Tutti i dubbi sui mini BOT e le valute parallele

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Silvia Merler
Fonte: Bruegel.org

In Italia l’ipotesi di una valuta parallela non è nuova. Ma una delle proposte – i cosiddetti mini-BOT – è stata inserita nel contratto governativo dell’attuale coalizione Lega-M5S. Esaminiamo il dibattito in merito a queste proposte.

di Silvia Merler  – 3 luglio 2018


I precedenti dei mini-BOT

Nel contesto italiano, Bossone e Cattaneo hanno proposto nel 2016 il “Certificato di Credito Fiscale” (CCF), che hanno equiparato ad una “helicopter money” sotto forma di credito d’imposta. Così come il denaro gettato dall’elicottero viene evocativamente distribuito all’intera economia in modo gratuito, i CCF sarebbero obbligazioni assegnate gratuitamente dal governo alle famiglie e alle imprese. Bossone e Cattaneo sostengono che il sistema dei Certificati di Credito Fiscale è progettato per accelerare la ripresa dell’Italia e sarebbe probabilmente sostenibile. Fornirebbe inoltre uno strumento per evitare la rottura dell’Eurozona e le sue conseguenze potenzialmente dirompenti.

Amato, Fantacci, Papadimitriou e Zezza hanno proposto nel 2016 l’introduzione di una moneta elettronica parallela denominata “geuro”. Secondo gli autori della proposta, a breve e medio termine il “geuro” favorirebbe la domanda, la crescita e l’occupazione. A lungo termine, la valuta parallela potrebbe trasformare l’euro in una “valuta di compensazione comune” mentre il “geuro” verrebbe utilizzato per il pagamento tra agenti privati. Purché il governo sia in grado di sostenere la credibilità della nuova valuta, dicono gli autori, non ci sarebbe motivo per cui i prezzi in euro o in una nuova valuta debbano essere differenti.

Punti di vista sui mini-BOT

Francesco Papadia e Alexander Roth hanno elaborato una buona sintesi delle caratteristiche dei mini-BOT, scrivendo che la valutazione economica dipende molto dalle loro caratteristiche specifiche. Nel complesso essi si configurano come una combinazione tra un titolo e una moneta, ambedue di ordine inferiore. Se i mini-BOT dovessero consentire un aumento del deficit di bilancio, dovrebbero essere valutati come espansione fiscale, e non semplicemente come una variante tecnica nel modo di finanziare un deficit di bilancio.

Più importante delle loro caratteristiche specifiche sarebbe il messaggio che i mini-BOT trasmetterebbero sull’uscita dell’Italia dall’euro. Inevitabilmente, dato ciò che la Lega e i suoi rappresentanti hanno detto e scritto, il mini-BOT sarebbe visto come un primo passo dell’uscita dall’Italia dalla moneta unica, rafforzando il rischio di ridenominazione legato ai titoli italiani e aumentando così il loro rendimento, anche nell’ipotesi in cui l’Ital-exit e i suoi enormi effetti negativi fossero evitati. I mini-BOT non infrangerebbero nessuna legge dell’UE o italiana se fossero solo dei titoli , ma sarebbero in contrasto con il quadro giuridico europeo esistente se diventassero una valuta parallela.

La Banca d’Italia ha pubblicato una nota (in italiano) sulle valute fiscali. In essa, si chiarisce che lo strumento non avrebbe valore come moneta legale, essendo in violazione dell’art. 128 TFUE e Reg. CE/ 974/98 (articoli 2, 10, 11). Questa “valuta” servirebbe quindi solo come riserva di valore, e in tal senso sarebbe molto simile a un titolo di stato. In base alla legislazione vigente, potrebbe essere utilizzata come mezzo di pagamento solo con il consenso dei creditori. Se lo Stato invece decidesse di sbarazzarsi unilateralmente del proprio debito convertendolo in una valuta diversa da quella legale, ciò violerebbe la legge dell’UE e ne minerebbe la reputazione.

Inoltre, i creditori dello Stato subirebbero una riduzione del loro reddito – se fossero costretti ad accettare regolamenti in valuta fiscale – perché quest’ultima varrebbe meno della moneta legale in tutti gli scambi con soggetti diversi dallo Stato. La Banca d’Italia chiarisce inoltre che questi strumenti aumenterebbero il debito pubblico da un punto di vista contabile; potrebbero essere emessi solo entro i limiti fissati dal Patto di Stabilità; e sarebbero costosi per lo Stato sia in termini di premio per il rischio sia in termini di necessità di creare un nuovo sistema di pagamento ad hoc in cui questi potrebbero essere utilizzati.

Maria Cannata scrive (in italiano) che mini-BOT e CCF (certificati di credito fiscali) sono esperimenti destinati a fallire, proprio come accaduto in esperimenti simili del passato. I mini-BOT costituirebbero titoli di debito pubblico, sebbene le loro caratteristiche li rendano simili a una “valuta”, ragion per cui violerebbero immediatamente l’Art. 128 TFUE sull’esclusività dell’euro come moneta a corso legale.
Intesi come un mezzo per regolare i pagamenti delle tasse, i mini-BOT sarebbero considerati come un aumento del debito finanziario dello Stato e ridurrebbero le entrate fiscali. In un certo senso, agirebbero come un moltiplicatore del debito, che è l’opposto dell’obiettivo dichiarato. I CCF sono una variazione su questo tema. Secondo i loro sostenitori, i CCF avrebbero un mercato e potrebbero essere utilizzati per regolare le transazioni commerciali comuni, ma non conterebbero come debito secondo la definizione di Maastricht perché rientrerebbero nella categoria che Eurostat etichetta come “attività fiscali differite non pagabili”.

Cannata sostiene che al contrario i CCF implicano un impegno dello Stato a riconoscere il loro valore, e quindi si qualificano come debito finanziario: una volta usato come mezzo di pagamento diventerebbero un vero e proprio debito finanziario. Se – come affermano i sostenitori – venissero dati anche ai dipendenti pubblici come pagamenti aggiuntivi, aumenterebbero anche il deficit. Cannata conclude ricordando che schemi simili sono stati già sperimentati in California, in Argentina e nel 1933 in Germania, e hanno fallito.

Il blog italiano Keynes Blog discute dei CCF e dei Mini-BOT, sostenendo che sono un “boomerang”. Sui CCF, Iodice e Fazi scrivono che i fautori mettono troppa enfasi sull’idea che la valuta abbia valore perché è usata per pagare le tasse, e trascurano il fatto che una moneta a corso legale è priva di valore in assenza della credibilità di chi la emette.
L’esperienza della California, spesso citata come esempio, non è stata un successo: pochi giorni dopo che la California ha emesso i suoi IOU, le principali banche si sono rifiutate di accettarli. Solo dopo significativi tagli di spesa alcune banche hanno cambiato atteggiamento. Se una tale operazione ha mostrato i suoi limiti in California, lo stato americano più ricco, la speranza che possa funzionare in paesi come l’Italia è davvero piccola. Per quanto riguarda i mini-BOT, la valutazione di Keynes Blog è la stessa, forse aggravata dal fatto che questi sono – secondo le stesse parole dei sostenitori – visti come un modo per creare condizioni migliori per uscire dall’euro.

Toby Nangle ha molte perplessità. Nelle sue prime riflessioni sui mini-BOT, sostiene che il fatto che abbiano o meno corso legale non è un grosso problema, mentre il problema è che i governi di solito non fanno questo genere di cose a meno che non siano nei guai, ed è per tale motivo che il ricorso ad essi sarebbe un segnale molto negativo: potrebbero far pensare che lo stato italiano non abbia il controllo della moneta, cosa che sarebbe oggetto di grande tensione a Bruxelles, in quanto la Commissione li considera un debito, che deve essere conteggiato nel debito della zona euro.

In un secondo momento, Nangle conclude che i mini-BOT potrebbero diventare un boomerang in quanto si concentrano nel tesoro italiano piuttosto che tra il popolo dei risparmiatori, che preferiscono accumulare attività monetarie in euro a meno di non essere tentati da sconti sul valore di facciata dei mini-BOT (equivalenti a più alti tassi di finanziamento impliciti per lo stato). Nel frattempo, la Commissione probabilmente li considererebbe come debito e, data la loro natura di titolo a “zero coupon”, probabilmente li considererebbe negoziabili prima della scadenza, vale a dire con un profilo di brevissimo termine, non importa quanto siano presentati come irredimibili.
Nangle sostiene anche che i mini-BOT possono essere rilevanti sotto un secondo punto di vista, e cioè come un’attività creata dal nulla che trae valore dal creare domanda per un’obbligazione a tempo indeterminato (ad esempio una valuta). Da questo punto di vista, si tratterebbe di uno schema del tutto identico alla creazione di una nuova forma di Moneta Esterna, ma per farla funzionare correttamente lo Stato dovrebbe richiedere il pagamento delle tasse in mini-BOT piuttosto che accettarli semplicemente a titolo di pagamento delle tasse stesse. Nella circostanza che i mini-BOT siano solo uno strumento accettato per il pagamento delle tasse, invece che espressamente richiesto, si torna ai problemi della Legge di Gresham: i mini-BOT dovrebbero avere un costo di finanziamento implicito. E a causa di ciò lo Stato avrebbe una posizione fiscale più debole di quella che avrebbe altrimenti (pagando di più in mini-BOT di quanto avrebbe dovuto pagare in euro, ma ricevendo un numero di miniBOT pari al numero di euro che avrebbe altrimenti ricevuto nel gettito fiscale).

John Dizard scrive sul Financial Times che la minaccia dei mini-BOT italiani ha reso nuovamente interessante la politica monetaria europea. Mentre il mini-BOT quasi certamente verrebbe scambiato con uno tasso di sconto sul mercato, la moneta (o le scritture contabili) potrebbe essere usata per regolare i debiti fiscali o pagare le poste del settore pubblico al valore nominale del mini-BOT. Nonostante questo, i partiti populisti continuano a insistere sul fatto che il mini-BOT non sarebbe una valuta parallela o un modo surrettizio di incrementare il debito nazionale. Poiché il mini-BOT non sarebbe una valuta, i trasferimenti da conto a conto o da mano a mano non sarebbero soggetti al limite legale di € 3000 sui pagamenti in contanti in Italia. I mini-BOT, quindi, stimolerebbero il dinamismo dell’economia sommersa del paese. I grandi profitti andrebbero a coloro che comprerebbero a sconto i mini-BOT da pensionati e creditori statali, vendendo poi la quasi-valuta ai grandi acquirenti di beni e servizi italiani, o di proprietà e azioni.

Fonte: Bruegel.org

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