dobbiamo all’Onlus “Colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo di Mondovì”, coordinata da Adriano Cardone e con la collaborazione della sezione “Felice Cenacchio” dell’ANPI di Carrù e al generoso contributo della Banca Alpi Marittime di Carrù la possibilità di questo dolente pellegrinaggio, dai nostri tranquilli borghi di questo indolente 2016 al paesino a 660 m s.l.m., vicino alle Alpi Apuane nella provincia di Lucca, che oggi conta solo una ventina di residenti e ospita, oltre al Parco Nazionale della Pace, il monumento-ossario coi resti di quelle centinaia di morti di quell’infernale 1944.

In una giornata che non ha proprio nulla di primaverile, ci inerpichiamo in pullman sull’impervia, strettissima strada che porta su: piogge a scrosci intermittenti e nuvole dense ci accompagnano.

Un posto ideale per l’alpeggio, remoto dalla costa della Versilia, di notevole bellezza naturale: impossibile arrivarci per caso, nel 1944 furono dei fascisti del posto a fare da guida ai tre reparti di SS che salivano, mentre un quarto reparto chiudeva le vie di fuga a valle sopra Valdicastello.

Arrivati, ci immergiamo nell’orrore della storia, voluto e creato dall’uomo.

Prima percorriamo la Via Crucis che conduce all’ossario, fiancheggiata da formelle di bronzo che raccordano il Calvario di Cristo a quello dei “poveri cristi” di quest’eccidio.

Poi deponiamo un mesto omaggio floreale ai piedi della scultura di Vincenzo Gasperetti: il corpo di una donna disteso a terra che ancora stringe a sé un bambino ch’è poco più di un neonato, immagine che non ha bisogno di didascalie.

Poi ci fermiamo a leggere sulla grande lapide i nomi dei caduti che è stato possibile identificare: cognomi ripetuti tante volte, intere famiglie…ma c’è anche la dizione che ricorda che ce ne furono di più, molti non sono stati identificati, i cadaveri furono dati alle fiamme. Nel filmato che vedremo dopo, qualche superstite ricorda con terrore l’odore di carne bruciata che si sentiva ovunque, la vista dei cadaveri ricoperti di insetti…

Poi le informazioni indispensabili di una giovane, competente ed appassionata guida: una lezione di storia che dovrebbe essere ascoltata da chi ancora oggi crede che in fondo la guerra abbia un suo senso, che si possa anche prendere in considerazione come opzione per la soluzione dei problemi internazionali.

Le truppe della Wehrmacht responsabili di questa strage erano composte in prevalenza da giovani completamente succubi della propaganda nazista, con buona probabilità le stesse responsabili della strage di Marzabotto (29 settembre dello stesso anno): il fanatismo – oggi, ieri, sempre, politico o religioso che sia – trasforma ragazzi di ogni popolo e di ogni cultura in demoni.

Poi, soprattutto, la testimonianza dell’ottantaduenne Enrico Pieri: che si può dire di uno che ti racconta con commossa precisione un fatto storico che è uno dei peggiori incubi che si possano immaginare? Un bambino di dieci anni dà retta ad un’amichetta poco più grande di lui e si salva per caso in un sottoscala e vede coi suoi occhi tutta la sua famiglia sterminata dalle raffiche di mitra: i genitori, i nonni, gli zii, i fratellini…

Alla notizia dell’arrivo dei tedeschi, gli uomini erano fuggiti: ma non suo nonno né suo padre, si era appena macellata una mucca, c’era del lavoro da fare, le parti da distribuire, eppoi che sarebbe potuto accadere?

Non si pensava, non si credeva assolutamente che sarebbe potuto succedere proprio quello.

Al bambino sopravvissuto resta solo uno zio, che si prende cura di lui. La vita gli riserva poi un destino molto simile a quello di tanti altri italiani nel dopoguerra: emigrazione in Svizzera, decenni di lavoro all’estero, il matrimonio, la nascita del figlio, la decisione di iscriverlo comunque ad una scuola tedesca, perché col tempo si supera anche l’odio e si impara il perdono.

Quando decide di ritornare in Italia, si adopera perché Sant’Anna non venga dimenticata, è tra gli organizzatori dell’incontro del marzo di tre anni fa tra il Presidente della Germania, Joachim Gauck, e il Presidente dell’Italia, Giorgio Napolitano, l’ultimo atto pubblico a conclusione del suo complicato mandato.

Ora è il Presidente dell’Associazione Martiri di Sant’Anna di Stazzema; ora è soprattutto un uomo di eccezionale umanità, che non è rimasto chiuso nel suo dolore e che anzi pensa a tutte le altre “Sant’Anna” che la storia continua a proporre, ai morti sui barconi in mare, alle vittime delle tante guerre dimenticate che ancora e sempre si combattono…

Gli stringiamo calorosamente le mani, vorremmo abbracciarlo per ricevere da lui la sua forza.

Infine, il filmato: tremendo, con immagini che sarà impossibile dimenticare e il racconto dei sopravvissuti, oggi bei volti rugosi di anziani che erano bambini o appena adolescenti nel 1944, tutti salvi per caso – qualcuno rimasto sepolto sotto i cadaveri dei familiari, imbrattato del loro sangue –, tutti che rivivono l’orrore raccontandolo…

E poi la visita al Museo, altre foto, altre immagini che fanno sempre più piccolo il cuore e più umidi gli occhi.

Non manca neppure lo sdegno, la rabbia alla notizia del ritrovamento quasi casuale all’interno della Procura Militare di Roma del famoso “armadio della vergogna”, che contiene quasi 700 fascicoli “archiviati provvisoriamente” sui crimini di guerra dei nazifascisti.

E’ l’estate del 1994, cinquant’anni esatti dall’eccidio: tra quelle carte riemerge tutta la documentazione relativa a Sant’Anna di Stazzema, una strage quasi dimenticata, della quale fino ad allora si parlava poco.

Ci vorranno ancora altri dieci anni: il 20 aprile 2014 il Tribunale Militare di La Spezia celebra il processo e il 22 giugno dello stesso anno condanna all’ergastolo dieci ex-ufficiali e ex-sottufficiali tedeschi, ormai ultraottantenni. La giustizia tedesca, però, archivia tutto con sentenza della Procura di Stoccarda del 1 ottobre 2012: meglio non formulare alcun commento in merito.

Tra tanto strazio, un’immagine, però, mi piacerebbe restasse più vivida delle altre: quella, offerta dal film documentario, del giovanissimo soldato tedesco che non esegue l’ordine impartito, finge di fucilare i prigionieri a lui affidati ma in realtà spara in aria e li fa fuggire via.

Un ragazzo che ha disobbedito, che non si è trasformato in demone: l’unica possibile speranza per l’umanità è che in futuro ci siano sempre di più giovani che non si lascino contagiare dalla follia omicida dei loro padri e maestri, che rifiutino di diventare carnefici, che preservino in loro e per noi una minima scintilla di bontà.

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