Tra poco potremmo dover decidere se morire per Kiev o combattere sino all’ultimo ucraino

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo:  Giuseppe Cucchi
Fonte: Limes

Tra poco potremmo dover decidere se morire per Kiev o combattere sino all’ultimo ucraino

L’unica possibilità di fermare l’escalation è una pace giusta e concreta, senza vinti né vincitori, in cui – eventualmente – tutti siano pronti a “perdere la faccia”.

Sia pure con qualche difficoltà, gli ucraini sono riusciti a farsi promettere dai paesi occidentali la cessione di carri armati di ultima generazione. I mezzi saranno capaci di fronteggiare, con buone speranze di successo, la prevista offensiva avversaria che dovrebbe scatenarsi in primavera ed essere basata in primo luogo su una netta superiorità numerica russa nel settore dei mezzi corazzati.

Malgrado le pesanti perdite subite in questo primo anno di conflitto – circa millecinquecento mezzi, secondo gli osservatori – i russi dispongono ancora, almeno sulla carta, di circa diecimila mezzi corazzati che dovrebbero essere in condizione di entrare in combattimento.


Il condizionale è però d’obbligo, considerato come molti di questi mezzi siano modelli datati e viste anche le pesanti lacune nel settore degli equipaggiamenti che le Forze Armate russe hanno evidenziato nel recente passato.


In ogni caso, la sproporzione fra il potenziale russo e quello ucraino nel medesimo settore è tale da giustificare ampiamente la decisione occidentale di fornire a Kiev 120 mezzi, capaci di armare per il momento soltanto una forza di quattro o cinque battaglioni, ma che dovrebbero essere seguiti da altre tranches di donazioni del medesimo tipo. Se non è ancora in pari, la bilancia degli armamenti sembra così ben avviata a diventarlo. Ciò spiega come, da parte occidentale, la decisione sia stata particolarmente sofferta.


I russi ci hanno accusato, non del tutto a torto, di aver compiuto un passo avanti su quella strada della escalation del conflitto che diviene di giorno in giorno più pericolosa.


Carta di Laura Canali - 2022

Carta di Laura Canali – 2022


Si spiegano e giustificano così anche le notevoli esitazioni, soprattutto da parte tedesca, che hanno contrassegnato in vari Stati d’Europa un processo decisionale risoltosi in maniera positiva soltanto quando gli Stati Uniti hanno deciso di affiancare i loro Abrahams ai Leopard tedeschi, ai Challenger inglesi e agli AMX francesi. Si è trattato di un gesto soprattutto politico e destinato essenzialmente ad avere una funzione trainante, considerato come i mezzi Usa fossero pochi e di prestazioni inferiori a quelle dei carri europei.


Questo episodio è un vero e proprio preludio delle scelte sempre più difficili che saremo chiamati ad effettuare in futuro. La prima è già sul tavolo: subito dopo aver vinto la partita dei carri armati, il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelens’kyj (Zelensky) ha rilanciato chiedendo a chi lo appoggia la cessione di missili antiaerei più performanti nonché di caccia più moderni, attualmente in servizio nei paesi Nato. Siamo appena riusciti a superare con difficoltà e rimanendo uniti un gradino che si era rivelato particolarmente difficile e già ci si chiede di compiere un altro passo in avanti. Un passo ancora più difficile, che, se intrapreso, sarà ancora più gravido di conseguenze. E pensare che questo è solo un gradino di una scala non si sa quanto lunga e dolorosa, ma che a un certo punto rischia di porci di fronte a un bivio tragico.


Si tratterà infatti di decidere se preferiamo “morire per Kiev, accettando il coinvolgimento diretto in uno scontro che potrebbe trasformarsi in generale olocausto, o se invece, come avviene spesso nelle guerre per procura, siamo pronti unicamente a “combattere sino all’ultimo ucraino”.


Sono entrambi punti di arrivo possibili e terribili di questa escalation della “terza guerra mondiale a pezzi”, come il sommo pontefice con visione quasi profetica l’ha chiamata sin dall’inizio. Essa sta divenendo schiava di un meccanismo di azione-reazione che per la sua ineluttabilità ricorda molto il modo in cui l’Europa è corsa al suicidio nei mesi precedenti allo scoppio della Grande Guerra.


Anche se ancora non se ne parla apertamente – ed è un male – il rischio di dover scegliere a scadenza relativamente breve fra queste due alternative sta diventando purtroppo tanto evidente da rendere ogni giorno più difficile concentrarsi su quanto avviene nel teatro operativo. A monte di esso, nell’arena politico-diplomatica, ci si ripete incessantemente la vecchia parola d’ordine del “tutto va ben, Madama la Marchesa!”.


No, non va assolutamente bene nulla. E niente andrà bene finché non riusciremo a fermare questa pesante macina che rotola a valle e che, per il momento, appare inarrestabile. Forse per fermarla sarebbe necessaria una presa di coscienza collettiva di quanto sta avvenendo, tanto forte ed estesa da coinvolgere sia l’una che l’altra parte. Ora invece solo poche voci illuminate sottolineano con forza come sia divenuta indispensabile una pace che sia una pace giusta e concreta, e tenga conto quindi delle ragioni di tutti. Una pace, cioè, in cui non ci siano né vinti né vincitori. Se si rischia di perdere la faccia facendo determinate concessioni, perdiamola insieme, noi e gli “altri”, senza alcuna esitazione.


Soprattutto, come già detto, che si tratti di una pace “concreta”. Che si poggi cioè sulle persone, sui mezzi realmente disponibili e sui fatti, senza far riferimento unicamente ad aspirazioni e teorie che, per quanto lodevoli, non potrebbero mai sopravvivere allo scontro con le difficoltà a venire. Che saranno tante. E tanto forti.


Carta di Laura Canali - 2022

Carta di Laura Canali – 2022

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