D’Alema: “Se alle elezioni europee non ci presentiamo con una proposta politica forte, l’elettorato non avrà pietà”

per Gabriella
Autore originale del testo: Massimo D'Alema

INTERVENTO di D’ALEMA al Convegno della Fondazione Italianieuropei

Trascrizione di Giovanna Ponti

“Un nuovo patto tra i cittadini e l’Europa” del 15 dicembre 2018

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Occorre riflettere, alla luce della crisi attuale del progetto europeo, che cosa ci fu di sbagliato.

Nel Consiglio europeo di Lisbona del 2000 si disegnava  l’idea di un’ Europa centro di una straordinaria economia dell’innovazione, capace di creare lavoro di qualità e quindi di promuovere per questa via un nuovo welfare.

Io credo che noi siamo stati dei profeti disarmati perché rispetto a quel programma riformista non abbiamo avuto la freddezza e la capacità di dotare l’Unione dei poteri e delle risorse necessarie per realizzare quel programma.

Il sovranismo che si va affermando ha in sé una confusa verità: le persone vogliono tornare ad essere padrone delle decisioni che riguardano la loro vita e non vogliono che queste decisioni siano delegate a dei poteri non controllabili, i mercati, le democrazie straniere, la finanza. Nei movimenti che si vanno affermando vi è confusione, ma non possiamo non considerare questo elemento di verità.

Il riformismo europeo non fu cieco, l’elaborazione di molti intellettuali anche italiani fu lungimirante. Quello che mancò fu la forza dell’azione che, con la necessaria drammaticità, ponesse il problema del potere europeo.

Dal 2000 ad oggi la popolazione mondiale è cresciuta di circa due miliardi registrando un certo rallentamento della crescita demografica, ma il Pil del mondo è cresciuto tre volte. Noi possiamo dire quello che vogliamo della globalizzazione e abbiamo molte cose negative da denunciare, ma che sia stata un fattore potentissimo di crescita non lo possiamo negare. L’internazionalismo dei mercati, la libera circolazione dei capitali, la concorrenza e insieme la rivoluzione tecnico scientifica hanno cambiato completamente il volto dell’umanità. La politica invece è rimasta ferma.

Gli europei non hanno saputo utilizzare gli strumenti che avevano per restare protagonisti del processo. Il fallimento della Costituzione europea e l’allargamento che ha reso l’Europa sostanzialmente ingovernabile hanno completato lo smantellamento della potenza politica europea.

Nell’Europa a 15 non c’erano le regole della governance, ma c’era uno stile. Io ricordo la guerra nei Balcani e il fatto che in due settimane l’Europa si trovò di fronte a una piccola emergenza ,300.000 profughi, numeri bassi confronto ad oggi, ma che si presentarono in pochissimo tempo e avrebbe potuto portare ad una grave crisi, emergenza che l’Europa superò con un incontro di alcuni capi di governo europeo che si divisero le persone da accogliere. Mandammo le nostre navi a prendere i migranti, perché nessuno dovesse rischiare la vita in Adriatico, e tutto si risolse in pochi giorni. Allora c’era uno stile, un modo di stare insieme che abbiamo perso. Il principio di maggioranza, non scritto,  e di rispetto delle regole faceva parte di un costume  accettato e condiviso.

Abbiamo fatto l’errore che, nella fase che veniva, quelle regole andavano scritte se volevamo un’Europa che non perdesse il suo profilo politico e non diventasse solo uno spazio economico.

Certo ci fu un certo egoismo da parte delle singole Nazioni, ma accanto a questo c’è stata sicuramente una sconfitta culturale. E’ prevalsa una visione neoliberista e noi sinistra abbiamo cessato di essere diffidenti e critici verso il capitalismo. Noi abbiamo accettato l’idea che la globalizzazione fosse un processo di crescita della ricchezza, che l’apertura dei mercati avrebbe portato a una allocazione razionale delle risorse e   che la funzione della politica fosse quello di seguire i compiti che l’economia assegnava.

Questa ideologia ha pervaso di sé l’Europa, le istituzioni, le regole, i trattati.

Oggi noi viviamo in un mondo di competizione globale durissimo, le imprese europee competono nel mondo con le grandi imprese americane e cinesi. Quando una grande impresa cinese partecipa a una gara internazionale  c’è dietro lo Stato, ma anche dietro a  una impresa americana c’è lo Stato. Gli europei no, perché noi proibiamo allo Stato di aiutare le imprese. Noi abbiamo deciso di indebolirci già in posizione di partenza perché noi siamo più liberisti di quanto non lo sia il mercato.

La competizione nel mondo non è competizione fra imprese, è competizione fra sistemi e noi abbiamo indebolito il nostro sistema, e parlo come europeo perchè è futile l’idea che noi possiamo ricostituire la sovranità a livello nazionale. La sfida si gioca tutta a livello europeo.

Io credo che questi due fattori:

– l’ostacolo rappresentato dagli egoismi nazionali e quindi l’innescarsi di una competizione fra gli Stati dentro lo spazio della moneta unica e del mercato unico che ha finito per avvantaggiare gli Stati più forti, ma, badate,  solo dentro il recinto europeo e non fuori da questo

– e la sconfitta culturale della sinistra, una sconfitta che abbiamo subìto senza combattere, quindi diciamo anche abbastanza ingloriosa

hanno pesato sul destino dell’Europa e sono tra le ragioni che hanno portato alla crisi attuale.

Nelle mie frequentazioni in Cina i cinesi si stupiscono che il maggior elemento di destabilizzazione economica venga proprio dall’Occidente. Io cerco di spiegare loro cosa ha comportato per l’Europa la globalizzazione e cioè che mentre in Cina il ceto più povero ha comunque avuto un miglioramento economico, in Europa non è stato così, una parte si è impoverita e ha perduto diritti. L’obiezione dei cinesi è stata questa: non è vero che l’Europa si è impoverita per la globalizzazione perché in quell’un per cento dell’umanità che ha tratto i massimi vantaggi dalla globalizzazione 8 su 10 sono cittadini americani ed europei. Quindi il problema è che noi europei non siamo in grado di ripartire equamente i vantaggi della globalizzazione.

Come dare loro torto?

E questa massa di impoveriti provoca quel rancore sociale che serpeggia nelle nostre società europee.

La globalizzazione ha generato una enorme ricchezza, ma ha prodotto due gigantesche questioni: la crescita delle disuguaglianze e il rischio che lo sviluppo porti a una consumazione delle risorse fondamentali per la vita delle persone, il grande tema ecologico.

La crisi si è aperta nel 2008 in modo drammatico e da quel momento in poi non ci sono state risposte. Vi sono state delle proposte anche sensate, ma sono rimaste inascoltate.

La consapevolezza che non si potesse andare avanti così vi è stata, ma non si è tradotta in capacità politica. Noi viviamo nel tempo che Gramsci definiva “interregno”: è entrata in crisi in modo irreversibile una egemonia che è stata quella del neoliberismo e non viene avanti una nuova visione egemonica dello sviluppo mondiale. Gramsci diceva che in questi periodi si manifestano i fenomeni morbosi più svariati. E, come spesso accade nella storia, l’Italia è il luogo elettivo di sperimentazione dei morbi più svariati.

 Tramontata l’idea di un dominio americano nelle due forme, perché è stata sconfitta l’idea di Bush di un rinnovato dominio militare americano, quella dell’esportazione della democrazia nel mondo anche con la forza delle armi, impantanata nel Medio Oriente e nell’Iraq, ma  è stata anche sconfitta l’idea democratica di un dominio americano fondato sul soft power. Queste le due visioni che negli Usa sono entrate in crisi e Trump rilancia il nazionalismo americano confermando questa crisi.Se una grande potenza arriva a mettere i dazi vuol dire che ha rinunciato ad un disegno egemonico.

L’Europa è sola, come ha detto la Merkel, e io aggiungo è sola e  divisa. Siamo tornati al conflitto tra le potenze.

I cittadini europei hanno bisogno di una Europa forte: politicamente  per garantire la pace e forte nella competizione con le altre potenze mondiali. L’equilibrio del mondo è dato dal rapporto di collaborazione o di conflitto tra gli USA, la Cina, la Russia e l’Europa con queste grandi potenze deve confrntarsi.

Io credo che dovremmo assumere la domanda di forza che c’è nel sovranismo , ma facendo capire che questa forza è recuperabile solo a livello europeo, altrimenti è una illusione.

L’illusione del sovranismo italiano, che poi è particolarmente straccione, è naufragata alla prima finanziaria.

Dopo avere annunciato dal balcone che il 2,4 sarebbe stato la nostra linea del Piave e avrebbe mobilitato 60milioni di baionette, è bastato passare una settimana a Bruxelles per tornare dentro ai parametri.

E non per colpa di un’Europa cattiva, ma perché nella trattativa non c’erano gli interessi veri del nostro Paese, lo sviluppo, il lavoro, ma solo assistenzialismo velleitario.

Noi possiamo pensare di avere un peso se costruiamo una coalizione europea in grado di produrre nuovi elementi di innovazione, di solidarietà e non attraverso la somma dei sovranisti.

E’ evidente che ai sovranisti se chiedi di prendere la loro quota di immigrati, ti rispondono di no.

Quando Salvini ha lasciato i migranti sulle navi, la crisi si è risolta perché i ministri socialisti di alcuni Stati europei li hanno accolti. Se avessero ragionato tutti come Orban noi ci saremmo trovati in una crisi umanitaria ingestibile.

Occorre limitare il potere di veto dei governi potenziando i poteri dei parlamenti nazionali. In Europa il Parlamento propone, ma poi la Commissione decide veramente, cioè i governi. Occorre avere parlamenti nazionali più forti ed europeisti.

L’Europa deve avere risorse per promuovere innovazione e sviluppo e queste risorse devono essere ottenute chiedendo a quella minoranza di europei che si è arricchita di contribuire, e lì c’è l’idea sacrosanta di cominciare a ragionare a livello europeo del tema della tassazione della rendita,  delle transazioni finanziarie. La progressività dei sistemi fiscali è stato il cardine che è venuto meno allorché la grande ricchezza finanziaria sfugge alla tassazione.

Se alle elezioni europee non ci presentiamo con una proposta politica forte, l’elettorato non avrà pietà. Dovremo avere un progetto convincente per una Europa diversa.

Come sapete io sono un combattente e per me la politica è lotta. Ho avuto con Reichlin tante discussioni su questo perché lui aveva una visione della politica più pedagogica. Nessuno dei due ha convinto l’altro.

In questa fase politica mi controllo molto perché lo stato della sinistra è tale che uno ha paura di fare del male. Siamo in un momento in cui bisogna prestare aiuto . Cuperlo ha detto che oggi qui abbiamo fatto un Congresso. Naturalmente non è così , abbiamo semplicemente discusso di Europa, ma c’è una tale fame di Congresso , di tornare a discutere, che qualsiasi luogo sede di dibattito lo scambiamo per un Congresso.

C’è un grande bisogno nel campo progressista di discutere insieme. Bisogna ricostruire un campo politico se no non conteremo nulla nel futuro dell’Italia. Non vorrei che il Congresso del  partito di centro sinistra si riducesse ad un dibattito, fra l’altro privo di contenuti, tra chi dice che non bisogna allearsi con i 5Stelle e chi dice che non bisogna proprio parlarci perché mi aspetto che sorga una terza posizione che dica che non bisogna neanche guardarli.

Il problema non è se la sinistra parla o non parla con i 5Stelle, il problema è che con loro parlano alcuni milioni di elettori che sono stati nostri e se noi non ci poniamo il problema di capire le ragioni di questo elettorato, siamo matti.

Il problema è che cosa vogliamo essere noi, chi vogliamo rappresentare nella società italiana, se vogliamo essere l’ultima appendice di un  neoliberismo sconfitto e quindi fare l’opposizione nel nome della razionalità dei mercati e delle agenzie di reating  o se ci poniamo il problema di tornare a rappresentare quel popolo che si è sentito tradito dalla sinistra e se ne è andato da un’altra parte.

Se si vuole rappresentare quel popolo non possiamo pensare di non parlare con quelle persone che quel popolo ha scelto per farsi rappresentare. Questo è la politica, la democrazia. Aggiungo un concetto superato: è il buonsenso.

Non vorrei si dimenticasse che nel 1994 di fronte alla grande sconfitta elettorale, vedendo allora in Berlusconi il pericolo maggiore per il Paese, noi dialogammo con la Lega di Bossi, riconoscendo nella Lega una matrice popolare che allora c’era. Questo portò ad una rottura dell’unità del centro-destra e aprì la strada alla vittoria del centro-sinistra.

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