La mensa di Lodi, le persone e l’economia

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 16 ottobre 2018

Le persone e l’economia

Lo ha scritto Chiara Saraceno, domenica scorsa su Repubblica, ma vale la pena ripeterlo. Il tema è la mensa nelle scuole di Lodi, e la vergognosa discriminazione a danno delle famiglie meno abbienti e dei loro bambini, costretti a mangiare un panino casalingo in un’aula separata, o viceversa pagare l’intera retta per usufruire della mensa (5 euro al giorno, all’incirca 100 euro al mese). È un dato di fatto, dice la Saraceni, che la povertà si concentri tra le famiglie migranti, e che si trovi in questa condizione oltre il 30% dei bambini stranieri. E questo non lo dice il reddito dichiarato, lo dicono i comportamenti di consumo reali, spiega la sociologa. Se queste famiglie avessero patrimoni nascosti nei Paesi di origine, avrebbero un livello di consumo ben più elevato. E, dico io, forse non sarebbero nemmeno venuti in Italia, rischiando magari la vita, per guadagnare stipendi da fame facendo un lavoro precario. La Saraceno, quindi, rimprovera alla destra di fare le pulci ai poveri, di fare l’azzeccagarbugli delle certificazioni, ma di decretare nello stesso tempo il condono fiscale “a favore di accertati evasori su suolo italiano, talvolta molto abbienti e con tenore di vita alto, che hanno fruito o fruiscono a sbafo dei servizi pagati dalla collettività”. Meglio non si poteva dire.

È ancora una volta l’applicazione della massima della destra: “forti coi deboli e deboli coi forti”, anzi fortissimi coi debolissimi: quei bambini poveri, che non solo non possono godere del tempo mensa come tempo educativo (perché debbono tornarsene a casa o mangiare il proprio panino in un’aula separata) ma subiscono l’offesa di vedersi separare dai loro compagni di classe: gli uni davanti a un pasto caldo, gli altri a casa o in quarantena a scuola. La destra è questa, d’altronde, cosa v’aspettate? Lo dico a chi ritiene che si possa avere un rapporto dialettico con questo esecutivo, magari dicendo: questo sì (la quota 100), questo no (il sussidio di cittadinanza); questo sì (lo sforamento del debito), questo no (gli scarsi investimenti). Dimenticando i provvedimenti più negativi e disumani verso le persone di pelle nera che emigrano da noi, oppure le discriminazioni verso i bambini più poveri a opera di qualche sindaco leghista.

Come se l’economia fosse tutto, come se alle persone si potesse arrivare solo manovrando indici di bilancio oppure mediante il filtro dei parametri economici, e come se gli ultimi, i subalterni, i diseredati presi in se stessi, direttamente, senza il velo delle cifre, delle leggi, delle gabelle, del formalismo giuridico o economico fossero nulla di nulla. Corpi e basta. Nuda vita. Intrusi. A quando, invece, una parola di considerazione diretta per le donne e gli uomini in carne e ossa? Quando si potrà giudicare un esecutivo a partire dalle pene che infligge direttamente al sociale e ai più disagiati? Quando sarà dirimente la sofferenza personale diretta, tale da lasciar stare ogni possibile dialettica? Ma se la sinistra non parla degli ultimi e dei più sofferenti, se li perde di vista, se diventa solo capace di considerazioni economiche e finanziarie, percentuali, tabelle e razionalità tecnico-amministrativa, senza spendere nemmeno un briciolo di sentimento politico e di affettività personale, dove pretende di andare? Che ci sta a fare?

PS1, chiedo in ultimo alla sinistra economicista: il condono fiscale va bene? È un ‘questo sì’ o un ‘questo no’, nella dialettica hegeliana da proporre all’esecutivo? Così, tanto per sapere.

PS2: Dissidi legali

Torno sul tema. Perché la memoria va curata anche in questo. Colgo un dissidio, tra chi è formalista dal punto di vista della legge (anche quando si tratta di diritti), ma possibilista e anzi ‘cartastraccista’ su quello dei trattati internazionali, ovviamente sottoscritti e approvati dal Parlamento. Donde la differenza?

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