Cacciari: «Certo che il 25 aprile dà fastidio alla Meloni. È un’arma non ancora del tutto spuntata, che l’opposizione usa in modo strumentale sapendo perfettamente che i problemi sono altrove»

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Andrea Malaguti
Fonte: La Stampa

«Il fascismo come prospettiva di sistema può abitare solo nella testa di qualche idiota che ancora lo usa come strumento di lotta politica». È come se stessimo guardando tutti dalla parte sbagliata, dice Massimo Cacciari. Soprattutto al periodo sbagliato. Perché il problema della destra non è il Ventennio, morto, sepolto, non più resuscitabile, piuttosto gli Anni Settanta. Il bubbone è lì. I tentativi di golpe. Gli attentati. Gli assalti di piazza San Babila cari al presidente del Senato Ignazio La Russa e a buona parte della classe dirigente della destra fedele a Giorgia Meloni. Di quelli non si parla mai. Mentre facciamo finta di ignorare i guai del presente e ci lasciamo ipnotizzare dall’infinito circolo vizioso della marcia su Roma. Una distorsione ottica che alimenta lo stucchevole rancore tra governo e opposizione soffocando il Paese.

Professor Cacciari, ha visto la lettera inviata da Giorgia Meloni al Corriere della Sera sul 25 aprile?
«Grosso modo».

La snobba?
«Ma no, constato solamente che siamo finiti nel solito circolo vizioso».

Cito: da molti anni i partiti che rappresentano la destra in Parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo. Interessante, no?
«Forse, ma il punto è che siamo sempre lì. Meloni sente ancora la necessità di giustificarsi (e se ne capiscono bene i motivi), mentre i suoi avversari continuano a parlare di fascismo come se fosse una minaccia reale».

Non lo è?
«Figuriamoci. Il fascismo come prospettiva di sistema può abitare solo nella testa di qualche idiota che ancora lo usa come strumento di lotta politica. Esattamente come Berlusconi faceva con il comunismo e il socialismo reale, sepolti dalla guerra fredda».

A sentire alcuni ministri del governo verrebbe da dubitare.
«Lo comprendo, bisognerebbe che tutti, nessuno escluso, avessero il coraggio di dire che non c’entrano con quel passato e che riconoscono in pieno una sconfitta storica indiscutibile. Perché, lo ripeto: il fascismo non esiste più e non esisterà mai più».

Le democrazie veleggiano verso meravigliose sorti progressive?
«È esattamente l’opposto, lo sostengo da anni».

Non è che la destra fa più fatica a chiudere i conti con gli anni Settanta che con il Ventennio?
«Questo è sicuro. Il grosso problema sta proprio lì. Nella storia di una buona parte di quella classe dirigente. Nell’eredità di Almirante e dell’Msi. Negli Anni Settanta il pericolo fascista e il pericolo autoritario erano ancora molto presenti. Ricordiamoci di Tambroni, dei morti di Reggio Emilia, dei colonnelli greci, del golpe Borghese o delle squadracce a San Babila. Ecco, i dirigenti della destra dovrebbero parlarci di quello».

Non hanno fatto i conti con quella storia?
«Chi lo sa. Io spero di sì. Si fa una grande confusione quando si parla delle responsabilità della classe dirigente di adesso e dei fantasmi del fascismo, che, vale la pena ricordarlo oggi, 25 aprile, è stata una tragedia europea, non una storiella nazionale. Ha riguardato la Gran Bretagna, la Francia di Pétain, la Bulgaria, l’Ungheria, la Romania. Nei paesi dell’Est c’erano fascisti a bizzeffe. Non solo in Italia e in Germania. L’Europa è stata sconfitta integralmente».

L’Europa ha fatto anche la Resistenza.
«Senza Stati Uniti e Unione Sovietica non avremmo fatto neanche il solletico a nazisti e fascisti».

Oggi Meloni e la Nato sono convinti che si debba evitare di fare il solletico a Putin.
«Ma trattare i russi come i nazisti è pazzesco. È una cosa incredibile. La condanna politica deve essere netta, ci mancherebbe, bisogna cercare la pace e difendere gli ucraini. Ma se tratti Putin come Hitler poi ti devi inevitabilmente comportare come Churchill e proseguire la guerra perché nessuno fa armistizi con Hitler».

Meloni non lo sa?
«Lo sa. Ma vuole fare la prima della classe. Le serve per legittimare il suo governo. Tanto è facile. Qualunque cosa dica di sicuro non incide sulle trattative reali tra Russia, Stati Uniti e Nato».

Cinismo?
«No, il bisogno di spiccare. E poi anche di coprire i problemi con il Pnrr, con i migranti, con mille altre inefficienze».

Dieci minuti all’Altare della Patria e una lettera al Corriere non sono la testimonianza del fastidio quasi fisico per il 25 aprile?
«Certo che il 25 aprile dà fastidio alla premier. È un’arma non ancora del tutto spuntata, che l’opposizione usa in modo strumentale sapendo perfettamente che i problemi sono altrove. Ma Meloni deve pensare anche ai suoi elettori. Che dovrebbe fare, più di quello che fa, cantare Bella Ciao?».

Sarebbe bizzarro.
«Lo sarebbe molto. E per fortuna ha un minimo di decenza. Non possiamo chiedere a lei e ai suoi di abiurare».

Dice?
«Ma dai. Non siamo ridicoli. Quelli che hanno la mia età il “compagno” La Russa se lo ricordano bene in certi anni. Se non depone fiori sui sacrari partigiani magari è perché gli è rimasto un po’ di pudore».

La distanza tra quello che dice il presidente del Senato e quello che sostiene il presidente della Repubblica sulla Costituzione antifascista non è impressionante?
«Lo sarebbe ancora di più se il presidente fosse Napolitano. Mattarella è un democristiano di sinistra, è ovvio che rivendichi certe posizioni. D’altra parte la nostra non è una Repubblica presidenziale e quindi certe differenze possono starci».

Milano c’erano centomila persone in piazza per dire che la Costituzione è antifascista.
«Bene, era una bella giornata».

Zero significato politico?
«Poco, pochissimo. Una reazione spiegabile, che immagino il governo desse per scontata. Sapeva che il 25 aprile era un piccolo banco di prova per l’immagine».

Prova superata?
«Sì. Però maluccio. Potevano arrangiarsi meglio. Invece ognuno è andato per conto suo».

Il primo maggio succede la stessa cosa?
«No. Il primo maggio il governo sfodererà la sua anima sociale. Quella con cui ha vinto le elezioni anche al Nord e non in via Montenapoleone. L’eredità dell’Msi è un fascismo antiliberale, sociale e antimonarchico».

Statalismo spinto che a Lega e Forza Italia fa orrore.
«Se il governo procede in una direzione antiliberista in teoria sì, ma le divergenze all’interno della coalizione di destra maturano lentamente e non esplodono mai con il potere in mano. Non dimentichiamo che queste forze stanno assieme dal 1994, mentre il Pd di Schlein deve ancora dire con chi andrà in coalizione. Grande problema tattico, ma anche strategico».

Che Schlein risolverà dopo le elezioni europee.
«Temo che si debba muovere prima se vuole avere successo».

È la persona giusta per guidare l’opposizione?
«Tra quelle che conosco io (e ormai sono pochissime) direi di sì. Se Meloni fa la prima della classe, Schlein fa la primissima. Una vittoria di Bonaccini sarebbe stata una resa incondizionata. Ma a Schlein per ribaltare il quadro non basterà fare l’antifascista. È ora che cominci ad affrontare temi concreti».

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