DAL CORPO DI CRISTO ALLA MATERIA    –    IL CONFLITTO TRA FEDE E RAGIONE DELLA TRANSUSTANZIAZIONE.

per Filoteo Nicolini

DAL CORPO DI CRISTO ALLA MATERIA

          IL CONFLITTO TRA FEDE E RAGIONE DELLA TRANSUSTANZIAZIONE.

 

Nei secoli XVI e XVII il pensiero europeo è passato per una rivoluzione che ha sostituito il mondo geocentrico e antropocentrico con il sistema eliocentrico di Copernico, quando si è transitati lentamente da una concezione del mondo ordinata e finita ad un universo indefinito o anche infinito. Si suole riferire a questa rivoluzione l’origine della scienza moderna. Ma dovremmo allargare lo sguardo fino ad includere la annosa disputa sul Sacramento della Comunione e l’acuto conflitto tra fede e ragione.  Questo conflitto si può tracciare fino agli inizi del millennio. Solo così avremo una visione completa delle origini del moderno pensiero scientifico materialista.

Tale disputa si svolse nel seno della Chiesa cattolica, nelle aule di filosofia e teologia, tra Chartres, Parigi, Oxford, Napoli, tra frati benedettini prima, poi francescani e domenicani poi. La parola che lungo i secoli accompagna tale disputa è la transustanziazione, vale a dire la cerimonia del mistero dell’Eucarestia che rende il Cristo presente tra i fedeli. Prima di essere proclamata dogma nel Concilio di Trento era comune riferirsi ad essa nei sermoni come il principale mistero della liturgia dei Sacramenti. E quindi era origine di discussioni, giudizi acuti e dubbi, in quanto rendeva palese alle coscienze più sveglie la contraddizione tra l’esperienza sensibile e la dottrina.

La disputa si sviluppò a lungo sullo scenario teologico, tra condanne, ritrattazioni, roghi, scomuniche e schieramenti di scuole. Lingua ufficiale era il latino colto delle erudizioni filosofiche.

 

I fenomeni sensibili del sapore, del colore, della dimensione dell’ostia rimanevano lì imperturbati, eppure la Chiesa postulava un cambio radicale nella sostanza del pane e del vino consacrati. E qui la ragione chiedeva di fare chiarezza considerandone la compatibilità con le filosofie chiamate in causa. Erano sfide alla comprensione umana, in primo luogo per quelle anime più evolute che sviluppavano il giudizio e l’intelletto. Sullo sfondo c’era il popolo di Dio che comprendeva il significato del rito ma poteva essere confusa da tali dibattiti colti.

  In primis, si discuteva come si producesse tale trasformazione di sostanza. In secondo luogo, la permanenza dei fenomeni sensibili metteva al primo piano la percezione sensoriale e dunque le relative teorie. Come era considerata in quei lontani tempi la sostanza? C’era possibilità che la sostanza fosse legata a fatti quantitativi e spaziali, a numeri e distanze? Qui comincia  il dibattito su che cosa si intenda per sostanza, se essa è una realtà metafisica o va considerata dotata di attributi materiali. Se la sostanza fosse stata indipendente dai fenomeni sensibili si poteva accettare l’idea della permanenza del colore, del sapore, del colore. A ben vedere, la disputa si centrava sulla realtà della sostanza: era essa un nome riassuntivo di proprietà materiali o aveva realtà propria? La dottrina consacrata si vide poco a poco minacciata da ipotesi che davano valore alla conoscenza empirica o addirittura a spiegazioni basate sull’atomismo.

Alla eresia di Berengario (999-1088) nonostante le sue abiure che sfidavano il principio di autorità fece contrappunto la spiritualità speculativa di Tommaso (1225-1274) che adottava la filosofia aristotelica per cui una sostanza è risultato sia della materia, che dà al corpo la sua estensione, sia della forma che le conferisce attività e qualità. Secondo il Doctor Angelicus: ”….Tutta la sostanza del pane si trasmuta nel corpo del Cristo, perciò non è una conversione formale ma sostanziale.” Tutta la sostanza, cioè la materia e la forma.

La presenza del vero corpo e sangue di Cristo in questo sacramento, afferma Tommaso, non può essere rilevata dai sensi, né dalla comprensione, ma solo dalla fede, che si basa sull’autorità divina. Ed aggiunge che il corpo di Cristo non è in questo sacramento come un corpo è in un luogo, che per le sue dimensioni è commisurato al luogo; ma in un modo speciale che è suo proprio.

 

Piuttosto, il corpo di Cristo sotto questo sacramento comincia ad essere in una volta in più luoghi, e ciò comporta che la sostanza del pane non può rimanere dopo la consacrazione.

Dio è atto infinito, quindi la sua azione si estende a tutta la natura dell’essere. Perciò può operare anche il cambiamento di tutto l’essere, in modo che, cioè, l’intera sostanza di una cosa si trasformi nell’intera sostanza di un’altra.

E questo è fatto dalla potenza divina in questo sacramento; poiché tutta la sostanza del pane si trasforma in tutta la sostanza del corpo di Cristo, e tutta la sostanza del vino in tutta la sostanza del sangue di Cristo. Non si tratta dunque di una conversione formale, ma sostanziale; né è una specie di movimento naturale: ma, con un nome proprio, può essere chiamato “transustanziazione”.

 

Nell’Eucaristia la sostanza del pane e del vino diventa il corpo e il sangue di Gesù, mentre rimangono miracolosamente immutati gli accidenti, cioè le specie o apparenze del pane e del vino. Quindi le dimensioni dell’ostia non cambiano, e non cambiano il colore, l’odore e il sapore. Cambia invece la sostanza. E lo stesso si dica del vino. Avviene quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione.

E i fenomeni che il fedele osserva? Sono separati dalla sostanza, sono accidenti senza soggetto.

Gli accidenti del pane rimangono in questo sacramento, affinché sotto di essi si veda il corpo di Cristo, e non sotto le sue specie proprie. E così, sebbene sia secondo la legge comune di natura che un accidente sia in un soggetto, tuttavia per una ragione speciale, secondo l’ordine della grazia, gli accidenti esistono in questo sacramento senza soggetto, In questo sacramento non è in virtù della loro essenza che gli accidenti non sono in un soggetto, ma per la potenza divina che li sostiene;

 

Perciò colore, sapore, consistenza persistono come se dipendessero da una sostanza, ma in realtà agiscono sui sensi del fedele senza la sostanza. È la teoria dei fenomeni sensibili senza soggetto di Tommaso. La fede non è contraria ai sensi, ma riguarda cose alle quali il senso non giunge. Con Alberto Magno e Tommaso abbiamo una mistica razionalizzata, una descrizione razionalistica del comportamento spirituale. In questa astrazione dall’elemento sensibile sorsero i problemi a cui si dedicarono.

 

È molto difficile afferrare questi concetti con le nostre idee attuali, eppure sono una descrizione razionalistica dei segreti spirituali così come apparivano a Tommaso ed Alberto Magno. Entrambi erano ancora in grado di rappresentare concretamente il lavoro dello spirito sul corporeo. Quello che in epoche precedenti era veggenza diventò per la Scolastica qualcosa su cui era chiamata a decidere quell’acutezza di pensiero, quella finezza della logica. Il problema veniva abbassato entro la sfera della razionalità e del pensiero. Questa l’essenza della filosofia di Alberto Magno e di Tommaso. Tutti i problemi si presentano nella loro forma razionale e logica, così come deve considerarli il pensatore. Da un lato abbiamo nei secoli XII e XIII quello che si crede possa essere colto col pensiero, dall’altro abbiamo il contenuto della fede e la dottrina. Mai si è pensato con tanta precisione e logica come nell’alta Scolastica. Il puro pensiero si svolgeva con matematica sicurezza di idee in idea, di giudizio in giudizio, di conclusione in conclusione. Poi arrivava a un punto in cui era necessario ricorrere alle verità di fede.

 

Le tesi di Tommaso si scontrarono con quelle della scuola francescana inglese a cui appartenevano R. Grosseteste (1175-1253), Ruggero Bacone (1220-1292), Duns Scòto (?-1308), Guglielmo di Ockam (1287-1347).

R Grosseteste fu vescovo a Lincoln e precursore del metodo sperimentale al meno nel suo aspetto qualitativo. Anticipò alcune delle idee più brillanti alle quali Ruggero Bacone diede successivamente più ampia risonanza.  Fu autore del metodo detto di risoluzione e composizione, nel quale proponeva di realizzare osservazioni particolari per giungere a previsioni generali. Nelle sue parole: ” C’è un doppio cammino dalla conoscenza esistente alla nuova, cioè dal più semplice al composto e inversamente, dai principi agli effetti e dagli effetti ai principi.”

Con Grosseteste si pone di manifesto come la scienza moderna dia i primi passi in epoca medioevale.

Ruggero Bacone, denominato Doctor Mirabilis e discepolo di Grosseteste, fu sostenitore del primato dell’esperienza come mezzo per acquisire conoscenze intorno al mondo. Secondo Bacone, infatti, tre sono i modi in cui l’uomo può raggiungere la conoscenza della verità: con la conoscenza interna o illuminazione, con la ragione, che da sé è insufficiente, o con l’esperienza sensibile tramite i cinque sensi, ma solo quest’ultima modalità ci consente di avvicinarci massimamente all’oggettiva conoscenza del reale. Forse nessun contemporaneo medioevale ha messo la scienza sperimentale in un luogo più alto come lo fece R. Bacone, che non solo le attribuì la prerogativa di confermare o invalidare le conclusioni del ragionamento, ma anche quella di essere la fonte di nuove verità che non possono essere scoperte altrimenti, come per esempio il magnetismo o i segreti della fisiologia umana.

Va detto che le affermazioni di Bacone, innovando il pensiero medievale nella direzione di un vero e proprio metodo empirico appropriato alla scienza, costituiscono un primo  passo in questo percorso di autonomia del sapere dalla fede.

  Insieme a Grosseteste e Bacone, Duns Scòto fu filosofo e teologo di spicco nel seno dell’ordine francescano, opposto al predominio culturale dei domenicani e alla interpretazione aristotelica. Per la sua acutezza di ragionamento denominato Doctor subtilis, si dedicò soprattutto a problemi metafisici e gnoseologici in chiara polemica con il razionalismo tomista. Concepiva la materia non come una potenzialità a cui la forma conferisce dinamismo  ma come una entità positiva che potrebbe essere anche senza forma. Se l’abito bianco e nero dei domenicani indica l’ortodossia dottrinale, l’abito dei francescani si distingue per l’innovazione nei temi più scottanti, la relazione tra la fede e la ragione, tra cosmologia e teologia. Su un piano spirituale l’ideale francescano era l’opposizione alla supremazia del papato, sul piano filosofico l’ideale era il privilegio dell’esperienza.

Grosseteste, R. Bacone e Duns Scòto sono stati importanti precursori  della figura di Guglielmo di Ockam, che ne ereditò l’anti aristotelismo e una certa intolleranza intellettuale verso l’autorità. Per Guglielmo l’unica conoscenza è la conoscenza dell’individuo. Se la conoscenza non è universale ma dell’individuo,  è affidata ai suoi sensi e alla sua ragione ed è perciò empirica.  Ockam si oppose alla idea aristotelica-tomista di materia e forma unite nella sostanza, affermando che di una sostanza si possono conoscere solo gli aspetti individuali, non i principi metafisici. Si cominciava a spianare così la strada per la riapparizione dell’atomismo di Democrito e la centralità della materia come oggetto di indagine. Le differenze qualitative e i mutamenti naturali si spiegavano meglio ipotizzando una materia estesa le cui parti unendosi davano origine a tutti i fenomeni. E Ockam arrivò al punto di affermare che la sostanza può crescere o diminuire, fino a ridursi ad un punto. La sostanza era dunque una quantità, e non poteva essere altrimenti.

Mentre le sue tesi venivano condannate, rimaneva il nodo da sciogliere: il tema dell’Eucarestia. Ockam ribadì che i fenomeni sensibili dell’ostia sono una realtà estesa, non sono qualità né accidenti senza soggetto. Nonostante ciò, Ockam chiarì che il suo punto di vista si doveva alla logica più che a la teologia. Vi fu chi intravide in questa identificazione della sostanza con la quantità la strada per parlare di consustanziazione, ovvero di una permanenza della sostanza originale del pane.

Ma ormai la strada era tracciata per  sostenere le aggregazioni di atomi dotati della stessa virtù con la quale il magnete attrae il ferro, oltre che per i primi accenni a una teoria corpuscolare della luce. Un’altra ardita ipotesi fu supporre che le impressioni sensoriali si dovessero a movimenti di atomi. Si esortava nel frattempo all’osservazione della Natura per porre in evidenza l’intelligenza della legge divina.

Le tesi sull’atomismo, la teoria corpuscolare della luce e l’identificazione tra sostanza e quantità furono condannate, anche se in ritardo e con cavilli giuridici.  Si fu delineando una strisciante ma persistente rivendicazione del diritto della ragione di argomentare in campo filosofico e naturale, anche se con la salvaguardia che non si volevano controbattere temi di fede perché la ragione si occupava solo di logica e Natura. In ogni modo, l’eresia empirista continuò a diffondersi in ambiti filosofici mentre si susseguivano proposte alternative sempre nel tentativo di accomodare la dottrina della transustanziazione con le nuove ipotesi sulla materia. Wycliff e poi Huss furono condannati quali eretici, mentre di lì a poco Lutero dichiarava che la sua coscienza gli diceva che nell’Eucarestia, con l’autentica carne e sangue di Cristo c’è vero pane e vero vino.  Ritornava la teoria della consustanziazione che difendeva la simultanea presenza delle sostanze originali col corpo e il sangue di Cristo. La teoria divenne sinonimo dell’eresia luterana. Eppure Lutero sperava di eliminare la controversia per assumere una visione sacramentale della presenza di Cristo in concomitanza con i fenomeni percettibili. Richiamava in altre parole il mistero come asse centrale del sacramento con la speranza di eliminare tutte le sottigliezze sofistiche.

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La struttura della materia, del calore e della luce si avvalse di queste dispute quando la filosofia naturale di Galileo quasi 2 secoli dopo nel Saggiatore si pronunciò sulla possibilità di riconoscere una teoria corpuscolare della luce e chiamò le particelle dei corpi e del calore con varie parole che alludevano alla loro piccolezza.

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